256 - 26.06.04


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Dove nasce l'Europa orientale
Graziella Durante

Ben Fowkes, L'Europa orientale dal 1945 al 1970, il Mulino, 2004

Per quasi mezzo secolo gli equilibri internazionali e geopolitici sono stati fissati dalla contrapposizione dei blocchi Usa-Urss e, malgrado qualche episodica rivolta, il destino dell'intera area dal Baltico all'Adriatico, dall'Elba ai monti Rodope ú stato sottoposto all'influenza comunista. Da una definizione storica pi¶ che geografica muove l'analisi di Ben Fowkes, specialista di Storia russa e docente alla University of North London, che ricostruisce, per i tipi de Il Mulino, le fasi dello stalinismo e i tentativi di riforma interna al sistema che si svilupparono tra il 1945 e il 1970 (L'Europa orientale dal 1945 al 1970, Bologna, 2004).

Con "Europa Orientale" si indica quella parte del vecchio continente, Germania Orientale, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia e Albania, in cui "i metodi e gli obiettivi dei governi comunisti e l'influenza sovietica sulle nazioni furono praticamente identici". Nella ricostruzione di un ventennio tanto controverso Ben Fowkes sceglie una chiave di lettura attenta alla dinamica comune che tiene insieme gli otto Paesi del blocco. Come se per analizzare davvero la sovietizzazione dell'Europa orientale si dovesse passare per forza attraverso il suo clichú. E' chiaro - e bene lo comprende lo storico - che una definizione del genere non puÖ risolvere tutte le complicazioni di un periodo tanto complesso ed essere assunta come unico strumento di lettura. Il dibattito tra storici, politologi, filosofi, ritornato attuale soprattutto in vista dell'allargamento europeo, mostra come sia difficile tracciare in maniera definitiva le frontiere e i confini da cui guardare quei Paesi che culturalmente possono dirsi a pieno titolo europei ma che vissero un processo di sovietizzazione economica, culturale, sociale durata un quarantennio.

Tale fenomeno ha condotto certamente ad un processo di indubbia differenziazione di questi Paesi dall'Occidente, ma dal blocco sovietico cosñ inteso dovrebbe essere esclusa la Germania Orientale (cosa che spesso ú stata fatta da alcuni autori) ed entrarvi a pieno titolo i Paesi baltici - Estonia, Lettonia e Lituania - che, perÖ, non godettero, dopo il 1945, dell'indipendenza comune a tutti gli altri paesi del blocco. A est dell'Ungheria, poi, si dipana un'altra linea immaginaria che separa l'"Europa degli otto" in due zone: centro-orientale e sud-orientale. Nel 1945 la logica della vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale fu unanimemente riconosciuta come dimostra l'accordo, firmato nel 1944 a Mosca, tra il primo ministro britannico, Winston Churchill e Stalin. Nessuno mostrÖ la volontš di ostacolare le pretese che Stalin avanzava sull'Europa Orientale e nonostante gli Stati Uniti si mostrassero contrari a questo piano d'influenza, l'opposizione americana si limitÖ a inserire nella composizione dei governi rumeno e bulgaro due rappresentanti di partiti non comunisti - Hatieganu e Romniceanu - e a favorire proteste e disordini interni ai Paesi. Pane per i denti di Stalin, si potrebbe dire, che si mostrÖ pronto a fare concessioni di facciata che ebbero poche ripercursioni reali per raggiungere i propri progetti di egenomia.

Il favorevole contesto internazionale (le facili concessioni dell'Occidente dopo il secondo conflitto, la mancata volontš di cambiare le cose intervenendo con le armi, etc) permise al regime sovietico di prendere il potere dopo il 1945 in una zona cosñ estesa senza grosse difficoltš. A questo si aggiunga la secolare arretratezza delle aree orientali dell'Europa che aveva cominciato a differenziarsi dall'Occidente fin da basso Medioevo per il continuo ristagno dell'agricoltura e il ritardato sviluppo della servit¶ della gleba. La modernizzazione fu infatti una delle parole d'ardine con cui i partiti comunisti cominciarono a raccogliere consenso tra le popolazioni locali che accolsero con entusiasmo i nuovi portatori di progresso senza badare al carattere autoritario della nuova ideologia. Giš negli anni '30, d'altra parte, questi Paesi avevano conosciuto movimenti autoritari duri e repressivi che si presentavano come fautori della modernizzazione e dello sviluppo economico.

La costituzione, poi, di un'ampia coalizione antifascista sostenuta dalle autoritš comuniste di Mosca, dietro precise indicazioni di Stalin, che si articolava nei Fronti Nazionali; la retorica che si andÖ sviluppando attorno alla vittoria diretta dell'Armata Rossa, e "l'asilo politico" offerto alle minoranza nazionali, completano il quadro delle ragioni del successo e della presa di potere dei Partiti Comunisti. La conformazione stessa dei Partiti era mutata, tra il 1939 e il 1945: da piccoli gruppi clandestini quali erano si strutturarono in vere e proprie organizzazioni di massa destinate ad ingrandirsi sempre di pi¶ grazie alla politica della "porta aperta" assunta dopo la fine del conflitto. Fowkes ricostruisce con minuzia tutta le tecniche e pratiche utilizzate per la "presa del potere" dall'assunzione del controllo della polizia, del ministero dell'Interno e della Difesa, fino all'utilizzo delle masse come elemento di pressione politica, all'indebolimento dei partiti non comunisti. Il caso della Cecoslovacchia offre ancora motivi di discussione rispetto a quella che puÖ essere definita una "rivoluzione passiva" ma che di fatto si realizzÖ grazie ad un vero e proprio colpo di stato.

