E’ uscito, allegato al numero 85 di Reset,
Parole nuove per l’Ulivo, il
programma di Giuliano Amato per le passate elezioni
europee con una introduzione di Romano Prodi -- “Ripartire
da qui” --, un’indagine Makno sul linguaggio
politico che spiega come dai primi test il documento
risulti una gradita sorpresa per chiarezza e novità
e un articolo di Mario Abis, presidente della società
di ricerca.
«Siamo entrati nel XXI secolo sentendoci intorno
un mondo profondamente cambiato; un mondo nel quale
buona parte dei nostri punti di riferimento si sono
spostati e il futuro che ci aspetta è incerto
e non è affatto detto che per noi europei sia
migliore». Con questa breve riflessione si apre
il programma curato da Giuliano Amato in vista delle
elezioni europee del 2004, che «Reset»
pubblica, a distanza di pochi mesi, in allegato al
numero 85 della rivista e che lo stesso Romano Prodi,
definisce, nella introduzione al volumetto, come la
base del nuovo programma dell’Ulivo. Poche parole
che ci fanno capire come coloro che lo hanno scritto
siano consapevoli della complessità dell’attuale
scena politica ed economica, e soprattutto del tutto
scevri da quell’ottimismo pregiudiziale, profondamente
nefasto, oggi così in voga. Altrettanto chiara
è tuttavia, agli occhi degli autori, la convinzione
che l’inquietante dispiegamento di incognite
non ci lascia inermi di fronte al futuro.
La contingenza che strutturalmente caratterizza ogni
azione umana – in primo luogo quella politica,
qui chiamata in causa – ha una doppia faccia:
se da un lato essa significa l’incontro con
limiti e rischi, dall’altra indica che tutto
è possibile, e che l’azione riformatrice
che permette il governo del cambiamento, in direzione
non solo a noi benigna, ma portatrice di possibilità
di emancipazione altrettanto inedite, è interamente
nelle nostre mani. Perché avvenga ciò,
tuttavia, bisogna compiere una vera e propria rotazione
dello sguardo, un radicale cambiamento di scala, “territoriale”
e culturale insieme: «Le trasformazioni del
mondo entrano infatti nelle nostre case, ma non è
certo da lì che le possiamo orientare. È
l’Europa che ci permette di farlo».
Oltre alla fede europeista, un filo rosso che lega
gli interventi presentati è la volontà
di valorizzare la persona in quanto soggetto portatore
di capacità, motivazioni, speranze e soprattutto
desiderio di libertà. L’assunto implicito
in tutti i provvedimenti risiede nella convinzione
che ogni persona, se priva di zavorre materiali, psicologiche
e culturali, tende naturalmente a protendersi verso
il futuro e a migliorare la sua condizione, esaltando
gli aspetti di autonomia piuttosto che quelli di passività.
Lo slancio liberalizzatore non significa in nessun
caso una sorta di concessione a un liberismo indisciplinato
che incide così dolorosamente sulle vite dei
singoli; esso è invece motivato dal medesimo
obiettivo che anima la strenua difesa dello stato
sociale, naturalmente profondamente rivisto nel senso,
appunto, della promozione dell’autonomia dei
singoli e non di un incitamento alla passività.
D’altro canto, la giusta convinzione che anima
questo programma è infatti quella secondo cui
una liberalizzazione dei servizi e delle professioni
avvantaggerebbe precisamente i più deboli,
coloro che più sono gravati dall’inflazione
e dagli altissimi costi - che non hanno eguali in
Europa - di banche, assicurazioni, energia, e bollette.
La mentalità protezionistica quasi sempre ha
come scopo la conservazione di comode nicchie di potere,
di ambiti protetti che impediscono la mobilità
sociale, vero ossigeno di una società equa.
Un ultimo aspetto, infine, accompagna e unisce le
accurate riforme che il programma disegna. Si tratta
della demolizione di antitesi antiche, ma ancora diffuse.
