251 - 17.04.04


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L’identità europea come risposta al terrorismo
Lucia Serena Rossi


L'autore ˛ ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Bologna

Se gli attentati dell’11 settembre 2001 negli USA avevano avuto come conseguenza quella di dividere l’Europa sulle risposte da dare al terrorismo (in particolare sul ricorso alla legittima difesa in Afghanistan e alla guerra preventiva in Iraq), le bombe di Madrid dell’11 marzo l’hanno invece ricompattata.
Certo, fra le conseguenze degli attentati di Madrid, i terroristi che li hanno compiuti non si sarebbero aspettati un “effetto domino” che, travolgendo governi nazionali e schieramenti transnazionali, creasse una rinnovata coesione fra gli stati membri dell’Unione. Eppure questa coesione è emersa con chiarezza dalla riunione del Consiglio europeo a Bruxelles il 25 e 26 marzo.
Il vertice di primavera aveva un’agenda minimalista, fissata da tempo dalla presidenza irlandese, basata sui temi, economicamente incandescenti ma politicamente freddi, dell’agenda di Lisbona. Paradossalmente, proprio su tali temi i passi avanti sono stati per il momento scarsi, mentre è ripartito un dialogo politico, basato su un largo consenso, che ha innescato un processo di cooperazione che sottolinea un rafforzamento dell’identità europea sotto due profili.
Il primo è lo scioglimento dei nodi che tenevano in stallo la Conferenza intergovernativa. L’improvvisa fiducia in una soluzione rapida dei problemi relativi all’approvazione del Trattato-Costituzione, manifestata nei giorni antecedenti al Vertice dal premier irlandese (peraltro noto per cautela e sobrietà di toni) è stata fatta propria dal Consiglio europeo. Nel comunicato finale, i capi di stato e di governo hanno addirittura “stabilito che si debba raggiungere un accordo sul trattato costituzionale non più tardi del Consiglio europeo di giugno”, chiedendo alla presidenza irlandese “di proseguire le consultazioni e, non appena lo riterrà opportuno, di provvedere alla ripresa dei negoziati ufficiali in seno alla CIG”.
Ma davvero basta il cambio di un solo Governo a far mutare direzione al processo di integrazione europea? Credo che, se la coesione si rivelerà duratura e non frutto di contingenti emozioni, se, in altre parole, la Costituzione sarà veramente adottata entro l’estate (o più realisticamente entro la fine dell’anno), lo si dovrà ad una situazione di fondo più complessa, della quale la virata spagnola è solo un elemento. Tale situazione è una progressiva (anche se non ininterrotta) presa di coscienza dell’identità europea: un fuoco facile a smorzare sotto la cenere, ma anche facile a riaccendere.
Sicuramente la nuova linea di Zapatero ha determinato un ammorbidimento del veto spagnolo sul tema della ponderazione del voto in seno al Consiglio (uno dei nodi principali del negoziato) e un riposizionamento della Polonia, che non vuole rimanere isolata. Ma forse dietro l’apparente inversione a U dei due stati, si può intravedere il sollievo di chi ha un motivo per abbandonare, senza perdere la faccia, posizioni che erano divenute scomode sul piano europeo e sempre più impopolari in patria.
E forse è bastato l’allentamento dei vincoli dell’interesse nazionale da parte di pochi stati per ricreare quel clima di mutua fiducia e di reciproche concessioni che fa oggi dire ai capi di stato e di governo che vogliono la Costituzione europea e la vogliono in tempi rapidi. L’emergenza della lotta al terrorismo crea l’occasione per limare alcune intransigenze e per rispondere all’urgenza reale di assestare la fisionomia dell’Unione per far fronte all’allargamento e alle scadenze imminenti di governi ed istituzioni europee. Vi è solo da sperare che, cessato l’alibi dell’antieuropeismo degli Stati che vengono sommariamente giudicati antieuropeisti, non emerga un antieuropeismo in chi finora si professava europeista.
Il secondo profilo di identità europea che emerge dal Vertice è una dichiarazione sulla lotta al terrorismo rilasciata la sera del 25 marzo, all’apertura dei lavori. Essa dimostra che, quando è attaccata, l’Unione reagisce ritrovando la sua unità.
La dichiarazione contiene innanzitutto la “clausola di solidarietà” fra stati membri in caso di attacco terroristico. Senza aspettare l’entrata in vigore della Costituzione, che prevede una disposizione simile all’art.42, i capi di stato e di governo hanno deciso di agire unitamente ed in spirito di solidarietà qualora uno di essi sia vittima di un attacco terroristico, mobilizzando tutti i mezzi a loro disposizione, ivi comprese le risorse militari. Ogni stato sceglierà i mezzi con cui intende contribuire.
Gli scopi per cui la collaborazione sarà realizzata sono molto ampi: prevenire il terrorismo, proteggere istituzioni democratiche e popolazioni civili, assistere uno stato membro (o candidato) sul suo territorio. La formula su cui gli stati hanno convenuto avrebbe probabilmente fatto storcere il naso a qualche governo sino a non molti mesi fa, così come il lungo elenco degli strumenti elencati dalla Dichiarazione, che postulano un’integrazione sempre crescente fra i sistemi giudiziari, amministrativi e di polizia degli stati membri. In tale elenco spazia infatti dalle misure legislative (piena attuazione delle decisioni-quadro adottate nel terzo pilastro, fra cui quelle sul mandato d’arresto europeo e su Eurojust), alla cooperazione operativa, all’ottimizzazione dei sistemi di informazione, al rafforzamento dei controlli alle frontiere, all’assistenza alle vittime.
Ma quello che mi sembra importante sottolineare è che quella che qui si prefigura è la “via europea” alla lotta al terrorismo. Europea non solo come dimensione, perchè frutto del riconoscimento che l’azione a livello nazionale è insufficiente, ma anche e soprattutto come distinguo rispetto alla risposta americana, che sembra considerare la guerra e la sospensione dei diritti fondamentali (la non-giustizia di Guantanamo è solo l’esempio più lampante) come l’unica risposta possibile al terrorismo. Una risposta che ha sino a qui diviso l’Europa e che si sta dimostrando, alla prova dei fatti, non solo sproporzionata (e dunque illegittima per il diritto internazionale), ma anche inefficace se non addirittura controproducente.


 


 

 

 

 

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