262 - 02.10.04


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Un nuovo umanesimo europeo per tornare a sperare
Elisabetta Ambrosi

E’ uscito, allegato al numero 85 di Reset, Parole nuove per l’Ulivo, il programma di Giuliano Amato per le passate elezioni europee con una introduzione di Romano Prodi -- “Ripartire da qui” --, un’indagine Makno sul linguaggio politico che spiega come dai primi test il documento risulti una gradita sorpresa per chiarezza e novità e un articolo di Mario Abis, presidente della società di ricerca.

«Siamo entrati nel XXI secolo sentendoci intorno un mondo profondamente cambiato; un mondo nel quale buona parte dei nostri punti di riferimento si sono spostati e il futuro che ci aspetta è incerto e non è affatto detto che per noi europei sia migliore». Con questa breve riflessione si apre il programma curato da Giuliano Amato in vista delle elezioni europee del 2004, che «Reset» pubblica, a distanza di pochi mesi, in allegato al numero 85 della rivista e che lo stesso Romano Prodi, definisce, nella introduzione al volumetto, come la base del nuovo programma dell’Ulivo. Poche parole che ci fanno capire come coloro che lo hanno scritto siano consapevoli della complessità dell’attuale scena politica ed economica, e soprattutto del tutto scevri da quell’ottimismo pregiudiziale, profondamente nefasto, oggi così in voga. Altrettanto chiara è tuttavia, agli occhi degli autori, la convinzione che l’inquietante dispiegamento di incognite non ci lascia inermi di fronte al futuro.

La contingenza che strutturalmente caratterizza ogni azione umana – in primo luogo quella politica, qui chiamata in causa – ha una doppia faccia: se da un lato essa significa l’incontro con limiti e rischi, dall’altra indica che tutto è possibile, e che l’azione riformatrice che permette il governo del cambiamento, in direzione non solo a noi benigna, ma portatrice di possibilità di emancipazione altrettanto inedite, è interamente nelle nostre mani. Perché avvenga ciò, tuttavia, bisogna compiere una vera e propria rotazione dello sguardo, un radicale cambiamento di scala, “territoriale” e culturale insieme: «Le trasformazioni del mondo entrano infatti nelle nostre case, ma non è certo da lì che le possiamo orientare. È l’Europa che ci permette di farlo».

Oltre alla fede europeista, un filo rosso che lega gli interventi presentati è la volontà di valorizzare la persona in quanto soggetto portatore di capacità, motivazioni, speranze e soprattutto desiderio di libertà. L’assunto implicito in tutti i provvedimenti risiede nella convinzione che ogni persona, se priva di zavorre materiali, psicologiche e culturali, tende naturalmente a protendersi verso il futuro e a migliorare la sua condizione, esaltando gli aspetti di autonomia piuttosto che quelli di passività. Lo slancio liberalizzatore non significa in nessun caso una sorta di concessione a un liberismo indisciplinato che incide così dolorosamente sulle vite dei singoli; esso è invece motivato dal medesimo obiettivo che anima la strenua difesa dello stato sociale, naturalmente profondamente rivisto nel senso, appunto, della promozione dell’autonomia dei singoli e non di un incitamento alla passività. D’altro canto, la giusta convinzione che anima questo programma è infatti quella secondo cui una liberalizzazione dei servizi e delle professioni avvantaggerebbe precisamente i più deboli, coloro che più sono gravati dall’inflazione e dagli altissimi costi - che non hanno eguali in Europa - di banche, assicurazioni, energia, e bollette. La mentalità protezionistica quasi sempre ha come scopo la conservazione di comode nicchie di potere, di ambiti protetti che impediscono la mobilità sociale, vero ossigeno di una società equa.

