256 - 26.06.04


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Dove finisce la politica dell'accoglienza
Ren¹ Capovin

Con il 1 maggio 2004, data dell'allargamento dell'Unione Europea a 13 nuovi stati membri, scadeva il periodo di 5 anni concordato dall'Ue con l'Onu per l'approvazione di una normativa comune su richiedenti asilo e rifugiati. Il 29 aprile il comitato Giustizia Affari Interni dell'Ue ha trovato l'accordo politico su una "Direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato" che rispetta - di poco - la scadenza prevista, ma che si discosta - di molto - da alcuni principi cardine della tutela internazionale dei rifugiati.

Questo giudizio œ formulato da istanze autorevoli, in primis Ecre (Consiglio Europeo per Rifugiati ed Esuli) e Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), che hanno dichiarato in maniera netta la propria opposizione a un accordo che arretra in maniera significativa rispetto agli standard previsti a livello di diritto internazionale. Giù il 29 marzo, con una iniziativa senza precedenti, le organizzazioni di tutela dei rifugiati e dei diritti umani di tutta Europa si erano appellate all'Unione Europea affinch¹ quella Direttiva fosse accantonata. Inutilmente.

Vediamo di approfondire i punti su cui si concentrano le critiche. Va premesso che il testo di riferimento per la tutela dei richiedenti asilo œ la Convenzione di Ginevra del 1951, ratificata da quasi tutti gli Stati membri dell'Onu e principale riferimento giuridico per la definizione dei diritti e doveri dei rifugiati come pure degli obblighi degli Stati nei loro confronti. Soprattutto, essa fornisce (art. 1) una definizione rigorosa del termine "rifugiato": "(Chiunque)€ avendo un fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalitù, appartenenza ad un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui œ cittadino e non pu… o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese€". L'art. 33, inoltre, stabilisce il fondamentale principio del non refoulment, che obbliga gli stati contraenti a non espellere o respingere (refouler) un rifugiato verso le frontiere di territori in cui la sua vita sia in pericolo.

Veniamo al primo punto critico: la Direttiva, introducendo il concetto di "Paesi di provenienza sicuri", prevede per i richiedenti asilo provenienti da questi Paesi una tutela procedurale minima. Bulgaria, Romania, Benin, Botswana, Capo Verde, Costarica, Ghana, Mali, Senegal, Cile, Uruguay e Mauritius compongono al momento la lista di paesi di origine (considerati) sicuri. In pratica - come rileva Alberto D'Argenzio su "Il Manifesto" del 4 maggio 2004 - "chi viene da questi 12 paesi e vuole chiedere asilo nella Ue, avrù poche possibilitù di farcela, venendo sottomesso ad un procedimento di valutazione della domanda accelerato e meno garantito". La Convenzione di Ginevra, per…, non prevede distinzioni di sorta sui Paesi di provenienza dei richiedenti asilo (ricordiamo: œ rifugiato chiunque abbia un fondato timore di persecuzione). L'obiettivo di questa inedita pre-selezione sembra essere quello di limitare le richieste da parte di persone che, impossibilitate ad entrare regolarmente in Europa quali migranti per ragioni economiche, assumono strumentalmente l'identitù di "rifugiati".

La cosa pu… essere messa nei seguenti termini: la pressione politica per una risposta efficace a questa eventualitù - che non ha, peraltro, una casistica cos– imponente come alcuni sostengono - va a ledere precise garanzie giuridiche che hanno orientato decenni di politica di accoglienza verso richiedenti asilo e rifugiati. La cosa risulta ancora pi¦ preoccupante se si considera che la lista sopra riportata pu… essere ampliata, a discrezione, dai singoli stati: in molti, all'interno della Ue, sostengono che la lista potrebbe assumere come riferimento l'elenco dei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Ginevra. Ne risulterebbe una lista lunga quanto paradossale: Turchia (ha sottoscritto la convenzione nel 1951 e l'ha ratificata nel 1962); Algeria (l'ha ratificata nel 1963); e ancora Camerun (1961), Congo (1962), Etiopia (1969), Ruanda (1980), Sudan (1974) ecc.

La medesima logica, ed œ il secondo punto critico, œ alla base del permesso di allargare a tutta l'Ue "pratiche restrittive e altamente controverse contenute nella legislazione nazionale di singoli paesi, come i nuovi procedimenti olandesi di valutazione super-rapida delle domande di asilo".

In terzo luogo, desta molte perplessitù l'impiego del concetto di "paese terzo sicuro". Questi "Paesi terzi" possono essere designati senza che sia previsto un insieme sufficiente di garanzie, che accertino, per esempio, se i soggetti coinvolti abbiano legami significativi con tali paesi e se esistano particolari circostanze per le quali il paese di destinazione potrebbe risultare insicuro per un richiedente specifico.

Infine, la Direttiva non riconosce il diritto per tutti i richiedenti asilo a rimanere nel Paese presso cui œ stata avviata la richiesta di asilo, in caso di ricorso contro il rigetto della domanda stessa: altissimo, per…, œ il numero di rifugiati che ottiene lo status solo dopo il ricorso tra il 30% e il 60% in alcuni paesi dell'Unione.
A fronte di questo inequivoco trend di abbassamento delle tutele giuridiche e di esternalizzazione della responsabilitù di accoglienza dei rifugiati, va segnalato che la bozza definitiva di Direttiva considera esplicitamente come rifugiati coloro che vengono perseguitati da agenti non-statuali, clausola che in passato era stata respinta da alcuni Stati europei.
Decisamente positivo, al riguardo, il giudizio formulato da Ong e organismi internazionali. Ecre, Amnesty International e Human Rights Watch assicurano che sarù svolto un attento monitoraggio della trasposizione dell'accordo nelle rispettive legislazioni nazionali, riservandosi di sostenere ogni sforzo teso a impugnare la legittimitù di queste misure.

 





 

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