244 - 10.01.04


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Un anno vissuto pericolosamente
Daniele Castellani Perelli


Alcune settimane fa, nel corso della trasmissione televisiva Otto e mezzo, Giuliano Ferrara, uno dei principali consiglieri di politica estera di Silvio Berlusconi, ha voluto provocare il suo ospite, il ministro degli Esteri Franco Frattini, su una recente iniziativa del suo omologo francese Dominique de Villepin, che sulle pagine di Le Monde aveva ipotizzato la nascita di un superstato franco-tedesco. Ad uno stupìto Ferrara, noto avversario dell’asse “antiamericano” tra Parigi e Berlino, Frattini ha invece tessuto le lodi del suo coraggioso “amico” Villepin. L’episodio, avvenuto in piena Conferenza Intergovernativa (Cig), ci dice due cose molto interessanti sulla politica estera italiana di questo avventuroso 2003, l’anno della guerra in Iraq e del fallimento delle trattative sulla Costituzione europea. Ci dice che la politica estera del secondo governo Berlusconi è stata finora molto meno lineare di quanto si creda, e che gli uomini che l’hanno fatta non si sono sempre schiacciati sulle posizioni del premier. Vediamo ora di farne un bilancio, riepilogando la posizione dell’Italia su quattro grandi argomenti: il Medio Oriente, la guerra in Iraq, l’allargamento dell’Unione e la Costituzione europea.

Medio Oriente
Dal Medio Oriente è venuta nel 2003 la maggiore novità della politica estera italiana. In breve tempo Silvio Berlusconi, nonostante le radici craxiane, ha portato l’Italia ad essere, come ha dichiarato il premier israeliano Ariel Sharon il 17 novembre scorso, “il piu’ grande amico che Israele abbia in Europa”. E’ stata così ribaltata quella simpatia filoaraba che aveva contraddistinto la politica di Dc e Psi nei decenni passati. Perché si arrivasse alla svolta, è stato certo fondamentale il contributo di due uomini in particolare. Uno è Giuliano Ferrara, consigliere del principe, che il 15 aprile 2002 ha promosso a Roma l’Israele Day. L’altro è Gianfranco Fini, che, nella necessità di chiudere i conti del proprio partito con il passato, si trova ora nella paradossale situazione, per dirla un po’ rudemente, di non poter più criticare un qualsiasi aspetto della politica israeliana.

Sull’altro fronte, di conseguenza, l’Italia si è resa protagonista di azioni che hanno fatto indispettire il mondo arabo e palestinese. Se appare comprensibile ed anzi lodevole l’iniziativa presa dalla Presidenza Italiana dell’Unione a inizio settembre, quando al vertice di Riva del Garda Hamas è stata fatta inserire nella lista nera delle organizzazioni terroristiche, assai meno convincente fu la decisione presa da Berlusconi ad inizio giugno, quando, in viaggio in Medio Oriente, si rifiutò di incontrare Arafat. La scelta provocò una dura polemica tra il premier italiano e il ministro francese de Villepin, secondo il quale la posizione italiana non era “in linea con quella dell’Europa”. Solo una volta, nel 2003, il nostro governo non si è uniformato alla posizione americana in tema di Medio Oriente. E’ stato in luglio, quando, al termine del suo viaggio nella regione, Franco Frattini ha auspicato l’allargamento della road map anche a Siria e Libano. Per il resto l’Italia è sembrata spesso farsi dettare la politica mediorientale dagli Stati Uniti, tanto da rimanere clamorosamente spiazzata ed esclusa dall’eccellente missione europea a Teheran di Gran Bretagna, Francia e Germania, che in ottobre hanno sbloccato la crisi sul programma nucleare dell’Iran.

