Il 17 dicembre i capi di stato e di
governo dell’Europa a 25 decideranno ufficialmente
se e quando potrà essere avviato il negoziato
per l’adesione della Turchia all’Ue. Ma
su quali basi, precisamente, prenderanno la decisione?
Sulla base dei cosiddetti “criteri di Copenaghen”,
che vennero sottoscritti a conclusione del Consiglio
Europeo di Copenaghen, del 21-22 giugno 1993, e che
hanno orientato da allora tutte le decisioni riguardanti
l’allargamento dell’Unione.
“L’appartenenza all’Unione –
recitano i criteri – richiede che il Paese candidato
abbia raggiunto una stabilità istituzionale
che garantisca la democrazia, lo stato di diritto,
i diritti umani, il rispetto e la protezione delle
minoranze, l’esistenza di una economia di mercato
funzionante nonché la capacità di rispondere
alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato
all’interno dell’Unione. L’appartenenza
all’Unione presuppone anche la capacità
dei Paesi candidati di assumersene gli obblighi, inclusa
l’adesione agli obiettivi di unione politica,
economica e monetaria”. “La capacità
dell’Unione di assorbire nuovi membri, mantenendo
nello stesso tempo inalterato il ritmo dell'integrazione
europea – si chiarisce – riveste parimenti
grande importanza, nell’interesse generale dell’Unione
e dei Paesi candidati”. La sostanza dei criteri
di Copenaghen è stata ribadita nel primo articolo
del nuovo trattato costituzionale, che al secondo
punto recita: “L’Unione è aperta
a tutti gli Stati europei che rispettano i suoi valori
e si impegnano a promuoverli congiuntamente”.
Ora, il problema è proprio questo. Secondo
alcuni la Turchia di oggi, nonostante i recenti progressi,
non rispetta ancora i “valori” dell’Europa,
che sono quelli dei criteri di Copenaghen e che vengono
definiti anche all’articolo 2 del trattato costituzionale,
dove è scritto che “l’Unione si
fonda sui valori della dignità umana, della
libertà, della democrazia, dell’uguaglianza,
dello stato di diritto e del rispetto dei diritti
umani”, e che “questi valori sono comuni
agli Stati membri in una società fondata sul
pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla
solidarietà e sulla non discriminazione”.
I sostenitori di questa tesi sono a volte in mala
fede, essendo in realtà solo preoccupati dalla
povertà e dalla fede religiosa della Turchia,
e a volte in buona fede, quando censurano leggi e
usi decisamente non compatibili con un’Europa
autenticamente liberale e democratica. Non ultima
la proposta del governo di Ankara di ripristinare
il reato di adulterio, che ha suscitato preoccupazioni
anche nel ministro degli Esteri britannico Jack Straw,
uno dei non moltissimi sponsor della causa turca.
La Commissione Indipendente sulla Turchia ha ricordato
come questo paese abbia compiuto grandissimi passi
verso i valori dell’Occidente, sin da quando,
con Ataturk, cominciò “a svilupparsi
come Stato secolare moderno”. “La gente
non civilizzata – dichiarò infatti il
padre della patria della Turchia moderna – è
condannata a rimanere sotto la dominazione di quelli
che sono civilizzati. E la civilizzazione è
l’Occidente, il mondo moderno, di cui la Turchia
deve far parte se vuole sopravvivere”.
“Il Consiglio d’Europa, custode dei valori
e dei principi europei, ammise la Turchia come membro
a pieno titolo nell’agosto del 1949, solo pochi
mesi dopo la firma del Trattato di Londra. Fu deciso
– ricorda la Commissione – che la Repubblica
di Turchia possedeva le due condizioni per aderire
all’Unione: essere un Paese europeo e rispettare
i diritti umani, la democrazia pluralistica e lo stato
di diritto”. Il paese, che nel 1948 entrò
nell’Ocse, nel 1949 venne ammesso come membro
a pieno titolo del Consiglio d’Europa, e nel
1951 entrò a far parte della Nato, è
oggi un membro a pieno titolo di tutte le principali
istituzioni d’Europa, e “l’Unione
Europea rappresenta l’unica eccezione”.
“E’ indubbio – spiega la Commissione
Indipendente – che il governo turco stia attuando
ora le misure necessarie con una determinazione e
un’efficienza senza precedenti”. Disse
una volta Atatürk: “L’Occidente ha
nutrito sempre pregiudizi nei confronti dei turchi,
ma noi turchi ci siamo sempre mossi verso l’Occidente”.
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