247- 21.02.04


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La Convenzione vista da dentro
Andrea Borghesi


Valdo Spini,
Alla Convenzione Europea - diario e documenti da Bruxelles,
Alinea Editrice, Firenze, 2003, pp.349, euro 20,00


I lavori della Convenzione europea visti dal di dentro.
Un anno e mezzo di riunioni, documenti accordi, raccontati da un testimone privilegiato, membro supplente per il Parlamento italiano dell'assemblea che ha scritto il testo di quella che doveva essere la nuova Costituzione continentale. Il fallimento della Conferenza Intergovernativa del dicembre scorso ha rimandato l'adozione del carta fondamentale ad altra data, quasi sicuramente dopo le elezioni europee del 13 giugno.

Il risultato ottenuto, un unico testo da sottoporre ai Capi di stato e di governo dell'Unione, era un epilogo non scontato al momento dell'insediamento della Convenzione nel febbraio del 2002. Il mandato consegnato al presidente della Convenzione, l’ex-capo di stato francese Valery Giscard d’Estaing, da parte del Consiglio europeo di Laeken, prevedeva, infatti, la possibilità di proporre anche più bozze costituzionali.
Ma questo non è bastato ad evitare che le resistenze nazionali, sostenute dal meccanismo di voto all’unanimità, prevalessero durante la Conferenza Intergovernativa (Cig) di dicembre tenutasi sotto la presidenza italiana; è mancato lo scatto in avanti, una visione davvero europea dei problemi. Dal maggio prossimo, con l'Europa allargata a venticinque membri, sarà tutto più difficile.
Il libro di Spini, corredato da una completa ed utile appendice di documenti, colma ex post un vuoto che lo stesso autore registra parlando del fatto che molti cittadini europei, ed italiani in particolare, risultavano "poco informati dei lavori" della Convenzione.

Dalle pagine del Diario viene fuori anche un ritratto di Giscard d'Estaing, descritto come "vero regista" dell'assemblea, ma stretto tra le esigenze “sovraniste” dei governi nazionali, depositari di fatto dell'ultima parola sul testo, e la volontà dei parlamentari europei e nazionali, maggiormente impegnati in una visione federalista.
L'esito, il compromesso tra le due esigenze, si è rotto su una questione di relativa importanza se vista da un’ottica continentale, il voto a maggioranza qualificata. A porre il veto i governi spagnolo e polacco, insoddisfatti della riduzione del loro peso nelle votazioni del Consiglio europeo. Il sistema ideato dalla Convenzione prevede, infatti, che ogni paese conti nell’assemblea in proporzione alla propria popolazione. Spagna e Polonia non hanno accettato di “pesare” meno (27 voti) rispetto al primo gruppo di paesi, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia che avrebbero a disposizione rispettivamente 29 voti. Un problema questo apparso talmente insuperabile nella conferenza presieduta dal Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, da non permettere nemmeno l’apertura delle votazioni.

Tutto fallito solo per colpa di quei “cattivoni” di spagnoli e polacchi, allora? Ovviamente, no. Non mancano, infatti, all’interno dei governi europei e delle stesse grandi famiglie politiche continentali, socialista e popolare, spinte tese a ridimensionare il ruolo e le prerogative dell’Unione.

Lo stesso Spini indica, tra gli altri, due principali difetti del testo uscito dalla Convenzione: uno di carattere politico, costituito dall’eccessiva ampiezza dell’area, relativa a politica estera, fiscale e sociale, nella quale è necessaria la votazione all’unanimità da parte del Consiglio europeo ed uno di carattere istituzionale, il possibile “trialismo” tra Presidente della Commissione, Presidente di turno dell’Unione e Presidente del Consiglio europeo eletto per due anni (norma che dovrebbe entrare in vigore dal 2006).

Che cosa succederà adesso? <br>
Gli scenari che si aprono sono due: l’ipotesi più difficile è quella dell’adozione della Costituzione, con nuove dovute mediazioni, già in questo semestre o nel prossimo, dopo le elezioni per il Parlamento europeo. Quello più probabile è il cammino di un’Europa “a più velocità” con un gruppo di paesi che proseguiranno verso una maggiore integrazione ed altri che rimarranno in attesa. Non mancano gli indizi perché sia proprio questa la strada. Si conosce anche la composizione della “locomotiva” europea, costituita da Francia, Germania e Gran Bretagna. Un terzetto già in marcia e che ha al proprio attivo alcuni risultati: la mediazione realizzata sulla questione nucleare in Iran e il documento sulla “cooperazione rafforzata” in tema di difesa comune approvato a Napoli nel dicembre scorso. Gli incontri a tre, più o meno ufficiali, già fatti tra i ministri degli Esteri e quelli in programma per i prossimi mesi sono la prova che l’asse anglo-franco-tedesco si sta rafforzando sempre di più.

Il Presidente della Commissione europea, Romano Prodi considera questa di convogli che si muovono con passo diverso, “una tradizione all’interno dell’Unione”, ma avverte che “la cooperazione deve essere aperta a tutti gli Stati membri, senza che un gruppo esclusivo rifiuti un altro”.
La questione più grande aperta di fronte a noi, comunque, è quanto reggerà un’Unione che si allarga sempre di più ma che fatica a dotarsi, dopo l’integrazione economica, di regole e strutture istituzionali efficienti e di una politica estera comune.








 

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