E’
stata definita la censura dell’Europa nei confronti
di Silvio Berlusconi. In realtà, al di là
della lettura della politica italiana, giovedì
22 aprile il Parlamento europeo ha votato una relazione
sui rischi di violazione, nell'Unione Europea e particolarmente
in Italia, della libertà di espressione e di
informazione, secondo l’articolo 11, paragrafo
2 della Carta dei diritti fondamentali.Con 237 voti
favorevoli, 24 contrari e 13 astensioni, è
stata approvato il documento presentato in aula dal
deputato liberale danese Johanna Boogerd-Quaak. Hanno
votato a favore i deputati del gruppo socialista,
verdi e sinistra, ma anche liberali e altri centristi,
come l’Udf francese. I Popolari europei e il
gruppo Europa delle nazioni, creato intorno ad Alleanza
nazionale, hanno polemicamente lasciato l’aula
al momento del voto. Pochi minuti prima sono stati
battuti sulla richiesta di rinvio della votazione
(259 a 214).
Di che cosa parliamo
La politica dell’informazione è una delle
basi portanti del discorso europeo. Secondo il citato
articolo della carta dei diritti, “Ognuno ha
diritto alla libertà di espressione. Questo
diritto include la libertà di esprimere opinioni
e ricevere e veicolare informazioni e idee senza interferenza
di autorità pubbliche o limitazioni di frontiere.
La libertà e il puralismo dei media deve essere
rispettato”. La libertà di informazione
è dunque un diritto a esprimere le proprie
idee, critiche, opinioni con ogni mezzo lecito, ma
allo stesso tempo per una cittadinanza puramente democratica
è necessario essere informati. In altre parole
ricevere informazioni liberamente. Questo è
tanto più realizzabile quanto più esiste
una molteplicità di fonti da cui attingere
le notizie. Il diritto “a ricever informazione”
è proprio uno dei punti più delicati
della libertà di informazione nel cosiddetto
“mondo occidentale” di oggi. Un tema,
come si è detto, caro all’Europa. Già
nel 1984, venti anni fa, nel progetto di Trattato-Costituzione
europea approvato al Parlamento Europeo su relazione
di Altiero Spinelli, prevedeva espressamente la politica
dell’informazione tra le politiche dell’Unione.
All’articolo 62, infatti, si indicava che l’Unione
promuove lo scambio di informazioni e l’accesso
dei cittadini all’informazione, a tal fine eliminando
gli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione
delle informazioni, assicurando la più ampia
concorrenza possibile in tale settore. Dunque un tema
che non è certo nuovo.
Il testo della relazione
Tutto è cominciato quando nella seduta del
1° settembre 2003 il Presidente ha comunicato
di aver deferito alla commissione per le libertà
e i diritti dei cittadini,
la giustizia e gli affari interni per l'esame di merito,
la proposta di risoluzione presentata da Sylviane
H. Ainardi, deputata del gruppo europeo della sinistra
unitaria/sinistra verde nordica, nonché membro
del partito comunista francese (dannati comunisti...)
e altri 37 deputati sul rischio di gravi violazioni
dei diritti fondamentali di libertà di espressione
e di informazione in Italia. Il cammino della risoluzione
non è dunque stato facile. Ci sono molti passi
che andrebbero letti con cura. Ad esempio, quello
che afferma che “il pluralismo politico risponde,
nell'interesse della democrazia, all'esigenza che
nei mezzi di comunicazione trovi espressione un ventaglio
di opinioni e posizioni politiche. La democrazia sarebbe
minacciata qualora una singola voce, avente il potere
di diffondere un unico punto di vista, divenisse troppo
dominante”, e che “il pluralismo culturale
risponde all'esigenza che nei mezzi di comunicazione
trovi espressione una varietà di culture, rispecchiante
la molteplicità in seno alla società.
