258 - 31.07.04


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Ora la Polonia è padrona del suo destino
Jan Bielecki

Negli ultimi decenni, caratterizzati dall'intreccio tra tendenza all'internazionalizzazione e importanza dello sviluppo di aree locali, la Polonia ha maturato una posizione assai diversa da quella che aveva quando apparteneva all'Europa sovietica. Qualche aneddoto aiuterà a chiarire quello che voglio dire.

Durante la Prima Guerra del Golfo ero Primo Ministro della Polonia; quando gli americani lanciarono i primi missili su Baghdad, ero a casa mia e assistevo ai bombardamenti in diretta, sintonizzato sulle frequenze della Cnn. Qualche ora dopo - penso fossero le due di mattina - ricevetti una telefonata ufficiale dal comando militare. Mi dissero che, secondo le migliori fonti a nostra disposizione e i servizi segreti, in Iraq era scoppiata la guerra. "Sì, lo so: ho seguito i bombardamenti in televisione" risposi. L'ufficiale ne fu estremamente sorpreso.
Da allora sono passati dodici anni e in Iraq c'è di nuovo la guerra. Si tratta, ancora una volta, di un conflitto a cui partecipano gli Stati Uniti. Il Primo ministro polacco, però, questa volta non ha dovuto aspettare che gli arrivasse una telefonata in ritardo dal comando militare per esserne informato, tutti i dettagli gli sono stati forniti in anticipo dai funzionari della Nato. In altre parole, le relazioni internazionali della Polonia hanno fatto molta strada durante l'ultimo decennio.

Potrei ricordare giorni ancora più lontani: era il novembre del 1981, c'era il primo congresso di Solidarnosc a Gdansk. L'atmosfera positiva che si respirava allora era quella di un nuovo inizio per la Polonia. All'ordine del giorno era una mozione, dal titolo "Un messaggio per i lavoratori dell'Europa dell'Est", che avevamo sostenuto con molto entusiasmo; ma proprio mentre i lavoratori, i sindacalisti e gli intellettuali polacchi riuniti a Gdansk dichiaravano la loro solidarietà ai loro amici dell'Europa dell'Est, da un'altra parte il capo del partito comunista polacco, il generale Jaruzelski e i suoi uomini erano impegnati nel definire i dettagli della legge marziale. Ogni ottimismo sembrava tristemente fuori luogo, eppure il nostro tempo sarebbe venuto: otto anni dopo, i comunisti persero il potere e le nazioni dell'Europa orientale iniziarono a rinascere.

Dopo decenni di repressione interna, dopo la guerra fredda e la divisione dell'Europa, i primi governi di solidarietà tentavano di superare questa situazione di "normale anormalità". L'unico modo per vincere la sfida era passare alla democrazia e all'economia di mercato. Ma anche rompere chiaramente con il passato, tagliando tutti i legami che c'erano con i socialisti, o meglio, con i comunisti. E' stato in quella prima fase, appena ottenuta l'indipendenza e il diritto di scegliere, che abbiamo deciso di tagliare i ponti con il falso internazionalismo, con il Patto di Varsavia e con il Comecon. Era parte integrante di questo processo anche la ricerca di nuove partnership economiche e politiche che guardassero anche fuori la prospettiva occidentale.

Per il mio governo, e per quelli successivi, aprirsi ai trattati della Comunità Europea era solo un aspetto tra tanti da considerare e sviluppare. Ad esempio c'erano da rivalutare i nostri rapporti con la Germania; altro passo importante è stato il sostegno che il nostro paese ha dato ai cittadini dell'Ucraina che lottavano per l'indipendenza, tanto che ancora oggi posso sostenere con orgoglio che il mio governo fu il primo al mondo a riconoscere l'indipendenza dell'Ucraina. Questo, così come l'immediata approvazione da parte della Polonia dell'unificazione della Germania, sono gli esempi più evidenti di decisioni che traevano la loro origine da quell'incontro che si era svolto a Gdansk nel 1981.

Si trattava di scelte fondate su alcuni valori che consideravamo essenziali. L'apertura all'Ucraina, pure se non riguardava ancora i flussi economici, in termini politici ha rafforzato non solo l'Ucraina ma la Polonia stessa. E, per quanto possa suonare un po' fuori moda, l'essenza delle politiche polacche, dalla liberazione a oggi, è stata mossa da uno spirito simile. Ritengo, ad esempio, che nei nuovi stati membri dell'Unione la maggior parte dell'opinione pubblica consideri la globalizzazione non come qualcosa di deplorevole ma piuttosto come un'opportunità grande e inevitabile. Dopo circa quarant'anni di isolamento forzato e falso internazionalismo, il motto della rivoluzione del 1989 non è stato solo "democrazia" ma anche "apertura del mondo e al mondo", "apertura dell'Europa e all'Europa". Questo è il motivo per cui l'ingresso nell'Unione è stato così ampiamente voluto dai nuovi stati membri: insieme alla partecipazione alla Nato, l'annessione all'Ue è stata considerata come una garanzia di indipendenza contro un impossibile ritorno delle vecchie minacce. Insomma è stata l'occasione, per i paesi post-comunisti, di trasformarsi, da oggetti a soggetti della storia in grado di determinare il proprio destino.

