Per
un paese come la Slovacchia, in passato antagonista
politico dell’Unione europea ed economicamente
molto meno sviluppato rispetto agli altri Stati membri,
entrare a far parte dell’Ue è l’avverarsi
di un sogno. Oltretutto, è per noi motivo di
grande soddisfazione non essere stati automaticamente
inglobati dopo la caduta del regime comunista. La
nostra adesione è stata piuttosto il risultato
degli enormi sforzi condotti negli anni Novanta contro
il governo nazionalista e populista. Sarà una
gioia incredibile poter valicare di nuovo il confine
con la Repubblica Ceca senza dover passare per la
dogana.
L’allargamento dell’Unione europea previsto
per il maggio 2004 servirà anche a garantire
una maggiore sicurezza e migliori relazioni di vicinato
in una regione da sempre instabile e oggetto di continue
aggressioni. Per un paese come la Slovacchia, tristemente
condannato a partorire da solo la maggior parte dei
problemi che l’affliggono, la stabilità
nei rapporti con l’esterno è fondamentale.
Per quanto riguarda l’Austria, spero che riusciremo
una volta per tutte a infrangere le barriere di indifferenza
e ignoranza reciproca che ci separano. Nelle nostre
teste c’è un muro. Più facile
da abbattere di una parete di mattoni reali, ma forse
più tenace.
Eppure,
via via che si avvicina il momento dell’adesione,
si fatica a registrare le reazioni di felicità
che sarebbe logico aspettarsi. Essenzialmente per
due motivi. Prima di tutto, perché ormai siamo
sicuri di essere accettati e quindi eccessive manifestazioni
di gioia sarebbero fuori luogo. E poi – questo
è più grave – perché non
c’è stato un serio e approfondito dibattito
sull’Unione. In risposta ai nazionalisti che
avrebbero preferito l’isolamento e agli euroscettici
di matrice angloamericana e neoconservatrice (non
proprio antieuropei, ma comunque diffidenti nei confronti
della burocrazia, delle tasse elevate e della centralizzazione
politica), ci siamo limitati a elencare in modo sommario
i vantaggi connessi all’adesione (enfatizzando
pateticamente “l’incredibile chance storica”
che ci veniva offerta).
Sebbene il livello economico di una nazione finisca
inevitabilmente per costituire un aspetto significativo,
dal punto di vista politico e amministrativo sarebbe
un disastro se si creasse all’interno dell’Unione
un gruppo di Stati di serie B. Finora, il fatto che
tutti facessero parte del “club” impediva
ai paesi più ricchi e più grandi di
escludere gli altri dalle decisioni in merito ai temi
più delicati. Questo stato di cose deve restare
inalterato. Contribuisce all’autostima e alla
sicurezza di sé dei paesi meno sviluppati che
stanno per fare il loro ingresso nell’Unione.
L’opinione pubblica slovacca ritiene –
erroneamente – che diventare membri dell’Unione
europea significhi automaticamente risolvere, se non
addirittura cancellare, la maggior parte dei nostri
problemi. Non sarà certo così, ma io
stesso sono convinto che le difficoltà potranno
essere affrontate più facilmente. Per esempio,
sarà più semplice gestire le tensioni
fra Slovacchia e Ungheria nell’ambito dell’Unione
piuttosto che in Parlamento, dove il tema è
spesso strumentalizzato o non viene affrontato per
nulla.
Solo chi non sa niente dell’Europa e non ha
mai vissuto in un regime comunista può chiedersi
se non abbiamo paura che Bruxelles diventi la nuova
Mosca o la nuova Belgrado. Purtroppo in Slovacchia
c’è molta gente del genere. La popolazione
spesso non conosce i problemi, il background, i vantaggi
e le ambizioni dell’Unione. Segnali contraddittori
disorientano l’opinione pubblica. Restano, comunque,
delle questioni fondamentali. Per esempio, il rischio
che con la progressiva burocratizzazione, il “centro”
diventi progressivamente “insensibile”
alle esigenze degli affiliati recenti e più
piccoli. Non è un obiettivo premeditato, ma
è possibile che accada. Un altro pericolo è
che l’Unione diventi una specie di “Fortezza
Europa”, trasformando i confini di Schengen
in una moderna Cortina di Ferro che impedisca la penetrazione
esterna. Sono contento che la Slovacchia sia al di
qua della linea ma sono d’accordo con Conor
Cruise O'Brien quando dice che avremo bisogno di una
sempre maggiore dose di cinismo per tenere gli occhi
chiusi e non dare ascolto alle implorazioni di chi
vorrebbe entrare ma non può farlo, per colpa
dei regolamenti ma anche della nostra tacita complicità
con essi.
Ho molta fiducia nelle attività del Gruppo
Visegrad nell’ambito dell’Unione allargata.
Ha tutte le potenzialità per arrivare a includere
non solo i paesi dell’Est europeo che aderiranno
all’Unione, ma anche gli Stati post-comunisti
che presto ne saranno fuori. Il Gruppo Visegrad potrebbe
giocare un ruolo unico: quello di un’organizzazione
romantica, sensibile, spirituale, che non sbatte la
porta in faccia a chi non fa parte dell’Unione,
memore di quando in passato i V4 non volevano essere
tagliati fuori dai loro vicini occidentali. Un’iniziativa
del genere potrebbe rivestire un’importanza
enorme. L’Unione può dimostrarsi un gigante
buono, amichevole e ospitale o una fortezza che difende
la propria libertà e ricchezza a spese della
miseria altrui.
La sincera identificazione con l’immagine di
“europei” è un compito che dobbiamo
delegare alle prossime generazioni. Al punto in cui
siamo, dobbiamo lasciare da parte questioni così
complesse. Definirmi europeo mi sembra una pomposità
inutile. Me ne rendo conto una volta all’anno,
quando partecipo a feste, generalmente all’aperto,
in cui i politici si riempiono la bocca di questa
parola dopo aver ascoltato la Nona sinfonia di Beethoven
(spesso solo l’ultima parte).
Traduzione dall'inglese di Chiara Rizzo
(c) Eurozine, www.eurozine.com
(c) Samuel Abrahám
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