Un ultimo aspetto, infine, accompagna e unisce le accurate riforme che il programma disegna. Si tratta della demolizione di antitesi antiche, ma ancora diffuse. Oltre alla contrapposizione tra welfare state e sviluppo, una seconda viene messa in discussione con forza: quella che esiste tra aspetti “materiali” dell’esistenza da un lato e prospettive valoriali e culturali dall’altro. Non si tratta soltanto di ribadire che la conoscenza serve allo sviluppo e viceversa ma, ancora più radicalmente, di sottolineare la completa insensatezza della distinzione tra teoria e produzione, ricerca e industria, in breve cervello e manodopera, per così dire, in tutti gli ambiti vitali e sociali. Non a caso, dunque, le misure previste per i settori cruciali della scuola e dell’università, qui anticipate proprio in virtù della loro importanza («La scuola è cardine di una società europea»), consistono sia nella lotta contro una precoce biforcazione tra istruzione e formazione professionale, sia nel recupero dell’antica idea di universitas medioevale, intrinsecamente europea e transnazionale.

Di qui, per un verso, gli interventi a favore degli studenti meno agiati, attraverso l’ampliamento del sistema di borse di studio dei servizi abitativi e logistici, e la creazione di un sistema di prestiti da restituire una volta laureati; per l’altro, misure volte alla creazione di centri di eccellenza internazionale, che favoriscano tra l’altro la mobilità di professori, ricercatori e studenti nei vari paesi e portino a un sistema comune per la valutazione della ricerca.

Vivibilità dell’ambiente, pace e sicurezza, “capitale umano”. Questi, in sintesi, gli ambiti fondamentali di intervento. In altre parole, qualità dell’ambiente, equilibrio geopolitico mondiale e, infine, quel complesso nodo che lega economia, lavoro e stato sociale, ma anche i già citati ambiti della scuola e dell’università.

L’attenzione alla cura del nostro habitat nasce dalla intuizione, forse banale ma così spesso dimenticata, che esso costituisce la base senza quale nessuna azione sarebbe possibile. Il punto strategico su cui maggiormente si insiste riguarda la possibilità di produrre energia senza l’utilizzo di combustibili fossili, che non solo non sono infiniti, ma sono oggetto delle contese, in futuro sempre più aspre, di quei paesi che si affacciano con forza allo sviluppo, cioè indiani e cinesi.

Promuovere e rafforzare politiche sostenibili di consumo energetico e di protezione ambientale del territorio è pertanto un obiettivo lungimirante e prioritario. A esso, sempre in relazione all’ambiente, si affiancano altri, non secondari, obiettivi: un’attenzione crescente all’habitat urbano, e alle persone più deboli che in esso vivono come bambini e anziani, sia nel senso della creazione di spazi verdi e ricreativi sia in quello della lotta alla criminalità e al racket; interventi per la sicurezza alimentare e lo sviluppo dell’agricoltura biologica; incentivazione massiccia di mezzi di trasporto alternativi all’automobile; infine, poiché, oltre a quello fisico, anche l’ambiente culturale influisce in maniera significativa sulle nostre vite, è previsto un programma straordinario di restauro di tutti i centri storici degradati, in particolare quelli del sud, con l’istituzione di una Agenzia europea per la conservazione e il restauro con sede in Italia.

Un impegno speciale è preso, infine, per la qualità del nostro “habitat mediatico”, con interventi tesi a rafforzare il pluralismo informativo, ad allargare il mercato dei media, a rendere più concorrenziale quello della pubblicità, a qualificare infine il servizio pubblico televisivo e radiofonico, riscoprendone il valore in Italia e in Europa.

