
Negli
ultimi decenni, caratterizzati dall'intreccio tra tendenza
all'internazionalizzazione e importanza dello sviluppo
di aree locali, la Polonia ha maturato una posizione
assai diversa da quella che aveva quando apparteneva
all'Europa sovietica. Qualche aneddoto aiuterà
a chiarire quello che voglio dire.
Durante la Prima Guerra del Golfo ero Primo Ministro
della Polonia; quando gli americani lanciarono i primi
missili su Baghdad, ero a casa mia e assistevo ai
bombardamenti in diretta, sintonizzato sulle frequenze
della Cnn. Qualche ora dopo - penso fossero le due
di mattina - ricevetti una telefonata ufficiale dal
comando militare. Mi dissero che, secondo le migliori
fonti a nostra disposizione e i servizi segreti, in
Iraq era scoppiata la guerra. "Sì, lo
so: ho seguito i bombardamenti in televisione"
risposi. L'ufficiale ne fu estremamente sorpreso.
Da allora sono passati dodici anni e in Iraq c'è
di nuovo la guerra. Si tratta, ancora una volta, di
un conflitto a cui partecipano gli Stati Uniti. Il
Primo ministro polacco, però, questa volta
non ha dovuto aspettare che gli arrivasse una telefonata
in ritardo dal comando militare per esserne informato,
tutti i dettagli gli sono stati forniti in anticipo
dai funzionari della Nato. In altre parole, le relazioni
internazionali della Polonia hanno fatto molta strada
durante l'ultimo decennio.
Potrei
ricordare giorni ancora più lontani: era il
novembre del 1981, c'era il primo congresso di Solidarnosc
a Gdansk. L'atmosfera positiva che si respirava allora
era quella di un nuovo inizio per la Polonia. All'ordine
del giorno era una mozione, dal titolo "Un messaggio
per i lavoratori dell'Europa dell'Est", che avevamo
sostenuto con molto entusiasmo; ma proprio mentre
i lavoratori, i sindacalisti e gli intellettuali polacchi
riuniti a Gdansk dichiaravano la loro solidarietà
ai loro amici dell'Europa dell'Est, da un'altra parte
il capo del partito comunista polacco, il generale
Jaruzelski e i suoi uomini erano impegnati nel definire
i dettagli della legge marziale. Ogni ottimismo sembrava
tristemente fuori luogo, eppure il nostro tempo sarebbe
venuto: otto anni dopo, i comunisti persero il potere
e le nazioni dell'Europa orientale iniziarono a rinascere.
Dopo decenni di repressione interna, dopo la guerra
fredda e la divisione dell'Europa, i primi governi
di solidarietà tentavano di superare questa
situazione di "normale anormalità".
L'unico modo per vincere la sfida era passare alla
democrazia e all'economia di mercato. Ma anche rompere
chiaramente con il passato, tagliando tutti i legami
che c'erano con i socialisti, o meglio, con i comunisti.
E' stato in quella prima fase, appena ottenuta l'indipendenza
e il diritto di scegliere, che abbiamo deciso di tagliare
i ponti con il falso internazionalismo, con il Patto
di Varsavia e con il Comecon. Era parte integrante
di questo processo anche la ricerca di nuove partnership
economiche e politiche che guardassero anche fuori
la prospettiva occidentale.
Per il mio governo, e per quelli successivi, aprirsi
ai trattati della Comunità Europea era solo
un aspetto tra tanti da considerare e sviluppare.
Ad esempio c'erano da rivalutare i nostri rapporti
con la Germania; altro passo importante è stato
il sostegno che il nostro paese ha dato ai cittadini
dell'Ucraina che lottavano per l'indipendenza, tanto
che ancora oggi posso sostenere con orgoglio che il
mio governo fu il primo al mondo a riconoscere l'indipendenza
dell'Ucraina. Questo, così come l'immediata
approvazione da parte della Polonia dell'unificazione
della Germania, sono gli esempi più evidenti
di decisioni che traevano la loro origine da quell'incontro
che si era svolto a Gdansk nel 1981.
Si trattava di scelte fondate su alcuni valori che
consideravamo essenziali. L'apertura all'Ucraina,
pure se non riguardava ancora i flussi economici,
in termini politici ha rafforzato non solo l'Ucraina
ma la Polonia stessa. E, per quanto possa suonare
un po' fuori moda, l'essenza delle politiche polacche,
dalla liberazione a oggi, è stata mossa da
uno spirito simile. Ritengo, ad esempio, che nei nuovi
stati membri dell'Unione la maggior parte dell'opinione
pubblica consideri la globalizzazione non come qualcosa
di deplorevole ma piuttosto come un'opportunità
grande e inevitabile. Dopo circa quarant'anni di isolamento
forzato e falso internazionalismo, il motto della
rivoluzione del 1989 non è stato solo "democrazia"
ma anche "apertura del mondo e al mondo",
"apertura dell'Europa e all'Europa". Questo
è il motivo per cui l'ingresso nell'Unione
è stato così ampiamente voluto dai nuovi
stati membri: insieme alla partecipazione alla Nato,
l'annessione all'Ue è stata considerata come
una garanzia di indipendenza contro un impossibile
ritorno delle vecchie minacce. Insomma è stata
l'occasione, per i paesi post-comunisti, di trasformarsi,
da oggetti a soggetti della storia in grado di determinare
il proprio destino.
