262 - 02.10.04


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Così si è stabilito a Copenaghen
Daniele Castellani Perelli

Il 17 dicembre i capi di stato e di governo dell’Europa a 25 decideranno ufficialmente se e quando potrà essere avviato il negoziato per l’adesione della Turchia all’Ue. Ma su quali basi, precisamente, prenderanno la decisione? Sulla base dei cosiddetti “criteri di Copenaghen”, che vennero sottoscritti a conclusione del Consiglio Europeo di Copenaghen, del 21-22 giugno 1993, e che hanno orientato da allora tutte le decisioni riguardanti l’allargamento dell’Unione.

“L’appartenenza all’Unione – recitano i criteri – richiede che il Paese candidato abbia raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze, l’esistenza di una economia di mercato funzionante nonché la capacità di rispondere alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione. L’appartenenza all’Unione presuppone anche la capacità dei Paesi candidati di assumersene gli obblighi, inclusa l’adesione agli obiettivi di unione politica, economica e monetaria”. “La capacità dell’Unione di assorbire nuovi membri, mantenendo nello stesso tempo inalterato il ritmo dell'integrazione europea – si chiarisce – riveste parimenti grande importanza, nell’interesse generale dell’Unione e dei Paesi candidati”. La sostanza dei criteri di Copenaghen è stata ribadita nel primo articolo del nuovo trattato costituzionale, che al secondo punto recita: “L’Unione è aperta a tutti gli Stati europei che rispettano i suoi valori e si impegnano a promuoverli congiuntamente”.

Ora, il problema è proprio questo. Secondo alcuni la Turchia di oggi, nonostante i recenti progressi, non rispetta ancora i “valori” dell’Europa, che sono quelli dei criteri di Copenaghen e che vengono definiti anche all’articolo 2 del trattato costituzionale, dove è scritto che “l’Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”, e che “questi valori sono comuni agli Stati membri in una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla non discriminazione”.

I sostenitori di questa tesi sono a volte in mala fede, essendo in realtà solo preoccupati dalla povertà e dalla fede religiosa della Turchia, e a volte in buona fede, quando censurano leggi e usi decisamente non compatibili con un’Europa autenticamente liberale e democratica. Non ultima la proposta del governo di Ankara di ripristinare il reato di adulterio, che ha suscitato preoccupazioni anche nel ministro degli Esteri britannico Jack Straw, uno dei non moltissimi sponsor della causa turca.

La Commissione Indipendente sulla Turchia ha ricordato come questo paese abbia compiuto grandissimi passi verso i valori dell’Occidente, sin da quando, con Ataturk, cominciò “a svilupparsi come Stato secolare moderno”. “La gente non civilizzata – dichiarò infatti il padre della patria della Turchia moderna – è condannata a rimanere sotto la dominazione di quelli che sono civilizzati. E la civilizzazione è l’Occidente, il mondo moderno, di cui la Turchia deve far parte se vuole sopravvivere”.

“Il Consiglio d’Europa, custode dei valori e dei principi europei, ammise la Turchia come membro a pieno titolo nell’agosto del 1949, solo pochi mesi dopo la firma del Trattato di Londra. Fu deciso – ricorda la Commissione – che la Repubblica di Turchia possedeva le due condizioni per aderire all’Unione: essere un Paese europeo e rispettare i diritti umani, la democrazia pluralistica e lo stato di diritto”. Il paese, che nel 1948 entrò nell’Ocse, nel 1949 venne ammesso come membro a pieno titolo del Consiglio d’Europa, e nel 1951 entrò a far parte della Nato, è oggi un membro a pieno titolo di tutte le principali istituzioni d’Europa, e “l’Unione Europea rappresenta l’unica eccezione”. “E’ indubbio – spiega la Commissione Indipendente – che il governo turco stia attuando ora le misure necessarie con una determinazione e un’efficienza senza precedenti”. Disse una volta Atatürk: “L’Occidente ha nutrito sempre pregiudizi nei confronti dei turchi, ma noi turchi ci siamo sempre mossi verso l’Occidente”.

 

 

 

 

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