Il secondo punto, relativo a pace e sicurezza, non è meno cruciale del primo, a cui è tra l’altro strettamente legato: lo scenario mondiale è indispensabile per il nostro benessere quanto l’aria che respiriamo. L’aspetto più interessante risiede nel legame che il programma postula - superando così i tanti ideologici dibattiti sul terrorismo - tra il piano strategico della politica e quello degli interventi strutturali a favore dei paesi poveri. Da un lato, si auspica con forza che l’Europa divenga una potenza civile con influenza globale, in grado di parlare, finalmente, con una voce sola: tra le politiche indicate figurano la ricerca di una strategia unitaria contro il terrorismo, senza rimozioni, il rafforzamento del diritto internazionale e la protezione dei diritti umani, la costruzione di un multilateralismo efficace in grado di riflettere insieme gli interessi europei e americani (mettendo fine al drammatico antagonismo tra Europa e Stati Uniti di cui la sciagurata amministrazione Bush è il principale colpevole), la promozione della democrazia del mondo arabo attraverso il sostegno ai molteplici fermenti di libertà e crescita, la soluzione del conflitto israelo-palestinese, la stabilizzazione dell’Iraq democratico e la neutralizzazione del rischio nucleare iraniano attraverso l’evoluzione dello stesso Iran. In breve, la creazione di una leadership europea, concretamente visibile attraverso l’istituzione di un ministro degli esteri europeo e la successiva creazione di un servizio diplomatico europeo, l’integrazione crescente delle forze militari, l’armonizzazione delle posizioni nelle Nazioni Unite - alla cui riforma, si sottolinea, l’Europa deve contribuire - fino all’istituzione di un seggio europeo nel Consiglio di sicurezza.

Dall’altro, questo significativo insieme di misure, tuttavia, non può essere mai sufficiente se a esso non si accompagnano ingenti aiuti ai paesi in via di sviluppo. In questo senso, il programma ribadisce l’importanza di misure note, ma purtroppo altrettanto ignorate: azzeramento del debito degli stati più poveri, liberalizzazione dei mercati e abolizione del protezionismo agricolo, affermazione e difesa dei diritti umani ovunque siano negati, lotta senza mezzi termini allo sfruttamento del lavoro e della prostituzione minorile. Il perseguimento sistematico di queste misure consentirebbe inoltre di attenuare il più acuto e imponente problema che l’Europa si trova a fronteggiare, quello dell’immigrazione, con i suoi drammatici risvolti umani che le vicende di quest’estate non hanno smesso di ricordarci. A questo proposito, nel programma si invoca con grande forza una politica europea comune, finora drammaticamente mancante. Essa dovrebbe tradursi, in sintesi, nel coordinamento tra gli stati membri circa le politiche degli afflussi, nella cooperazione alla gestione esterna delle frontiere dell’Unione, in procedure comuni per la concessione dello status di rifugiato, nell’assunzione del peso delle emergenze umanitarie da parte dell’Unione, infine nel disegno di reti di protezioni sociali di ultima istanze coordinate tra loro, in modo che l’afflusso non si diriga dove più favorevoli sono le protezioni concesse.

Un ultimo, ma non meno importante, ambito di intervento è quello cui il programma non a caso dedica lo spazio più ampio, ovvero il complesso nodo che lega, come anticipato, economia, lavoro e stato sociale. Sebbene i singoli aspetti siano esaminati singolarmente e in dettaglio, è possibile anzitutto evidenziare il filo comune che unisce le misure che il programma indica nei diversi settori: valorizzazione del “capitale umano” e lotta senza tregua ai meccanismi che favoriscono l’ereditarietà sociale. In questa direzione, un punto centrale dell’agenda risiede nella promozione del mercato e della concorrenza, attraverso una politica liberalizzatrice, il cui intervento spazi dalle utilities alle professioni (attraverso la creazione di imprese multi-professionali integrate), dall’energia alla distribuzione, abbattendo così rendite e monopoli generatori di iniquità.

Su questo punto, si ribadisce con forza, «non si può restare in mezzo al guado». Di nuovo, lo slancio liberalizzatore non può che andare di pari passo con un rafforzamento delle regole, in grado di ricreare quel clima di fiducia tra consumatori, banche e aziende, che in questi mesi ha drammaticamente toccato il suo livello più basso: per questo si prevede, oltre a una riforma complessiva del sistema dei controlli italiani, il rilancio del ruolo delle Autorità di vigilanza, l’istituzione di una Centrale dei rischi europea (che fornisca alle prime e alle banche dati in tempo reale sulla posizione di ogni impresa) e di una Commissione di Vigilanza europea che coordini le operazioni delle varie agenzie nazionali di sorveglianza sui mercati e sull’attività di emissione di titoli da parte delle imprese, la promulgazione di una legge sulle acquisizioni societarie; e, ancora, una vigilanza attenta sulla catena distributiva dei prodotti al fine di renderla più efficiente, una maggiore rappresentanza in Europa delle associazioni dei consumatori, la ridefinizione dei panieri su cui è calcolata l’inflazione, la creazione di strumenti che favoriscano il ricorso a forme di azioni collettiva per i risarcimenti.

