265 - 13.11.04


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Una terza via per l’ordine globale
Giorgia Capoccia

Filippo Andreatta,
Alla ricerca dell’ordine mondiale.
L’Occidente di fronte alla guerra,

il Mulino, 2004, pagg. 160, euro10,50

Dopo il crollo del bipolarismo, il venir meno di storici equilibri politici nel panorama mondiale e il proliferare del terrorismo internazionale, le categorie di unilateralismo e multilateralismo sono ancora sufficienti, da sole, per regolare un sistema internazionale? E quale deve essere la posizione dell’Occidente - inteso non tanto in senso geografico quanto come l’insieme delle società industriali e post-industriali – in un panorama internazionale che si presenta così confuso e complesso?
Da queste domande parte l’analisi di Filippo Andreatta che, nel suo Alla ricerca dell’ordine mondiale. L’Occidente di fronte alla guerra, osserva
un mondo molto più eterogeneo e frammentato di quanto non sia quello ipotizzato nei modelli finora utilizzati per descrivere i sistemi internazionali. Il semplicismo manicheo che vuole contrapposti neoconservatorismo e visioni no global, dice Andreatta, non basta più: è necessario un cambiamento, una terza via anche nell’ordine delle relazioni internazionali.

L’ordine fondato sul bipolarismo, antecedente alla fine della guerra fredda, ha lasciato il posto ad un dis-ordine precario (“anarchico” addirittura, per usare una definizione ricorrente nel libro), dovuto alla mancanza di un governo mondiale capace di una visione unitaria: con la fine della guerra fredda l’Occidente non ha sempre mantenuto quella visione unitaria necessaria e sono emerse quelle tensioni che hanno impedito, e impediscono, un’azione comune. Quale, dunque, la strada per uscire dal caos? L’unilateralismo profondamente americano (l’orgoglio nazionale democratico americano è un carattere fondante e caratteristico della nazione-continente) ed il multilateralismo tipicamente europeo (una tradizione più antica della democrazia stessa che si è sublimato nel processo di integrazione dei paesi europei) mostrano la loro inadeguatezza: il delicato equilibrio tra politica di concerto e concezione offensiva della difesa collettiva, anche.

La concezione offensiva della difesa collettiva da parte delle democrazie ha visto cadere il proprio motivo di esistere, la grande minaccia sovietica, e le democrazie tendono a coalizzarsi contro le non-democrazie sviluppando una teoria binaria della politica internazionale: in pace tra loro e in conflitto con le non-democrazie. L’esportazione della democrazia diviene, quindi, il mezzo privilegiato per il mantenimento della pace ma - e questo il maggiore limite - la democrazia richiede innanzi tutto il consenso di chi è autogovernato e per questo non è una formula che si possa imporre dall’alto. Non solo:”si potrebbe generare una profezia che si auto-realizza nel senso che le misure per proteggersi da una eventuale minaccia potrebbero indurre quella minaccia a manifestarsi concretamente”.

La politica di concerto invece, laddove la difesa collettiva spinge le democrazie a contrapporsi alle non-democrazie, si muove per cooptazione nel tentativo di limitare la pericolosità degli stati non democratici preferendo una via diplomatica, e non duale, nella gestione delle relazioni internazionali. Nel pregio sta anche il maggiore difetto e limite: l’adattabilità e la flessibilità della politica di concerto la vede anche vulnerabile dal punto di vista etico - muoversi nell’ottica del coinvolgimento di tutti gli stati/attori significa inevitabilmente il venir meno di criteri di selezione degli ultimi - ed esposta al rischio di una eccessiva discrezionalità dei negoziati se non addirittura all’inazione nel caso di mancato accordo tra le potenze.

Dopo il 1989 e fino al 2001 questi due ordini, prosegue Andreatta, sono rimasti compatibili: l’Onu (la politica di concerto) ha implementato le risoluzioni collettive con l’appoggio delle potenze democratiche occidentali; queste hanno attuato una politica di stabilizzazione con il consenso e la legittimazione dell’Onu. Al processo di democratizzazione si è cercato di contribuire dotandosi di un sistema internazionale il più ordinato e cooperativo possibile.
Questo fino al 2001.
L’11 settembre 2001, insieme alle torri gemelle, sono crollate anche le premesse fondamentali per il mantenimento di questo equilibrio: una grande potenza non democratica si è contrapposta all’Occidente mostrando le contraddizioni e i limiti della difesa collettiva e del concerto e la percezione della minaccia proveniente dai cosiddetti Stati canaglia si è fatta insostenibile da parte della più influente delle potenze, gli Stati Uniti, colpiti nel vivo e sul proprio territorio come mai era accaduto negli ultimi due secoli.

Quale allora, la strada da seguire per cercare di costruire un nuovo ordine internazionale, quando i modelli utilizzati finora hanno dimostrato la loro inadeguatezza di fronte agli avvenimenti degli ultimi anni? Qual è la terza via delle relazioni internazionali? Un compromesso tra unilateralismo di stampo americano e multilateralismo europeo, ci suggerisce Andreatta: un nuovo ordine multilaterale che permetta di giovare della natura flessibile e dinamica della tradizione europea in fatto di politica estera e nel quale la potenza americana svolga funzione di leadership piuttosto che di egemonia; un nuovo ordine multilaterale dove l’Onu possa rinascere a tutore della politica internazionale, un luogo d’incontro che faccia dell’autoritas la propria forza perché “l’importanza dell’Onu oggi è più internazionale, nel senso di garantire il coinvolgimento dei principali attori, che sovranazionale, nel senso di una capacità autonoma di intervento oltre a quella degli stati membri”.

Utopico, naturalmente, aspettarsi di ritrovare un equilibrio funzionale ed efficace in tempi brevi: “anche in Europa, zona pacificata per eccellenza, l’attuale fase è stata raggiunta dopo processi di liberalizzazione e di democratizzazione durati due secoli e dopo la violenza delle guerre mondiali, che ha dimostrato ampiamente le potenzialità distruttive della civiltà occidentale. I cambiamenti sociali e di mentalità avvengono solo nel lungo periodo, e anche nella sfera internazionale, pertanto, il rafforzamento dell’ordine potrà avvenire solo con pazienza, e, data la posta in gioco, con molta prudenza”.
Prudenza, volontà (e capacità) di adeguare i modelli ai cambiamenti dello scenario internazionale e tanta pazienza: come dice il proverbio, in fondo, la pazienza è la virtù dei forti.

 

 

 

 

 

 

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