I
sonni degli europeisti non sono tranquilli. Le modalità
con cui si è arrivati alla nomina di Manuel Durão
Barroso alla presidenza della Commissione europea, e
quelle con cui ci si appresta ad indicare i commissari
di Bruxelles, fanno temere il ritorno dei nazionalismi
nel vecchio continente. La crisi dei partiti europei,
mai evidente come in questa occasione, non è
che lo specchio dell'attuale mancanza di uno spirito
unitario.
Sebbene i trattati affidino al Consiglio dei governi
l'indicazione del Presidente della Commissione, è
naturale ritenere auspicabile, se si crede nell'Europa,
un sistema in cui siano dei partiti autenticamente
continentali, trasnazionali, a scegliere i membri
della Commissione. Un sistema cioè in cui,
essendo tutti ugualmente europei, discriminante siano
il valore dei candidati e le loro idee politiche,
non la loro provenienza geografica (come se per il
governo italiano ogni Regione dovesse indicare un
suo uomo). Lo ha scritto molto bene Eugenio
Scalfari, il 20 giugno scorso su "la Repubblica",
spiegando come oggi i tedeschi votano i parlamentari
tedeschi, gli italiani gli italiani, e "dunque
non è un vero Parlamento dove i cittadini di
una comunità votano i loro membri sulla base
di suffragio universale e di appartenenze politiche".
"La più urgente riforma da introdurre
sarebbe dunque", secondo Scalfari, "quella
di modificare il modo di elezione introducendo liste
e campagne elettorali transnazionali". Nascerebbero
infatti "così (e solo così possono
effettivamente nascere) partiti europei veri e propri,
con conseguenze importanti anche sulla composizione
delle maggioranze parlamentari nei Parlamenti locali
(nazionali). Conseguenza non automatica ma di trascinamento,
cosa che attualmente non può avvenire".
La realtà: il dominio dei capi di governo
Invece
i commissari di Barroso si apprestano ad essere nominati
secondo una ragione geografica (un commissario per
ogni paese), così come d'altronde indicano
i trattati. E' vero che lo stesso è già
avvenuto con l'esecutivo Prodi, ma la cosa che inquieta
è che ancora oggi non si senta la necessità
di slegare i commissari dal concetto di nazionalità.
Anzi, se la bozza di Giscard prevedeva dal 1 novembre
2009 quindici membri scelti a rotazione tra gli Stati
(essendo 25 i paesi dell'Unione), il testo costituzionale
appena approvato prevede un membro per paese fino
al 2014. A preoccupare altrettanto è la brama
con cui i vari primi ministri sono corsi a difendere
il proprio "interesse nazionale", con la
Germania a pretendere Günter Verheugen supercommissario
all'Industria, la Francia Jacques Barrot al Mercato
interno, la Spagna Javier Solana agli Esteri.
Sarebbe stato invece un doppio segnale di europeismo
se si fossero scelti i commissari coinvolgendo di
più i partiti europei, i cui rappresentanti
sono gli unici ad avere peraltro una diretta investitura
popolare di tipo continentale. E invece la tendenza
nazionalista è emersa sia in quei governi che,
da un punto di vista "europeista", siamo
più abituati a considerare "cattivi"
(nazionalisti e filoamericani) sia nei "buoni"
(più federalisti e per una Ue autonoma dagli
Usa). Tra questi ultimi, infatti, Chirac e Schroeder
(che già avevano arrogantemente sfidato la
commissione con la violazione del patto di stabilità)
hanno respinto la nomina del candidato popolare Chris
Patten (proveniente dal partito vincitore delle elezioni)
affermando che il vertice della Commissione "lo
sceglie il Consiglio europeo e non un partito",
e Chirac, sebbene il britannico fosse del suo stesso
partito europeo (il Ppe), ha dichiarato: "Non
mi sento legato a questa decisione". Lo stesso
socialista Zapatero ha salutato con favore il conservatore
Barroso per motivi nazionalisti, perché Spagna
e Portogallo hanno molti interessi in comune".
Non in nome dell'Europa
La morale è che oggi contano solo i capi di
governo, tant'è che, con una decisione che
Giuliano Amato ha definito "cervellotica ma umanissima",
il presidente Barroso è stato scelto tra i
primi ministri. Nella realtà i partiti europei
non contano nulla, e questo fa il gioco dei nazionalismi.
Ppe e Pse sono boicottati da tutti i governi, si sono
divisi al loro interno sulla candidatura alla presidenza
della Commissione (i popolari francesi erano per il
liberale Verhofstadt, i laburisti inglesi per il popolare
Barroso), sulla politica estera (filoamericani i popolari
spagnoli, antiamericani quelli francesi) e sulla stessa
Costituzione (favorevoli i socialisti italiani, contrari
quelli francesi).
Ben lontani dalla sostanziale compattezza dei partiti
politici americani, quelli europei scompaiono dietro
altri "partiti" trasversali e ogni volta
diversi: nazionali, filoamericani/antiamericani, integrazionisti/euroscettici.
Tutto può accadere, ma i presagi per il futuro
sono cattivi. Barroso, come ha scritto Giuliano Amato
su "Il sole 24 Ore", è "l'ultimo
che rimaneva e che non destava alcun particolare sentimento,
né di approvazione, né di disapprovazione".
Nel suo esecutivo siederanno socialisti, popolari
e liberali. Come potranno concordare sulla politica
estera Solana, contrario alla guerra in Iraq, e Barroso,
l'ospite di Bush, Blair e Aznar al vertice delle Azzorre?
Non sarà una "grande coalizione",
ma un miscuglio lottizzato. In cui i capi di governo,
dopo il lungo braccio di ferro con l'ex presidente
Prodi, si apprestano a fare un solo boccone della
Commissione. Sicuramente non in nome dell'Europa.
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