Oltre alla contrapposizione tra welfare state e sviluppo,
una seconda viene messa in discussione con forza:
quella che esiste tra aspetti “materiali”
dell’esistenza da un lato e prospettive valoriali
e culturali dall’altro. Non si tratta soltanto
di ribadire che la conoscenza serve allo sviluppo
e viceversa ma, ancora più radicalmente, di
sottolineare la completa insensatezza della distinzione
tra teoria e produzione, ricerca e industria, in breve
cervello e manodopera, per così dire, in tutti
gli ambiti vitali e sociali. Non a caso, dunque, le
misure previste per i settori cruciali della scuola
e dell’università, qui anticipate proprio
in virtù della loro importanza («La scuola
è cardine di una società europea»),
consistono sia nella lotta contro una precoce biforcazione
tra istruzione e formazione professionale, sia nel
recupero dell’antica idea di universitas medioevale,
intrinsecamente europea e transnazionale.
Di qui, per un verso, gli interventi a favore degli
studenti meno agiati, attraverso l’ampliamento
del sistema di borse di studio dei servizi abitativi
e logistici, e la creazione di un sistema di prestiti
da restituire una volta laureati; per l’altro,
misure volte alla creazione di centri di eccellenza
internazionale, che favoriscano tra l’altro
la mobilità di professori, ricercatori e studenti
nei vari paesi e portino a un sistema comune per la
valutazione della ricerca.
Vivibilità dell’ambiente, pace e sicurezza,
“capitale umano”. Questi, in sintesi,
gli ambiti fondamentali di intervento. In altre parole,
qualità dell’ambiente, equilibrio geopolitico
mondiale e, infine, quel complesso nodo che lega economia,
lavoro e stato sociale, ma anche i già citati
ambiti della scuola e dell’università.
L’attenzione alla cura del nostro habitat
nasce dalla intuizione, forse banale ma così
spesso dimenticata, che esso costituisce la base senza
quale nessuna azione sarebbe possibile. Il punto strategico
su cui maggiormente si insiste riguarda la possibilità
di produrre energia senza l’utilizzo di combustibili
fossili, che non solo non sono infiniti, ma sono oggetto
delle contese, in futuro sempre più aspre,
di quei paesi che si affacciano con forza allo sviluppo,
cioè indiani e cinesi.
Promuovere e rafforzare politiche sostenibili di
consumo energetico e di protezione ambientale del
territorio è pertanto un obiettivo lungimirante
e prioritario. A esso, sempre in relazione all’ambiente,
si affiancano altri, non secondari, obiettivi: un’attenzione
crescente all’habitat urbano, e alle
persone più deboli che in esso vivono come
bambini e anziani, sia nel senso della creazione di
spazi verdi e ricreativi sia in quello della lotta
alla criminalità e al racket; interventi per
la sicurezza alimentare e lo sviluppo dell’agricoltura
biologica; incentivazione massiccia di mezzi di trasporto
alternativi all’automobile; infine, poiché,
oltre a quello fisico, anche l’ambiente culturale
influisce in maniera significativa sulle nostre vite,
è previsto un programma straordinario di restauro
di tutti i centri storici degradati, in particolare
quelli del sud, con l’istituzione di una Agenzia
europea per la conservazione e il restauro con sede
in Italia.
Un impegno speciale è preso, infine, per la
qualità del nostro “habitat
mediatico”, con interventi tesi a rafforzare
il pluralismo informativo, ad allargare il mercato
dei media, a rendere più concorrenziale quello
della pubblicità, a qualificare infine il servizio
pubblico televisivo e radiofonico, riscoprendone il
valore in Italia e in Europa.
