Il
1° maggio dieci nuovi paesi entreranno a far parte
dell’Unione europea. I cittadini di Repubblica
Ceca, Ungheria, Slovenia, Lituania, Slovacchia, Polonia,
Estonia, Lettonia, potranno liberamente circolare
all’interno dei confini della nuova Europa,
ma non potranno liberamente lavorare. Molti Stati
della vecchia Unione a 15 sono in procinto di applicare,
infatti, la clausola cosiddetta “di transizione”
prevista nel Trattato di Atene del 2003, in base alla
quale possono essere sottoposti ad autorizzazione
(quindi ad uno specifico permesso) coloro che intendano
effettuare un’attività lavorativa all’interno
dei confini di ciascun paese. L’accordo, che
non si applica agli altri due nuovi membri Malta e
Cipro, prevede che questo regime possa durare al massimo
sette anni - dopo i quali non sarà possibile
apporre alcun vincolo - articolato in tre step (due
più tre più due); fino al 2006 i singoli
Stati potranno autonomamente legiferare in merito
al mantenimento o meno di permessi specifici per i
lavoratori dell’Est, mentre ulteriori limitazioni,
attuabili comunque non oltre il 2011, dovranno essere
giustificate dalla presenza di gravi perturbazioni
nel mercato del lavoro interno.
Ma vediamo nel dettaglio come si comporterà
ciascun paese.
Germania e Austria,
che più di altri hanno subito fenomeni migratori
negli ultimi decenni, pensano di avvalersi dell’intero
periodo settennale, spaventate anche dalla “esposizione”
dei propri confini orientali.
Belgio, Spagna,
Portogallo, Finlandia
e Lussemburgo hanno già annunciato
restrizioni per almeno due anni.
Anche la Francia si va orientando
verso una restrizione biennale.
Danimarca e Svezia
non apporranno limiti al numero ma circoscriveranno
l’accesso ad alcune forme di Stato sociale.
I due paesi vogliono evitare, infatti, l’ingresso
di persone interessate a godere dei loro generosi
sistemi di welfare.
L’Olanda ha deciso di consentire
gli ingressi dagli otto nuovi paesi solo per quei
settori nei quali c’è carenza di manodopera.
Il clima elettorale non ha favorito una decisione
in merito da parte della Grecia che
sembra comunque orientata ad utilizzare la moratoria
biennale.
In Italia, il ministro Maroni ha
annunciato che proporrà al Governo di restringere,
per ora fino al 2006, l’ingresso dei lavoratori,
con eccezione di quelli provenienti dalla Slovenia.
È prevedibile, però, che un quota all’interno
del decreto flussi migratori, varato annualmente,
sarà riservata ai cittadini provenienti dall’Est.
La
Gran Bretagna, in considerazione
delle necessità del mercato del lavoro interno,
manterrà aperte le proprie “frontiere”,
ma coloro che entreranno non potranno usufruire dell’assistenza
pubblica per due anni. “Il Regno Unito è
aperto solo a quelli che vengono per lavorare”
ha tuonato Tony Blair, costretto alla mediazione dopo
che alcune sue dichiarazioni di maggiore apertura
all’ingresso di cittadini provenienti dall’Est
avevano spaventato una parte dell’opinione pubblica.
L’unico paese che, fino ad ora, non ha annunciato
alcun tipo di restrizione è l’Irlanda,
il cui modesto stato sociale, tra l’altro, non
sembra appetibile per eventuali “turisti del
welfare”. Ma anche lì, dopo la parziale
marcia indietro di Londra, si attendono ripensamenti.
Sembra essersi innescato un meccanismo per il quale,
a cascata, una dopo l’altra praticamente tutte
le cancellerie dei 15 paesi dell’Ue abbiano
valutato opportuna una moratoria nel timore di esporsi
a flussi migratori eccessivi. Puntuali sono arrivate
le prime “ritorsioni”: il governo ungherese
applicherà il principio della reciprocità
in tema di immigrazione agli altri membri “anziani”
dell’Unione. La mossa ha soltanto un valore
politico, vista il ridotto afflusso di cittadini verso
l’Ungheria, ma è comunque il segnale
di quanto sia sgradita ad oriente la condizione di
cittadini europei a metà.
A rasserenare gli animi è arrivato un sondaggio
della Commissione Europea: secondo la rilevazione,
effettuata dall’Eurobarometro in 13 paesi candidati
o già aderenti, soltanto l’1% della popolazione
in età da lavoro (equivalente a circa 220mila
persone all’anno) prevede di spostarsi nella
“vecchia Europa”. L’identikit del
migrante dell’Est fornito dall’indagine
è per certi versi sorprendente: a muoversi
non saranno “orde” di disoccupati attratti
dall’ “eden” dello Stato sociale
dei 15, ma, soprattutto, giovani “cervelli”
in cerca di autorealizzazione. Gli esperti di Bruxelles
fanno notare inoltre che, come è accaduto per
la Spagna, dopo un allargamento il fenomeno dell’emigrazione
tende a scendere e non a salire.
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