265 - 13.11.04


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Girolamo Grammatico

Non è la prima volta che si affronta il problema della riforma dell’Onu, ma trovare un accordo che soddisfi le aspettative di tutti e garantisca un equilibrio stabile è compito non semplice. Così come è stato di difficile, potremmo dire impossibile, applicare la Carta societaria delle Nazioni Unite durante le questioni di carattere mondiale.

Attualmente l’Onu ha un Consiglio di Sicurezza costituito da cinque membri permanenti con diritto di veto: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; altri dieci sono i membri eletti a rotazione dall’assemblea generale per mandati biennali e non rieleggibili immediatamente.

La necessità di modernizzare e migliorare tale status ha assorbito, da più di un decennio, le energie di numerosi intellettuali, politici, organizzazioni create ad hoc al fine di trovare soluzioni che migliorino la Carta societaria in nome della sicurezza mondiale, dell’equilibrio economico e della democrazia, nonché la possibilità, da parte di ogni nazione in campo, di entrare a far parte del Consiglio di Sicurezza.
Tra le numerose proposte una si distingue per essere stata tra le prime ad essere formulata, è quella più revisionista e che ha ricevuto e continua a ricevere maggiore consenso: l’abolizione del diritto di veto per i cinque membri permanenti. Promotori più convinti e attivi della proposta sono gli stati che mirano ad acquisire un seggio permanente nel consiglio di sicurezza, come Germania e Giappone, in prima linea, e poi India, Brasile, Stati Arabi e Africani a seguire.

Ma vediamo, una per una le posizioni, dei singoli stati.

La Germania, esclusa alla nascita dell’Onu in quanto sconfitta durante la seconda guerra mondiale, desidera entrare in seno al consiglio di sicurezza come membro permanente, ma vede negato l’appoggio da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna e cerca l’appoggio di Francia e Russia.

Il Giappone, di contro, tenta una linea filoamericana, ma vede negato l’appoggio della Cina (unico rappresentante del mondo asiatico nel consiglio a cinque).

Per i Paesi arabi la questione è ancora più delicata. I cinque paesi che siedono nel consiglio permanente sono in maggioranza di cultura cristiana (quattro, su cinque, fa eccezione la Cina), ma trovare una rappresentanza all’interno del mondo arabo comporta riflettere su numerose variabili. L’Egitto avrebbe una posizione di prestigio assieme all’Arabia Saudita e poi seguirebbe l’Iran, una delle maggiore potenze musulmane (ma sciita, quindi in contrasto con la rappresentanza sunnita).

Gli Stati africani non hanno alcuna rappresentanza e il Sudafrica rivendica la sua presenza, ma, a quanto pare, nessuno dei 53 paesi dell’Africa si sente rappresentato dalla terra di Nelson Mandela. Non essendoci un leader spontaneo che rappresenti l’intero continente una delle possibilità sarebbe quella di dare all’Africa non un seggio permanente, ma a rotazione, scelto dall’Organizzazione per l’Unità Africana.

L’America Latina sulla scia della situazione africana non ha alcuna rappresentanza e il Brasile sembra il candidato privilegiato, ma è disposta, l’intera America del Sud, ad accettare di essere rappresentata da questo stato?

L’India, in quanto uno dei paesi più popolosi del mondo, chiede di sedere in modo permanente al consiglio di sicurezza appoggiando l’entrata di Brasile e Germania.


L’Italia propone la caduta del multilateralismo basato su rapporti di forza, figlio ormai di una situazione storica superata (dopo la seconda guerra mondiale e la guerra fredda) per approdare a una visione di governance (come propongono Amato e Amre Moussa, il Segretario della Lega Araba) fondata sulla legittimità e sul consenso.
E se di legittimità si parla, la necessità di ergersi al pari della Germania, ugualmente sconfitta durante la seconda guerra mondiale, diventa una necessità per evitare la situazione di marginalità in cui si ritroverebbe il nostro paese.

Secondo il ministro Frattini, invece, è necessario lasciare in secondo piano il bene delle singole nazioni e mirare ad una rappresentanza unitaria dell’Unione Europea, con un seggio unico ricoperto a turno. Da valutare però le modalità di attuazione di una proposta del genere, perché anche rappresentare l’intera Ue obbliga a una scelta che metta d’accordo varie posizioni. Infatti, tale scelta di rappresentanza avverrebbe tra tutti i membri della Ue o solo dai più "grandi" o l’incarico verrebbe dato al futuro "ministro degli Esteri”?
Ovviamente un seggio unico dell’Unione Europea comporterebbe la presa in considerazione da parte di Francia e Gran Bretagna dell’abbandono della propria posizione di storici membri permanenti del Consiglio di Sicurezza in favore di questa scelta.
Una delle proposte italiane con più consenso sembra comunque essere la possibilità di istituire seggi a rotazione quinquennale basati sulla rappresentatività geografica, sul carattere di partecipazione democratica e l’efficienza operativa.

Alla luce di tutto ciò, infine, diventa necessaria una riflessione sull’acronimo stesso dell’ONU: Organizzazione delle Nazioni Unite, il quale richiama un concetto comune a tutti: l’unione fa la forza, ma chi, tra tutte le nazioni in campo farà uno sforzo per l’unione?

 

 

 

 

 

 

 

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