E forse questo è il motivo per cui, durante
gli ultimi negoziati per la Costituzione Europea,
mentre il governo inglese voleva tracciare dei confini
che in pratica escludessero l'Europa da alcune decisioni,
la Polonia, come anche la Spagna, era più focalizzat
sui propri diritti all'interno dell'Unione.
Credo che la posizione polacca sia ancora molto legata
all'idea di una forte responsabilità. Paesi
come il nostro devono sempre riferirsi a valori tradizionali
di affidabilità, produttività, fedeltà,
solidarietà. E forse, dati gli attuali dissensi,
sono proprio questi valori l'unica reale possibilità
per riaffermare i legami transatlantici.
Consideriamo ora l'allargamento dell'Unione. Non
si tratterà di un allargamento facile, è
anzi molto probabile che si verifichi un vero e proprio
sconvolgimento all'interno dell'Ue. Sconvolgimento
causato dai diversi paradigmi politici, dalle diverse
tradizioni, insomma da una diversa forma mentis. Ma
anche da differenti situazioni economiche. Si pensi
al mercato del lavoro. Durante i negoziati i paesi
candidati a entrare lottarono molto perché
nell'Unione il mercato del lavoro fosse sostanzialmente
aperto. Tuttavia se la scelta non dovesse cadere sulla
flessibilità, probabilmente alla fine sarà
il lavoro a spostarsi verso i nuovi stati membri.
Penso, tanto per fare un esempio, all'evidente differenza
dei costi di assunzione per i colletti bianchi nei
diversi paesi europei. In Polonia i costi di assunzione
sono inferiori di circa un sesto rispetto a quelli
italiani e non c'è differenza nel grado di
produttività. Mercati del lavoro più
flessibili nell'Europa dell'Est potrebbero significare
una maggiore produttività anche grazie alla
maggiore disponibilità all'uso di nuove tecnologie
e di tecniche lavorative più efficienti.
Un altro terreno che andrà incontro a sconvolgimenti
sensibili è quello delle imposte. In particolare,
le tasse che pesano sulle imprese sono significativamente
più basse nei nuovi stati membri rispetto agli
altri paesi dell'Unione. L'esempio più chiaro
è quello dell'Estonia, dove le imprese straniere
non sono tassate. Ecco quindi che l'allargamento introdurrà,
all'interno dell'Unione Europea, un nuovo livello
di competizione sulle imposte che si combinerà
con stipendi significativamente bassi e con la riluttanza
degli europei occidentali a permettere ai lavoratori
dell'Est di cercare occupazione negli stati che da
più tempo sono membri dell'Unione. I nuovi
Paesi membri cercheranno, perciò, di spostare
l'offerta di lavoro dall'Ovest all'Est. Immaginiamo
quale potrebbe essere l'impatto se 74 milioni di europei
dell'Europa orientale tentassero di fare quello che
già hanno fatto gli irlandesi 10 o 20 anni
fa.
In conclusione, credo che la tradizione e la storia
della Polonia, come quelle degli altri Paesi dell'Est,
provino che l'allargamento dell'Unione porterà
un grande cambiamento in Europa. Forse è una
visione ottimistica ma ritengo che l'Europa occidentale
abbia bisogno di quella dose di freschezza e novità
che i Paesi dell'Europa dell'Est le possono offrire.
In altre parole, la Polonia e le altre nazioni entranti
sono ormai pronte a partecipare pienamente all'economia
internazionale e al governo europeo. Lo abbiamo già
provato gestendo il processo di democratizzazione,
liberalizzando il nostro mercato e rendendolo competitivo
e stabile. Sarebbe il caso perciò di abbandonare
l'idea che esistano stati membri "più
uguali" di altri, quando, per esempio, si va
a considerare il Patto di Stabilità. Spero
che un atteggiamento del genere ci permetta di muoverci
verso una migliore e più efficace cooperazione,
sostenuta e promossa anche dal messaggio di solidarietà
che la Polonia ha lanciato 20 anni fa, verso gli Stati
che da poco sono entrati a far parte dell'Unione e
nei confronti dei paesi che vi entreranno nei prossimi
anni.
Traduzione dall'inglese di Martina Toti
Jan Bielecki è Direttore della European
Bank, è stato Capo del Governo e Ministro per
l'Integrazione Europea in Polonia.
Quello sopra pubblicato è l'intervento tenuto
da Bielecki al convegno "Eu enlargement. Internationalization
and Local Development" svoltosi a Roma l'8 e
il 9 luglio 2004.
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