L’allargamento
ad Est dell’Unione rappresenta la possibilità
di superare, seppure parzialmente, uno dei problemi
che l’Italia ha ereditato dal Novecento, dalle
guerre mondiali, dalla contrapposizione tra blocchi:
la questione del suo confine orientale. Una ferita
quella sottile linea che dalle alpi Giulie scende
a sud fino al mare, fino a Trieste, la città
“incastrata” in una piccola striscia di
terra. Una ferita che ha sanguinato per quasi cent’anni,
fin dal primo conflitto mondiale, passando attraverso
il secondo, attraverso le violenze nazifasciste e
le foibe titine, lo sradicamento di centinaia di migliaia
di italiani, le delusioni degli accordi internazionali
sulla sistemazione delle frontiere.
Una questione, il confine orientale, che ha segnato
la storia d’Italia. A testimoniarlo sta quanto
avvenne nel nostro paese all’indomani dei due
conflitti mondiali. 1919, la mancata annessione del
territorio di Fiume, scatena una durissima battaglia
politica di cui è protagonista Gabriele D’Annunzio.
L’idea della “vittoria mutilata”
si rivela in quel contesto uno straordinario vettore
di propaganda per i nazionalisti capace di indebolire
la classe dirigente liberale italiana, già
duramente impegnata, pur nella sua inadeguatezza,
nel far fronte alle enormi difficoltà economiche
e sociali del Paese. La guerra, infatti, aveva modificato
radicalmente l’Italia, che si era definitivamente
trasformata in un paese industriale e che vedeva fronteggiarsi
sulla scena pubblica masse in fermento, divise tra
sogni di palingenesi sociale e aspettative di modernizzazione
del paese. Anche
lì vanno trovate le motivazioni della successiva
affermazione del fascismo.
1945, l’Italia sconfitta subisce il diktat degli
alleati su Istria e Dalmazia che diventano merce di
scambio nella più generale risistemazione delle
zone d’influenza tra i due blocchi; la Jugoslavia
titina, estremo lembo occidentale del campo sovietico,
è considerato paese vincitore ed ottiene praticamente
tutto. A settembre del 1945 un accordo con gli alleati,
poi riconfermato alla conferenza di pace di Parigi,
assegna al controllo temporaneo jugoslavo la zona
B cioè tutto il territorio ad est di Trieste,
Caporetto, Tarvisio, città e territori limitrofi
(zona A) che invece rimangono sotto la giurisdizione
angloamericana. Il controllo provvisorio jugoslavo
diventa ben presto una vera e propria annessione,
tanto che tutta l’Istria e Pola sono sottoposte
ad una scientifica opera di snazionalizzazione. Si
arriva, così il 5 ottobre del 1954 a firmare
il “Memorandum d’Intesa” di Londra,
con il quale l’Italia riassume la diretta amministrazione
della zona controllata dagli alleati e la Jugoslavia
quella della zona B. Ma la questione della sovranità
su questi territori rimane aperta fino al Trattato
di Osimo. Solo allora, il 10 novembre 1975, l’Italia
rinuncia definitivamente ad ogni rivendicazione stabilendo
l’odierno confine di Stato.
Ma il confine orientale non è solo storia di
accordi, trattati, è storia di uomini di destini
di famiglie e amicizie spezzate dal filo spinato,
dal gesso bianco che un giorno di settembre del 1947
divise Gorizia fin dentro le strade, fin dentro il
cimitero, dall’esodo degli istriani dalla loro
terra; è storia di Trieste città contesa
tra due blocchi. Vicende dolorose che nessuno potrà
mai cancellare ma che un’Europa unita dai Balcani
all’oceano Atlantico può aiutare a superare.
E con l’ingresso anche della Croazia nell’Unione
nel 2007 le ragioni per sperare di chiudere definitivamente
almeno una parte del pesante fardello ereditato dal
Novecento saranno ancora più forti.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it