La diversità culturale e la coesione sociale
possono essere minacciate qualora nei mezzi di comunicazione
non venissero riflessi le culture e i valori di tutti
i raggruppamenti in seno alla società (ad esempio
quelli che condividono una lingua, una razza o una
fede particolari)”. Ma non si parla solo di
televisione e giornali. E’ necessario, ad esempio,
per un vero e sano pluralismo che un ampio ventaglio
di opinioni, teorie e posizioni politiche possa
esprimersi anche nel mondo della cultura, delle arti,
dell'università e della scuola. Andando avanti
attraverso le norme per un corretto funzionamento
dei mezzi radiortelevisi pubblici e dei broadcaster
commerciali, si arriva alla valutazione della situazione
nei paesi membri. Qui scopriamo, ad esempio, che in
Francia vi sono state numerose violazioni della libertà
di stampa, come il boicottaggio della distribuzione
di un nuovo quotidiano gratuito da parte di associazioni
sindacali e pressioni sui giornalisti da parte della
polizia, oppure che in Germania la registrazione del
traffico telefonico dei giornalisti non costituisce
violazione delle libertà fondamentali. C’è
n’è anche per Spagna, Irlanda, Gran Bretagna
(caso David Kelly), Svezia, Paesi Bassi e Polonia.
In quest’ultimo paese è interessante
notare, tra le altre, questa segnalazione: “la
casa editrice Agora, proprietaria del quotidiano a
maggior tiratura, di 11 periodici e di 20 stazioni
radio locali, sarebbe stata invitata a versare una
tangente per ottenere,
mediante attività di lobbying, una legge più
vantaggiosa in materia di mezzi di
comunicazione tale da consentire all'editore di acquisire
un canale televisivo privato”. Ma noi siamo
più avanti rispetto ad un’economia appena
uscita dalla pianificazione statale e quindi sul caso
Italia si apre il capitolo più lungo.
Il caso italia
La relazione sottolinea soprattutto la concentrazione
dei mezzi di comunicazione e in particolare punta
il dito sulla raccolta di pubblicità. Il fatto
è che “il tasso di concentrazione del
mercato audiovisivo in Italia è oggi il più
elevato d'Europa e, nonostante l'offerta televisiva
italiana consti di dodici canali nazionali e da dieci
a quindici canali regionali e locali, il mercato è
caratterizzato dal duopolio tra Rai e Mediaset, che
complessivamente detengono quasi il 90% della quota
totale di telespettatori e raccolgono il 96,8% delle
risorse pubblicitarie”. Infatti uno dei settori
nel quale più evidente è il conflitto
di interessi è quello della pubblicità,
tanto che il gruppo Mediaset nel 2001 ha ottenuto
i 2/3 delle risorse pubblicitarie televisive, pari
ad un ammontare di 2500 milioni di euro. Una situazione
che non è una novità di oggi. Infatti
da decenni “il sistema radiotelevisivo opera
in assenza di legalità”. La non osservazione
delle sentenze della Corte Costituzionale e delle
leggi costituisce una “violazione del principio
di legalità e dello stato di diritto che, riconosce
lo stesso rapporto, persiste da anni.
Non solo. Nel mirino c’è anche il sistema
italiano che “presenta un’anomalia dovuta
a una combinazione unica di poteri economico, politico
e mediatico nelle mani di un solo uomo, l'attuale
Presidente del Consiglio dei Ministri italiano”.
Scomparso il riferimento con nome e cognome, il testo
votato nell’aula di Strasburgo, mantiene il
riferimento ad un sistema bloccato e tendenzialmente
controllabile da un uomo solo.
E’ proprio il riferimento puntuale a Silvio
Berlusconi che ha scatenato le polemiche politiche
dei partiti di maggioranza. Ma è proprio ai
politici, al Parlamento italiano che il documento
europeo lancia un appello, per “accelerare i
suoi lavori in materia di riforma del settore audiovisivo
conformemente alle raccomandazioni della Corte costituzionale
italiana e del Presidente della Repubblica, tenendo
conto delle incompatibilità da questi riscontrate
nel progetto di legge Gasparri con il diritto comunitario”.
I parlamentari europei hanno anche chiesto alla Commissione
europea di presentare una proposta di direttiva per
la salvaguardia del pluralismo dei media in Europa.
Immaginiamo già le future polemiche quando
venisse redatto un rapporto particolarmente negativo
verso l’Italia. Tentiamo subito di smontare
ogni “complottistica”. Se è lecito
pensare che Berlusconi non utilizzi il suo potere
mediatico per sé, slegandolo dalle sue mansioni
istituzionali, perché pensare addirittura che
la Commissione europea venga manipolata?
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