Uno sguardo attento è rivolto alle imprese, giustamente viste come un motore importante dello sviluppo e come potenziali creatrici di posti di lavoro. A questo proposito, il programma prevede un ingente insieme di misure: politiche per una maggiore cooperazione tra imprese e università; realizzazione di infrastrutture europee e nazionali; rivoluzione dei rapporti tra imprese e burocrazia con un più facile accesso al credito che premi qualità e merito, l’armonizzazione delle legislazioni europee e della segmentazione nazionale del credito e la creazione (che non riguarda certo solo le imprese) di tribunali specializzati in materia commerciale; armonizzazione dei tributi che possono distorcere la concorrenza; rafforzamento dei fondi di partecipazione (previdenziali e non) per alimentare un nuovo canale di finanziamento delle imprese; defiscalizzazione degli utili investiti laddove si tratti di investimenti in sviluppo e ricerca e promozione dei crediti di imposta per gli investimenti privati in ricerca e innovazione; neutralizzazione fiscale delle operazioni di fusione e cessione delle aziende; una speciale protezione delle etichette e dei marchi italiani europei.

Una attenzione tutta particolare è dedicata al sud, del quale si intendono in primo luogo valorizzare le straordinarie risorse storiche e paesaggistiche. Per rilanciare lo sviluppo e la competitività del meridione si intende inoltre creare una Banca euro-mediterranea, che diventi strumento di finanziamento di infrastrutture e di promozione delle imprese.

Altra tappa delicata e decisiva, in conclusione, è quella della riforma del welfare. Il triste, e assurdo, paradosso per cui lo stato sociale è divenuto quasi ragione di esclusione sociale per molti viene rimarcato con forza, per poi auspicare un rovesciamento di prospettiva, sulla scia di importanti studi internazionali, ma anche di politiche già attuate per esempio nei paesi scandinavi. Da “passivo” il welfare deve diventare “attivo”, in un doppio senso: sia perché ha il compito di promuovere l’autonomia dei singoli e la loro libertà, sia perché le sue misure non devono essere unicamente rivolte a coloro che non sono autonomi ma anche a chi è nel pieno dell’attività lavorativa e familiare, con conseguenti rischi di logoramento. In ogni caso, nessuna delle misure indicate mette in discussione il carattere universalistico dei servizi sanitari, scolastici e sociali: piuttosto, ne ribadisce la centralità ai fini del perseguimento degli obiettivi previsti.

Alcune delle misure più significative sono le seguenti: lotta all’evasione scolastica e alla povertà tra i minori, (con l’adesione dell’Unione alla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo); creazione (potremmo diremmo ex novo) di una rete di servizi educativi e di assistenza familiare per i bambini, primi tra tutti gli asili nido territoriali dai quali, nonostante il tanto denunciato crollo delle nascite, gran parte dei bambini restano fuori; incentivi e crediti di imposta per le famiglie e razionalizzazione degli aiuti a essi rivolti; riforma degli ammortizzatori sociali e progressiva introduzione del reddito minimo come istituzione cardine di cittadinanza europea; introduzione di tutele per i cosiddetti lavoratori flessibili e creazione di una continuità contributiva attraverso l’armonizzazione e il rafforzamento della cornice regolativa della previdenza integrativa per la creazione di un mercato europeo dei fondi pensione; potenziamento dei servizi sanitari e dell’assistenza domiciliare e non agli anziani, valorizzazione del prezioso contributo del terzo settore.

 

 

 

 

 

 

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