L'autore ˛ ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università
di Bologna

Se
gli attentati dell’11 settembre 2001 negli USA
avevano avuto come conseguenza quella di dividere
l’Europa sulle risposte da dare al terrorismo
(in particolare sul ricorso alla legittima difesa
in Afghanistan e alla guerra preventiva in Iraq),
le bombe di Madrid dell’11 marzo l’hanno
invece ricompattata.
Certo, fra le conseguenze degli attentati di Madrid,
i terroristi che li hanno compiuti non si sarebbero
aspettati un “effetto domino” che, travolgendo
governi nazionali e schieramenti transnazionali, creasse
una rinnovata coesione fra gli stati membri dell’Unione.
Eppure questa coesione è emersa con chiarezza
dalla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles il
25 e 26 marzo.
Il vertice di primavera aveva un’agenda minimalista,
fissata da tempo dalla presidenza irlandese, basata
sui temi, economicamente incandescenti ma politicamente
freddi, dell’agenda di Lisbona. Paradossalmente,
proprio su tali temi i passi avanti sono stati per
il momento scarsi, mentre è ripartito un dialogo
politico, basato su un largo consenso, che ha innescato
un processo di cooperazione che sottolinea un rafforzamento
dell’identità europea sotto due profili.
Il primo è lo scioglimento dei nodi che tenevano
in stallo la Conferenza intergovernativa. L’improvvisa
fiducia in una soluzione rapida dei problemi relativi
all’approvazione del Trattato-Costituzione,
manifestata nei giorni antecedenti al Vertice dal
premier irlandese (peraltro noto per cautela e sobrietà
di toni) è stata fatta propria dal Consiglio
europeo. Nel comunicato finale, i capi di stato e
di governo hanno addirittura “stabilito che
si debba raggiungere un accordo sul trattato costituzionale
non più tardi del Consiglio europeo di giugno”,
chiedendo alla presidenza irlandese “di proseguire
le consultazioni e, non appena lo riterrà opportuno,
di provvedere alla ripresa dei negoziati ufficiali
in seno alla CIG”.

Ma
davvero basta il cambio di un solo Governo a far mutare
direzione al processo di integrazione europea? Credo
che, se la coesione si rivelerà duratura e
non frutto di contingenti emozioni, se, in altre parole,
la Costituzione sarà veramente adottata entro
l’estate (o più realisticamente entro
la fine dell’anno), lo si dovrà ad una
situazione di fondo più complessa, della quale
la virata spagnola è solo un elemento. Tale
situazione è una progressiva (anche se non
ininterrotta) presa di coscienza dell’identità
europea: un fuoco facile a smorzare sotto la cenere,
ma anche facile a riaccendere.
Sicuramente la nuova linea di Zapatero ha determinato
un ammorbidimento del veto spagnolo sul tema della
ponderazione del voto in seno al Consiglio (uno dei
nodi principali del negoziato) e un riposizionamento
della Polonia, che non vuole rimanere isolata. Ma
forse dietro l’apparente inversione a U dei
due stati, si può intravedere il sollievo di
chi ha un motivo per abbandonare, senza perdere la
faccia, posizioni che erano divenute scomode sul piano
europeo e sempre più impopolari in patria.
E forse è bastato l’allentamento dei
vincoli dell’interesse nazionale da parte di
pochi stati per ricreare quel clima di mutua fiducia
e di reciproche concessioni che fa oggi dire ai capi
di stato e di governo che vogliono la Costituzione
europea e la vogliono in tempi rapidi. L’emergenza
della lotta al terrorismo crea l’occasione per
limare alcune intransigenze e per rispondere all’urgenza
reale di assestare la fisionomia dell’Unione
per far fronte all’allargamento e alle scadenze
imminenti di governi ed istituzioni europee. Vi è
solo da sperare che, cessato l’alibi dell’antieuropeismo
degli Stati che vengono sommariamente giudicati antieuropeisti,
non emerga un antieuropeismo in chi finora si professava
europeista.
Il secondo profilo di identità europea che
emerge dal Vertice è una dichiarazione sulla
lotta al terrorismo rilasciata la sera del 25 marzo,
all’apertura dei lavori. Essa dimostra che,
quando è attaccata, l’Unione reagisce
ritrovando la sua unità.
La dichiarazione contiene innanzitutto la “clausola
di solidarietà” fra stati membri in caso
di attacco terroristico. Senza aspettare l’entrata
in vigore della Costituzione, che prevede una disposizione
simile all’art.42, i capi di stato e di governo
hanno deciso di agire unitamente ed in spirito di
solidarietà qualora uno di essi sia vittima
di un attacco terroristico, mobilizzando tutti i mezzi
a loro disposizione, ivi comprese le risorse militari.
Ogni stato sceglierà i mezzi con cui intende
contribuire.
Gli scopi per cui la collaborazione sarà realizzata
sono molto ampi: prevenire il terrorismo, proteggere
istituzioni democratiche e popolazioni civili, assistere
uno stato membro (o candidato) sul suo territorio.
La formula su cui gli stati hanno convenuto avrebbe
probabilmente fatto storcere il naso a qualche governo
sino a non molti mesi fa, così come il lungo
elenco degli strumenti elencati dalla Dichiarazione,
che postulano un’integrazione sempre crescente
fra i sistemi giudiziari, amministrativi e di polizia
degli stati membri. In tale elenco spazia infatti
dalle misure legislative (piena attuazione delle decisioni-quadro
adottate nel terzo pilastro, fra cui quelle sul mandato
d’arresto europeo e su Eurojust), alla cooperazione
operativa, all’ottimizzazione dei sistemi di
informazione, al rafforzamento dei controlli alle
frontiere, all’assistenza alle vittime.
Ma quello che mi sembra importante sottolineare è
che quella che qui si prefigura è la “via
europea” alla lotta al terrorismo. Europea non
solo come dimensione, perchè frutto del riconoscimento
che l’azione a livello nazionale è insufficiente,
ma anche e soprattutto come distinguo rispetto alla
risposta americana, che sembra considerare la guerra
e la sospensione dei diritti fondamentali (la non-giustizia
di Guantanamo è solo l’esempio più
lampante) come l’unica risposta possibile al
terrorismo. Una risposta che ha sino a qui diviso
l’Europa e che si sta dimostrando, alla prova
dei fatti, non solo sproporzionata (e dunque illegittima
per il diritto internazionale), ma anche inefficace
se non addirittura controproducente.
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