258 - 31.07.04


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A ciascuno il suo commissario
Daniele Castellani Perelli

I sonni degli europeisti non sono tranquilli. Le modalità con cui si è arrivati alla nomina di Manuel Durão Barroso alla presidenza della Commissione europea, e quelle con cui ci si appresta ad indicare i commissari di Bruxelles, fanno temere il ritorno dei nazionalismi nel vecchio continente. La crisi dei partiti europei, mai evidente come in questa occasione, non è che lo specchio dell'attuale mancanza di uno spirito unitario.

Sebbene i trattati affidino al Consiglio dei governi l'indicazione del Presidente della Commissione, è naturale ritenere auspicabile, se si crede nell'Europa, un sistema in cui siano dei partiti autenticamente continentali, trasnazionali, a scegliere i membri della Commissione. Un sistema cioè in cui, essendo tutti ugualmente europei, discriminante siano il valore dei candidati e le loro idee politiche, non la loro provenienza geografica (come se per il governo italiano ogni Regione dovesse indicare un suo uomo). Lo ha scritto molto bene Eugenio Scalfari, il 20 giugno scorso su "la Repubblica", spiegando come oggi i tedeschi votano i parlamentari tedeschi, gli italiani gli italiani, e "dunque non è un vero Parlamento dove i cittadini di una comunità votano i loro membri sulla base di suffragio universale e di appartenenze politiche". "La più urgente riforma da introdurre sarebbe dunque", secondo Scalfari, "quella di modificare il modo di elezione introducendo liste e campagne elettorali transnazionali". Nascerebbero infatti "così (e solo così possono effettivamente nascere) partiti europei veri e propri, con conseguenze importanti anche sulla composizione delle maggioranze parlamentari nei Parlamenti locali (nazionali). Conseguenza non automatica ma di trascinamento, cosa che attualmente non può avvenire".

La realtà: il dominio dei capi di governo

Invece i commissari di Barroso si apprestano ad essere nominati secondo una ragione geografica (un commissario per ogni paese), così come d'altronde indicano i trattati. E' vero che lo stesso è già avvenuto con l'esecutivo Prodi, ma la cosa che inquieta è che ancora oggi non si senta la necessità di slegare i commissari dal concetto di nazionalità. Anzi, se la bozza di Giscard prevedeva dal 1 novembre 2009 quindici membri scelti a rotazione tra gli Stati (essendo 25 i paesi dell'Unione), il testo costituzionale appena approvato prevede un membro per paese fino al 2014. A preoccupare altrettanto è la brama con cui i vari primi ministri sono corsi a difendere il proprio "interesse nazionale", con la Germania a pretendere Günter Verheugen supercommissario all'Industria, la Francia Jacques Barrot al Mercato interno, la Spagna Javier Solana agli Esteri.

Sarebbe stato invece un doppio segnale di europeismo se si fossero scelti i commissari coinvolgendo di più i partiti europei, i cui rappresentanti sono gli unici ad avere peraltro una diretta investitura popolare di tipo continentale. E invece la tendenza nazionalista è emersa sia in quei governi che, da un punto di vista "europeista", siamo più abituati a considerare "cattivi" (nazionalisti e filoamericani) sia nei "buoni" (più federalisti e per una Ue autonoma dagli Usa). Tra questi ultimi, infatti, Chirac e Schroeder (che già avevano arrogantemente sfidato la commissione con la violazione del patto di stabilità) hanno respinto la nomina del candidato popolare Chris Patten (proveniente dal partito vincitore delle elezioni) affermando che il vertice della Commissione "lo sceglie il Consiglio europeo e non un partito", e Chirac, sebbene il britannico fosse del suo stesso partito europeo (il Ppe), ha dichiarato: "Non mi sento legato a questa decisione". Lo stesso socialista Zapatero ha salutato con favore il conservatore Barroso per motivi nazionalisti, perché Spagna e Portogallo hanno molti interessi in comune".

Non in nome dell'Europa

La morale è che oggi contano solo i capi di governo, tant'è che, con una decisione che Giuliano Amato ha definito "cervellotica ma umanissima", il presidente Barroso è stato scelto tra i primi ministri. Nella realtà i partiti europei non contano nulla, e questo fa il gioco dei nazionalismi. Ppe e Pse sono boicottati da tutti i governi, si sono divisi al loro interno sulla candidatura alla presidenza della Commissione (i popolari francesi erano per il liberale Verhofstadt, i laburisti inglesi per il popolare Barroso), sulla politica estera (filoamericani i popolari spagnoli, antiamericani quelli francesi) e sulla stessa Costituzione (favorevoli i socialisti italiani, contrari quelli francesi).

Ben lontani dalla sostanziale compattezza dei partiti politici americani, quelli europei scompaiono dietro altri "partiti" trasversali e ogni volta diversi: nazionali, filoamericani/antiamericani, integrazionisti/euroscettici. Tutto può accadere, ma i presagi per il futuro sono cattivi. Barroso, come ha scritto Giuliano Amato su "Il sole 24 Ore", è "l'ultimo che rimaneva e che non destava alcun particolare sentimento, né di approvazione, né di disapprovazione". Nel suo esecutivo siederanno socialisti, popolari e liberali. Come potranno concordare sulla politica estera Solana, contrario alla guerra in Iraq, e Barroso, l'ospite di Bush, Blair e Aznar al vertice delle Azzorre? Non sarà una "grande coalizione", ma un miscuglio lottizzato. In cui i capi di governo, dopo il lungo braccio di ferro con l'ex presidente Prodi, si apprestano a fare un solo boccone della Commissione. Sicuramente non in nome dell'Europa.

 




 

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