
“Se
il Consiglio europeo del dicembre 2004 deciderà,
sulla base di una relazione e di una raccomandazione
della Commissione, che la Turchia soddisfa i criteri
politici di Copenaghen, l’Unione europea avvierà
senza indugio i negoziati di adesione con la Turchia”.
Sono le conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen
del dicembre 2002 che indicano il percorso d’integrazione
per il Paese euro-asiatico.
Ma quali sono i criteri che bisogna soddisfare per vedersi
spianata la strada dell’adesione? In primo luogo
i paesi candidati devono aver raggiunto una stabilità
istituzionale tale da poter garantire la democrazia,
lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani nonché
il rispetto e la tutela delle minoranze.
Pur riconoscendo, soprattutto negli ultimi anni, notevoli
passi avanti nelle riforme e nell’adeguamento
delle istituzioni turche agli standard europei, sono
ancora in molti in Europa a dubitare dell’affidabilità
della Turchia sul piano della tutela delle minoranze
e quello del rispetto dei diritti umani. Le preoccupazioni
occidentali si concentrano soprattutto su due questioni
irrisolte, quella curda e quella di Cipro.
La questione curda
Nel 1923, con il trattato di Losanna, il Kurdistan
venne smembrato tra Siria, Iran, Iraq e Turchia e
il popolo curdo, persa ogni sovranità e diritto,
cominciò una vita da minoranza in ciascuno
dei quattro stati. La Turchia inglobò la porzione
maggiore dell’ex Kurdistan che andò a
costituire il 30% del proprio territorio.
Dal punto di vista dell’ideologia kemalista,
la questione curda venne vista sin dall’inizio
come una minaccia per le basi dello stato nazionale,
minaccia che venne affrontata con gli strumenti della
repressione politica e della “turchizzazione”
dei villaggi e delle province di etnia curda.
In risposta alla violenza di stato e alle politiche
di non riconoscimento, nel 1984 il Partito dei lavoratori
curdi (Pkk) iniziò la lotta armata contro il
potere centrale, scatenando così una vera e
propria guerra civile nel Sud-Est del Paese. Lo scontro
si è via via esacerbato tanto che si calcola
che fino ad oggi siano morte, tra soldati turchi,
ribelli curdi e popolazione civile, 30mila persone
e che almeno tremila villaggi siano stati distrutti.
Attualmente nelle zone dell’ex Curdistan la
libertà di stampa è pressoché
soppressa, ma diverse fonti parlano di una violenza
poliziesca che continua ad accanirsi sulla popolazione
curda. Particolare preoccupazione desta la situazione
dei prigionieri curdi nelle carceri turche, tanto
che nei mesi scorsi molti di questi hanno intrapreso
un tragico sciopero della fame finito con la morte
di decine di loro. Ancora in carcere, in attesa che
la sua condanna a morte venga eseguita, si trova anche
Ocalan, il leader del Pkk catturato in Kenia nel 1999.
Nel Paese domina una minacciosa atmosfera, tanto che
intellettuali e uomini politici non possono neanche
nominare l’esistenza di una “questione
orientale”, pena il rischio di severe pene detentive.
“La tortura e i maltrattamenti durante la detenzione
di polizia sono rimasti motivo di grave preoccupazione”
era scritto nell’ultimo rapporto annuale di
Amnesty International.
La Grecia, la Turchia, e in mezzo Cipro
Diversa la questione di Cipro. I turchi mantennero
la sovranità sull’isola per tre secoli,
fino al 1878, quando concessero alla Gran Bretagna
il diritto di amministrare e occupare Cipro. Nel 1923,
in base al trattato di Losanna, la Turchia riconobbe
formalmente il possedimento inglese dell’isola
che divenne a tutti gli effetti una colonia della
corona britannica.
Intanto si era andato diffondendo e allargando il
movimento dei greco-ciprioti detto dell’Enosis,
che in greco vuol dire unione, che propugnava, appunto,
l’annessione di Cipro alla Grecia. La questione
venne sollevata nel 1954 davanti all’Assemblea
generale della Nazioni Unite dallo Stato ellenico
che sino ad allora era rimasto fuori delle dispute.
I turchi dichiararono che qualora gli inglesi si fossero
ritirati da Cipro, l’isola sarebbe passata sotto
la loro amministrazione.
Nel 1958 la Gran Bretagna diede il via ad un processo
che portò all’indipendenza dell’isola,
proclamata nell’agosto 1960. La convivenza tra
le due comunità andò avanti tra scontri
e contraddizioni fino al 1974 quando con un colpo
di stato la guardia cipriota fece eleggere presidente
Nikos Sampson, greco-cipriota appoggiato dal governo
greco. A quel punto la Turchia inviò sull’isola
le proprie truppe e occupò la parte settentrionale
di Cipro, un terzo dell’intero territorio, proclamandovi
uno Stato autonomo turco-cipriota.
Da allora l’isola è separata da un muro
e a niente sono valsi i tentativi di dialogo favoriti
dalla comunità internazionale. Solo nel corso
del 2002 sono ripresi colloqui più seri tra
le due parti, dialogo reso urgente dalla volontà
di Cipro e della Turchia di entrare nell’Unione
Europea. Nonostante le pressioni dell’Onu per
la formazione di uno stato federale con presidenza
a rotazione e i primi passi compiuti con l’apertura
della frontiera greco-turca di Nicosia (marzo 2003),
il cammino verso l’accettazione di un piano
di pace pare ancora lungo. Il 24 aprile di quest’anno,
infatti, la popolazione dell’isola si è
espressa, con un referendum, contro il piano di riunificazione
proposto dal Segretario generale delle Nazioni Unite,
Kofi Annan. Per essere approvato il piano avrebbe
dovuto essere votato da entrambe le comunità
presenti sull’isola. A nulla, dunque, è
valso il si della comunità turco-cipriota (64.9%
si, 34,1% no) di fronte alla netta opposizione dei
greco-ciprioti (75,8% no, 24,2% si). A favore del
progetto di Annan si erano schierate non solo le Nazioni
Unite, ma anche l’Unione europea, gli Stati
Uniti, la Grecia e la Turchia.
Il 1 maggio scorso Cipro è ufficialmente entrata
nell’Ue. Se verrà dato il via al negoziato
di adesione anche per la Turchia ci si troverebbe,
dunque, nella situazione paradossale di dover negoziare
con uno Stato occupante parte del territorio di uno
Stato membro.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it