E forse questo è il motivo per cui, durante gli ultimi negoziati per la Costituzione Europea, mentre il governo inglese voleva tracciare dei confini che in pratica escludessero l'Europa da alcune decisioni, la Polonia, come anche la Spagna, era più focalizzat sui propri diritti all'interno dell'Unione.
Credo che la posizione polacca sia ancora molto legata all'idea di una forte responsabilità. Paesi come il nostro devono sempre riferirsi a valori tradizionali di affidabilità, produttività, fedeltà, solidarietà. E forse, dati gli attuali dissensi, sono proprio questi valori l'unica reale possibilità per riaffermare i legami transatlantici.

Consideriamo ora l'allargamento dell'Unione. Non si tratterà di un allargamento facile, è anzi molto probabile che si verifichi un vero e proprio sconvolgimento all'interno dell'Ue. Sconvolgimento causato dai diversi paradigmi politici, dalle diverse tradizioni, insomma da una diversa forma mentis. Ma anche da differenti situazioni economiche. Si pensi al mercato del lavoro. Durante i negoziati i paesi candidati a entrare lottarono molto perché nell'Unione il mercato del lavoro fosse sostanzialmente aperto. Tuttavia se la scelta non dovesse cadere sulla flessibilità, probabilmente alla fine sarà il lavoro a spostarsi verso i nuovi stati membri.

Penso, tanto per fare un esempio, all'evidente differenza dei costi di assunzione per i colletti bianchi nei diversi paesi europei. In Polonia i costi di assunzione sono inferiori di circa un sesto rispetto a quelli italiani e non c'è differenza nel grado di produttività. Mercati del lavoro più flessibili nell'Europa dell'Est potrebbero significare una maggiore produttività anche grazie alla maggiore disponibilità all'uso di nuove tecnologie e di tecniche lavorative più efficienti.

Un altro terreno che andrà incontro a sconvolgimenti sensibili è quello delle imposte. In particolare, le tasse che pesano sulle imprese sono significativamente più basse nei nuovi stati membri rispetto agli altri paesi dell'Unione. L'esempio più chiaro è quello dell'Estonia, dove le imprese straniere non sono tassate. Ecco quindi che l'allargamento introdurrà, all'interno dell'Unione Europea, un nuovo livello di competizione sulle imposte che si combinerà con stipendi significativamente bassi e con la riluttanza degli europei occidentali a permettere ai lavoratori dell'Est di cercare occupazione negli stati che da più tempo sono membri dell'Unione. I nuovi Paesi membri cercheranno, perciò, di spostare l'offerta di lavoro dall'Ovest all'Est. Immaginiamo quale potrebbe essere l'impatto se 74 milioni di europei dell'Europa orientale tentassero di fare quello che già hanno fatto gli irlandesi 10 o 20 anni fa.

In conclusione, credo che la tradizione e la storia della Polonia, come quelle degli altri Paesi dell'Est, provino che l'allargamento dell'Unione porterà un grande cambiamento in Europa. Forse è una visione ottimistica ma ritengo che l'Europa occidentale abbia bisogno di quella dose di freschezza e novità che i Paesi dell'Europa dell'Est le possono offrire. In altre parole, la Polonia e le altre nazioni entranti sono ormai pronte a partecipare pienamente all'economia internazionale e al governo europeo. Lo abbiamo già provato gestendo il processo di democratizzazione, liberalizzando il nostro mercato e rendendolo competitivo e stabile. Sarebbe il caso perciò di abbandonare l'idea che esistano stati membri "più uguali" di altri, quando, per esempio, si va a considerare il Patto di Stabilità. Spero che un atteggiamento del genere ci permetta di muoverci verso una migliore e più efficace cooperazione, sostenuta e promossa anche dal messaggio di solidarietà che la Polonia ha lanciato 20 anni fa, verso gli Stati che da poco sono entrati a far parte dell'Unione e nei confronti dei paesi che vi entreranno nei prossimi anni.
Traduzione dall'inglese di Martina Toti

Jan Bielecki è Direttore della European Bank, è stato Capo del Governo e Ministro per l'Integrazione Europea in Polonia.
Quello sopra pubblicato è l'intervento tenuto da Bielecki al convegno "Eu enlargement. Internationalization and Local Development" svoltosi a Roma l'8 e il 9 luglio 2004.




 

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