Valdo Spini,
Alla Convenzione Europea - diario e documenti
da Bruxelles,
Alinea Editrice, Firenze, 2003, pp.349, euro 20,00
I lavori della Convenzione europea visti dal di dentro.
Un anno e mezzo di riunioni, documenti accordi, raccontati
da un testimone privilegiato, membro supplente per
il Parlamento italiano dell'assemblea che ha scritto
il testo di quella che doveva essere la nuova Costituzione
continentale. Il fallimento della Conferenza Intergovernativa
del dicembre scorso ha rimandato l'adozione del carta
fondamentale ad altra data, quasi sicuramente dopo
le elezioni europee del 13 giugno.
Il risultato ottenuto, un unico testo da sottoporre
ai Capi di stato e di governo dell'Unione, era un
epilogo non scontato al momento dell'insediamento
della Convenzione nel febbraio del 2002. Il mandato
consegnato al presidente della Convenzione, l’ex-capo
di stato francese Valery Giscard d’Estaing,
da parte del Consiglio europeo di Laeken, prevedeva,
infatti, la possibilità di proporre anche più
bozze costituzionali.
Ma questo non è bastato ad evitare che le resistenze
nazionali, sostenute dal meccanismo di voto all’unanimità,
prevalessero durante la Conferenza Intergovernativa
(Cig) di dicembre tenutasi sotto la presidenza italiana;
è mancato lo scatto in avanti, una visione
davvero europea dei problemi. Dal maggio prossimo,
con l'Europa allargata a venticinque membri, sarà
tutto più difficile.
Il libro di Spini, corredato da una completa ed utile
appendice di documenti, colma ex post un vuoto che
lo stesso autore registra parlando del fatto che molti
cittadini europei, ed italiani in particolare, risultavano
"poco informati dei lavori" della Convenzione.
Dalle
pagine del Diario viene fuori anche un ritratto di
Giscard d'Estaing, descritto come "vero regista"
dell'assemblea, ma stretto tra le esigenze “sovraniste”
dei governi nazionali, depositari di fatto dell'ultima
parola sul testo, e la volontà dei parlamentari
europei e nazionali, maggiormente impegnati in una
visione federalista.
L'esito, il compromesso tra le due esigenze, si è
rotto su una questione di relativa importanza se vista
da un’ottica continentale, il voto a maggioranza
qualificata. A porre il veto i governi spagnolo e
polacco, insoddisfatti della riduzione del loro peso
nelle votazioni del Consiglio europeo. Il sistema
ideato dalla Convenzione prevede, infatti, che ogni
paese conti nell’assemblea in proporzione alla
propria popolazione. Spagna e Polonia non hanno accettato
di “pesare” meno (27 voti) rispetto al
primo gruppo di paesi, Francia, Germania, Gran Bretagna
e Italia che avrebbero a disposizione rispettivamente
29 voti. Un problema questo apparso talmente insuperabile
nella conferenza presieduta dal Presidente del Consiglio
italiano, Silvio Berlusconi, da non permettere nemmeno
l’apertura delle votazioni.
Tutto fallito solo per colpa di quei “cattivoni”
di spagnoli e polacchi, allora? Ovviamente, no. Non
mancano, infatti, all’interno dei governi europei
e delle stesse grandi famiglie politiche continentali,
socialista e popolare, spinte tese a ridimensionare
il ruolo e le prerogative dell’Unione.
Lo stesso Spini indica, tra gli altri, due principali
difetti del testo uscito dalla Convenzione: uno di
carattere politico, costituito dall’eccessiva
ampiezza dell’area, relativa a politica estera,
fiscale e sociale, nella quale è necessaria
la votazione all’unanimità da parte del
Consiglio europeo ed uno di carattere istituzionale,
il possibile “trialismo” tra Presidente
della Commissione, Presidente di turno dell’Unione
e Presidente del Consiglio europeo eletto per due
anni (norma che dovrebbe entrare in vigore dal 2006).
Che cosa succederà adesso? <br>
Gli scenari che si aprono sono due: l’ipotesi
più difficile è quella dell’adozione
della Costituzione, con nuove dovute mediazioni, già
in questo semestre o nel prossimo, dopo le elezioni
per il Parlamento europeo. Quello più probabile
è il cammino di un’Europa “a più
velocità” con un gruppo di paesi che
proseguiranno verso una maggiore integrazione ed altri
che rimarranno in attesa. Non mancano gli indizi perché
sia proprio questa la strada. Si conosce anche la
composizione della “locomotiva” europea,
costituita da Francia, Germania e Gran Bretagna. Un
terzetto già in marcia e che ha al proprio
attivo alcuni risultati: la mediazione realizzata
sulla questione nucleare in Iran e il documento sulla
“cooperazione rafforzata” in tema di difesa
comune approvato a Napoli nel dicembre scorso. Gli
incontri a tre, più o meno ufficiali, già
fatti tra i ministri degli Esteri e quelli in programma
per i prossimi mesi sono la prova che l’asse
anglo-franco-tedesco si sta rafforzando sempre di
più.
Il Presidente della Commissione europea, Romano Prodi
considera questa di convogli che si muovono con passo
diverso, “una tradizione all’interno dell’Unione”,
ma avverte che “la cooperazione deve essere
aperta a tutti gli Stati membri, senza che un gruppo
esclusivo rifiuti un altro”.
La questione più grande aperta di fronte a
noi, comunque, è quanto reggerà un’Unione
che si allarga sempre di più ma che fatica
a dotarsi, dopo l’integrazione economica, di
regole e strutture istituzionali efficienti e di una
politica estera comune.
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