Il secondo punto, relativo a pace e sicurezza, non
è meno cruciale del primo, a cui è tra
l’altro strettamente legato: lo scenario mondiale
è indispensabile per il nostro benessere quanto
l’aria che respiriamo. L’aspetto più
interessante risiede nel legame che il programma postula
- superando così i tanti ideologici dibattiti
sul terrorismo - tra il piano strategico della politica
e quello degli interventi strutturali a favore dei
paesi poveri. Da un lato, si auspica con forza che
l’Europa divenga una potenza civile con influenza
globale, in grado di parlare, finalmente, con una
voce sola: tra le politiche indicate figurano la ricerca
di una strategia unitaria contro il terrorismo, senza
rimozioni, il rafforzamento del diritto internazionale
e la protezione dei diritti umani, la costruzione
di un multilateralismo efficace in grado di riflettere
insieme gli interessi europei e americani (mettendo
fine al drammatico antagonismo tra Europa e Stati
Uniti di cui la sciagurata amministrazione Bush è
il principale colpevole), la promozione della democrazia
del mondo arabo attraverso il sostegno ai molteplici
fermenti di libertà e crescita, la soluzione
del conflitto israelo-palestinese, la stabilizzazione
dell’Iraq democratico e la neutralizzazione
del rischio nucleare iraniano attraverso l’evoluzione
dello stesso Iran. In breve, la creazione di una leadership
europea, concretamente visibile attraverso l’istituzione
di un ministro degli esteri europeo e la successiva
creazione di un servizio diplomatico europeo, l’integrazione
crescente delle forze militari, l’armonizzazione
delle posizioni nelle Nazioni Unite - alla cui riforma,
si sottolinea, l’Europa deve contribuire - fino
all’istituzione di un seggio europeo nel Consiglio
di sicurezza.
Dall’altro, questo significativo insieme di
misure, tuttavia, non può essere mai sufficiente
se a esso non si accompagnano ingenti aiuti ai paesi
in via di sviluppo. In questo senso, il programma
ribadisce l’importanza di misure note, ma purtroppo
altrettanto ignorate: azzeramento del debito degli
stati più poveri, liberalizzazione dei mercati
e abolizione del protezionismo agricolo, affermazione
e difesa dei diritti umani ovunque siano negati, lotta
senza mezzi termini allo sfruttamento del lavoro e
della prostituzione minorile. Il perseguimento sistematico
di queste misure consentirebbe inoltre di attenuare
il più acuto e imponente problema che l’Europa
si trova a fronteggiare, quello dell’immigrazione,
con i suoi drammatici risvolti umani che le vicende
di quest’estate non hanno smesso di ricordarci.
A questo proposito, nel programma si invoca con grande
forza una politica europea comune, finora drammaticamente
mancante. Essa dovrebbe tradursi, in sintesi, nel
coordinamento tra gli stati membri circa le politiche
degli afflussi, nella cooperazione alla gestione esterna
delle frontiere dell’Unione, in procedure comuni
per la concessione dello status di rifugiato, nell’assunzione
del peso delle emergenze umanitarie da parte dell’Unione,
infine nel disegno di reti di protezioni sociali di
ultima istanze coordinate tra loro, in modo che l’afflusso
non si diriga dove più favorevoli sono le protezioni
concesse.
Un ultimo, ma non meno importante, ambito di intervento
è quello cui il programma non a caso dedica
lo spazio più ampio, ovvero il complesso nodo
che lega, come anticipato, economia, lavoro e stato
sociale. Sebbene i singoli aspetti siano esaminati
singolarmente e in dettaglio, è possibile anzitutto
evidenziare il filo comune che unisce le misure che
il programma indica nei diversi settori: valorizzazione
del “capitale umano” e lotta senza tregua
ai meccanismi che favoriscono l’ereditarietà
sociale. In questa direzione, un punto centrale dell’agenda
risiede nella promozione del mercato e della concorrenza,
attraverso una politica liberalizzatrice, il cui intervento
spazi dalle utilities alle professioni (attraverso
la creazione di imprese multi-professionali integrate),
dall’energia alla distribuzione, abbattendo
così rendite e monopoli generatori di iniquità.
Su questo punto, si ribadisce con forza, «non
si può restare in mezzo al guado». Di
nuovo, lo slancio liberalizzatore non può che
andare di pari passo con un rafforzamento delle regole,
in grado di ricreare quel clima di fiducia tra consumatori,
banche e aziende, che in questi mesi ha drammaticamente
toccato il suo livello più basso: per questo
si prevede, oltre a una riforma complessiva del sistema
dei controlli italiani, il rilancio del ruolo delle
Autorità di vigilanza, l’istituzione
di una Centrale dei rischi europea (che fornisca alle
prime e alle banche dati in tempo reale sulla posizione
di ogni impresa) e di una Commissione di Vigilanza
europea che coordini le operazioni delle varie agenzie
nazionali di sorveglianza sui mercati e sull’attività
di emissione di titoli da parte delle imprese, la
promulgazione di una legge sulle acquisizioni societarie;
e, ancora, una vigilanza attenta sulla catena distributiva
dei prodotti al fine di renderla più efficiente,
una maggiore rappresentanza in Europa delle associazioni
dei consumatori, la ridefinizione dei panieri su cui
è calcolata l’inflazione, la creazione
di strumenti che favoriscano il ricorso a forme di
azioni collettiva per i risarcimenti.