Se nella prima fase della politica comunista del dopoguerra assistiamo ad un iniziale momento di ricostruzione durato due anni e improntato alla moderazione, il 1947 segna sicuramente il momento dell'"inversione di rotta". Dalla modernizzazione si passa al pieno comunismo in cui sistematicamente vengono liquidate ogni forma di opposizioni politiche e culturali al regime. Il periodo compreso tra il 1948 e il 1953, sottolinea Fowkes, manifesta la massima omogeneitš all'interno dell'area orientale dell'Europa. La presenza del Partito Unico, il controllo economico statale, la pianificazione impostata sul modello sovietico, la collettivizzazione delle terre, la subordinazione della societš allo Stato, l'adulazione per la grande Russia e il culto di Stalin, le epurazioni e le purghe dei dissidenti sono elementi comuni a tutti i Paesi del blocco. Sotto la pressione delle risoluzioni del Comecon e del Cominform le democrazie popolari furono gestite in maniera pressochþ unitaria. Fu la morte di Stalin a destabilizzare il fronte aprendo la strada alla crisi dell'Ungheria e della Polonia nel 1956. Dopo il 1956, infatti, quel destino comune che aveva fino ad allora unificato le diverse realtš nazionali comincia a differenziarsi nonostante si assista, nel contempo, ad una diffusa tendenza al consolidamento del sistema post-staliniano nella sua versione parzialmente riformata.

Fowkes imbocca con meticolosa precisione le strade sempre pi¶ divergenti dei diversi contesti: se la Jugoslavia comunista si allontanÖ dal modello sovietico in un gioco di avanzate intervallate da piccoli arretramenti, la Romania adottÖ una forma di "comunismo nazionale", la Bulgaria scelse una politica di totale allineamento a Mosca, l'Albania si allineÖ al pensiero cinese, Berlino est chiuse ogni possibile fuga verso Occidente. In ogni caso il periodo dopo il '56 si trasformÖ in un decennio di consolidamento delle nuove oligarchie di partito che governarono in modo pressochþ indisturbato, quasi sempre attraverso un unico leader. Un'attenzione particolare Fowkes la dedica alla Primavera di Praga per la grande importanza che da sempre ha svolto nell'immaginario collettivo anche delle generazione successive al '68 e lo fa rilanciando una domanda che ancora sembra essere attuale e a cui non si ú trovata una risposta univoca. "Perchþ Dubcek e i suoi sostenitori pensarono di poter sfidare l'Unione Sovietica impunemente?" (p. 130) Per tentare una risposta bisognerebbe entrare nella psicologia dei comunisti che parteciparono alla Primavera e lo stesso Dubcek - come ci ricorda l'autore - fu colto di sorpresa quel 21 agosto in cui le truppe di sovietici e alleati invasero Praga.

L'accordo di Mosca tra Dubcek e Breznev svelÖ tutta l'ambiguitš del concetto di "normalizzazione" e lasciÖ molti con l'amaro in bocca. Fowkes ci offre, inoltre, un bilancio storico sul periodo preso in analisi che non pare chiudersi su nessuna delle visioni attualmente ancora in campo nel dibattito internazionale. In Occidente la lettura della storia sovietica ha, nel corso del tempo, assunto toni negativi e dal 1989 gli stessi paesi interessati hanno condiviso questa visione. Ma all'interno di un ampio consenso storiografico circa il quadro globale del governo comunista, restano molti e specifici punti di disaccordo. Alcuni individuano dei precisi momenti di svolta che avrebbero compromesso per sempre i promettenti inizi con cui si annunciava il progetto di una "societš nuova". Si pensi al 1948 con la fine dell'indipendenza socialista e la soppressione del controllo da parte degli operai; alla repressione della rivoluzione ungherese nel 1956 e alla liquidazione della proposta di Istvan BibÖ di una "terza via" al socialismo; alla cancellazione violenta del "socialismo dal volto umano" in Cecoslovacchia nel 1968 e la fine degli anni '60 in cui si sfilacciarono sempre di pi¶ i tentativi di riforma economica e il miglioramento delle condizioni di vita, di salute etc. venne meno.

Fowkes non prende posizioni precise in questo dibattito ma certamente ci offre preziosi e aggiornati materiali di ricostruzione storica e ci indica un metodo di analisi inedito. Dopo il 1991, infatti, nuovi documenti rimasti segreti per anni hanno nuovamente messo al lavoro politologi ed economisti: la ricerca ha assunto come strumenti di indagine particolareggiati studi sull'uguaglianza e diseguaglianza sociale, sulla condizione della donna, l'accesso ai servizi sanitari e il tasso di alfabetizzazione di massa. Se il programma comunista, soprattutto come si ú annunciato nel primo ventennio di potere, vedeva nella trasformazione radicale della societš e nel costituirsi di un nuovo ordine sociale, pi¶ umano e progressista, il pieno compimento della propria missione storica ú solo prendendo in esame i vari fronti su cui essi cercarono di realizzare questo obiettivo che si puÖ avanzare una prima carta dei suoi successi e dei suoi fallimenti. Sta di fatto che se ú vero che non manca una vasta letteratura sul sistema economico comunista applicato all'Europa Orientale, la storia sociale - tanto importante per avere un quadro completo e organico dell'accaduto - ú stata a lungo trascurata e merito di Fowkes ú quello di aver riportato l'attenzione su questo nuovo approccio alla storia e al destino dell'Europa Orientale.

 





 

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