Non
è la prima volta che si affronta il problema
della riforma dell’Onu, ma trovare un accordo
che soddisfi le aspettative di tutti e garantisca un
equilibrio stabile è compito non semplice. Così
come è stato di difficile, potremmo dire impossibile,
applicare la Carta societaria delle Nazioni Unite durante
le questioni di carattere mondiale.
Attualmente l’Onu ha un Consiglio di Sicurezza
costituito da cinque membri permanenti con diritto
di veto: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia
e Cina; altri dieci sono i membri eletti a rotazione
dall’assemblea generale per mandati biennali
e non rieleggibili immediatamente.
La necessità di modernizzare e migliorare
tale status ha assorbito, da più di un decennio,
le energie di numerosi intellettuali, politici, organizzazioni
create ad hoc al fine di trovare soluzioni che migliorino
la Carta societaria in nome della sicurezza mondiale,
dell’equilibrio economico e della democrazia,
nonché la possibilità, da parte di ogni
nazione in campo, di entrare a far parte del Consiglio
di Sicurezza.
Tra le numerose proposte una si distingue per essere
stata tra le prime ad essere formulata, è quella
più revisionista e che ha ricevuto e continua
a ricevere maggiore consenso: l’abolizione del
diritto di veto per i cinque membri permanenti. Promotori
più convinti e attivi della proposta sono gli
stati che mirano ad acquisire un seggio permanente
nel consiglio di sicurezza, come Germania e Giappone,
in prima linea, e poi India, Brasile, Stati Arabi
e Africani a seguire.
Ma vediamo, una per una le posizioni, dei singoli
stati.
La Germania, esclusa alla nascita dell’Onu
in quanto sconfitta durante la seconda guerra mondiale,
desidera entrare in seno al consiglio di sicurezza
come membro permanente, ma vede negato l’appoggio
da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna e cerca l’appoggio
di Francia e Russia.
Il Giappone, di contro, tenta una linea filoamericana,
ma vede negato l’appoggio della Cina (unico
rappresentante del mondo asiatico nel consiglio a
cinque).
Per i Paesi arabi la questione è ancora più
delicata. I cinque paesi che siedono nel consiglio
permanente sono in maggioranza di cultura cristiana
(quattro, su cinque, fa eccezione la Cina), ma trovare
una rappresentanza all’interno del mondo arabo
comporta riflettere su numerose variabili. L’Egitto
avrebbe una posizione di prestigio assieme all’Arabia
Saudita e poi seguirebbe l’Iran, una delle maggiore
potenze musulmane (ma sciita, quindi in contrasto
con la rappresentanza sunnita).
Gli Stati africani non hanno alcuna rappresentanza
e il Sudafrica rivendica la sua presenza, ma, a quanto
pare, nessuno dei 53 paesi dell’Africa si sente
rappresentato dalla terra di Nelson Mandela. Non essendoci
un leader spontaneo che rappresenti l’intero
continente una delle possibilità sarebbe quella
di dare all’Africa non un seggio permanente,
ma a rotazione, scelto dall’Organizzazione per
l’Unità Africana.
L’America Latina sulla scia della situazione
africana non ha alcuna rappresentanza e il Brasile
sembra il candidato privilegiato, ma è disposta,
l’intera America del Sud, ad accettare di essere
rappresentata da questo stato?
L’India, in quanto uno dei paesi più
popolosi del mondo, chiede di sedere in modo permanente
al consiglio di sicurezza appoggiando l’entrata
di Brasile e Germania.
L’Italia propone la caduta del multilateralismo
basato su rapporti di forza, figlio ormai di una situazione
storica superata (dopo la seconda guerra mondiale
e la guerra fredda) per approdare a una visione di
governance (come propongono Amato e Amre
Moussa, il Segretario della Lega Araba) fondata sulla
legittimità e sul consenso.
E se di legittimità si parla, la necessità
di ergersi al pari della Germania, ugualmente sconfitta
durante la seconda guerra mondiale, diventa una necessità
per evitare la situazione di marginalità in
cui si ritroverebbe il nostro paese.
Secondo il ministro Frattini, invece, è necessario
lasciare in secondo piano il bene delle singole nazioni
e mirare ad una rappresentanza unitaria dell’Unione
Europea, con un seggio unico ricoperto a turno. Da
valutare però le modalità di attuazione
di una proposta del genere, perché anche rappresentare
l’intera Ue obbliga a una scelta che metta d’accordo
varie posizioni. Infatti, tale scelta di rappresentanza
avverrebbe tra tutti i membri della Ue o solo dai
più "grandi" o l’incarico verrebbe
dato al futuro "ministro degli Esteri”?
Ovviamente un seggio unico dell’Unione Europea
comporterebbe la presa in considerazione da parte
di Francia e Gran Bretagna dell’abbandono della
propria posizione di storici membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza in favore di questa scelta.
Una delle proposte italiane con più consenso
sembra comunque essere la possibilità di istituire
seggi a rotazione quinquennale basati sulla rappresentatività
geografica, sul carattere di partecipazione democratica
e l’efficienza operativa.
Alla luce di tutto ciò, infine, diventa necessaria
una riflessione sull’acronimo stesso dell’ONU:
Organizzazione delle Nazioni Unite, il quale richiama
un concetto comune a tutti: l’unione fa la forza,
ma chi, tra tutte le nazioni in campo farà
uno sforzo per l’unione?
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