Uno sguardo attento è rivolto alle imprese,
giustamente viste come un motore importante dello
sviluppo e come potenziali creatrici di posti di lavoro.
A questo proposito, il programma prevede un ingente
insieme di misure: politiche per una maggiore cooperazione
tra imprese e università; realizzazione di
infrastrutture europee e nazionali; rivoluzione dei
rapporti tra imprese e burocrazia con un più
facile accesso al credito che premi qualità
e merito, l’armonizzazione delle legislazioni
europee e della segmentazione nazionale del credito
e la creazione (che non riguarda certo solo le imprese)
di tribunali specializzati in materia commerciale;
armonizzazione dei tributi che possono distorcere
la concorrenza; rafforzamento dei fondi di partecipazione
(previdenziali e non) per alimentare un nuovo canale
di finanziamento delle imprese; defiscalizzazione
degli utili investiti laddove si tratti di investimenti
in sviluppo e ricerca e promozione dei crediti di
imposta per gli investimenti privati in ricerca e
innovazione; neutralizzazione fiscale delle operazioni
di fusione e cessione delle aziende; una speciale
protezione delle etichette e dei marchi italiani europei.
Una attenzione tutta particolare è dedicata
al sud, del quale si intendono in primo luogo valorizzare
le straordinarie risorse storiche e paesaggistiche.
Per rilanciare lo sviluppo e la competitività
del meridione si intende inoltre creare una Banca
euro-mediterranea, che diventi strumento di finanziamento
di infrastrutture e di promozione delle imprese.
Altra tappa delicata e decisiva, in conclusione,
è quella della riforma del welfare.
Il triste, e assurdo, paradosso per cui lo stato sociale
è divenuto quasi ragione di esclusione sociale
per molti viene rimarcato con forza, per poi auspicare
un rovesciamento di prospettiva, sulla scia di importanti
studi internazionali, ma anche di politiche già
attuate per esempio nei paesi scandinavi. Da “passivo”
il welfare deve diventare “attivo”,
in un doppio senso: sia perché ha il compito
di promuovere l’autonomia dei singoli e la loro
libertà, sia perché le sue misure non
devono essere unicamente rivolte a coloro che non
sono autonomi ma anche a chi è nel pieno dell’attività
lavorativa e familiare, con conseguenti rischi di
logoramento. In ogni caso, nessuna delle misure indicate
mette in discussione il carattere universalistico
dei servizi sanitari, scolastici e sociali: piuttosto,
ne ribadisce la centralità ai fini del perseguimento
degli obiettivi previsti.
Alcune delle misure più significative sono
le seguenti: lotta all’evasione scolastica e
alla povertà tra i minori, (con l’adesione
dell’Unione alla Convenzione di New York del
1989 sui diritti del fanciullo); creazione (potremmo
diremmo ex novo) di una rete di servizi educativi
e di assistenza familiare per i bambini, primi tra
tutti gli asili nido territoriali dai quali, nonostante
il tanto denunciato crollo delle nascite, gran parte
dei bambini restano fuori; incentivi e crediti di
imposta per le famiglie e razionalizzazione degli
aiuti a essi rivolti; riforma degli ammortizzatori
sociali e progressiva introduzione del reddito minimo
come istituzione cardine di cittadinanza europea;
introduzione di tutele per i cosiddetti lavoratori
flessibili e creazione di una continuità contributiva
attraverso l’armonizzazione e il rafforzamento
della cornice regolativa della previdenza integrativa
per la creazione di un mercato europeo dei fondi pensione;
potenziamento dei servizi sanitari e dell’assistenza
domiciliare e non agli anziani, valorizzazione del
prezioso contributo del terzo settore.
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