Iraq
Anche a proposito della guerra all’Iraq il nostro esecutivo è sembrato farsi ingenuamente dettare la posizione dall’amministrazione Bush. Gli obiettivi erano due: fare dell’Italia il principale alleato dell’America in Europa e ottenere vantaggi economici dalla vittoria della guerra. Entrambi però possono dirsi falliti. La Gran Bretagna e la Spagna sono state alleate più utili dell’Italia, sia per l’apporto militare sia per l’appoggio diplomatico in sede Onu, visto che la Spagna, che eppure nel dopoguerra iracheno ha contribuito con truppe meno consistenti delle nostre, era membro provvisorio nel Consiglio di Sicurezza. Non è un caso che Aznar abbia partecipato al famoso Vertice delle Azzorre, dal quale Bush e Blair hanno annunciato la guerra, e dal quale l’Italia è rimasta esclusa. I vantaggi economici non si sono ancora visti, e politicamente la posizione del nostro esecutivo è sembrata inutilmente servile. Non era sbagliato porsi come collante tra Washington e Bruxelles, anzi era legittimo per una media potenza che avrebbe rischiato, come il meno autorevole Belgio, di venire schiacciato dall’asse franco-tedesco. Ma Roma, come invece le chiedeva il Presidente Ciampi, sull’Iraq non è riuscita né a favorire una posizione unitaria dell’Europa, che invece ha ostacolato, né a lavorare veramente per una soluzione di pace all’interno dell’Onu (come le impone l’articolo 11 della Costituzione), senza la cui legittimazione e il cui scudo i nostri soldati in Iraq sono risultati drammaticamente impotenti. Autoesclusasi dalla guerra per non dispiacere al mondo cattolico, l’Italia, europeista e filoamericana, aveva la carte giuste per lavorare ad un’intesa dell’Europa e dell’Onu. Non ha saputo giocarle.

L’allargamento dell’Unione
Anche riguardo all’allargamento dell’Unione l’esecutivo italiano ha tenuto una posizione che certo a Washington non è dispiaciuta. Tralasciando l’allargamento ad est, che era processo ormai da tempo avviato, con originalità e un pizzico di sana follia Silvio Berlusconi ha lanciato e sponsorizzato concretamente non solo l’ingresso della Turchia nell’Ue (che è già in programma), ma anche quello di Russia e Israele. E’ un’operazione che potrebbe essere facilmente tacciata di americanismo, visti i buoni rapporti che intercorrono tra i tre paesi e gli Stati Uniti, ma i recenti dissensi tra Ankara (e Mosca) e gli Stati Uniti non hanno fatto recedere Silvio Berlusconi, accreditando l’ipotesi che dietro la sua proposta ci sia invece una bizzarra, ma assai interessante, visione di una Europa grandissima. E’ questo il contributo più originale e più lungimirante che Berlusconi ha offerto nel 2003 alla politica estera italiana, successo adombrato solo dalla solita pessima abitudine di concepire in modo personalistico i rapporti tra Roma e gli altri paesi, quasi che l’Italia gli appartenesse.

La Costituzione europea
Gli ultimi mesi della Presidenza dell’Unione hanno segnato una svolta abbastanza sorprendente nella politica estera italiana. Fino ad allora l’appoggio incondizionato alla politica di Bush e lo scarso europeismo di molti ministri (Tremonti, Martino, Bossi, Castelli) avevano diffuso l’immagine di un esecutivo quasi insofferente della costruzione europea. Episodi come l’opposizione al mandato di cattura europeo, la polemica sull’euro che costrinse alle dimissioni l’ottimo Ruggero, l’ambiguo appoggio alla guerra in Iraq, il battibecco con l’europarlamentare Schulz, tutto aveva confermato quanto già era emerso nella campagna elettorale del 2001: che le distanze tra Roma e Bruxelles si sarebbero allungate, e si sarebbero accorciate quelle con Washington.

Invece, negli ultimi mesi dell’anno si è verificata una svolta europeista, che, nell’obiettivo di raggiungere un accordo sulla Costituzione, ha posto il nostro governo in diretto conflitto con l’alleato spagnolo. La svolta è attribuibile essenzialmente a tre motivi: alla volontà di raggiungere un prestigioso successo internazionale (da poter poi vantare in patria), alla constatazione della possibile utilità dell’Europa su temi di politica interna come l’immigrazione e la riforma delle pensioni, all’opera di Franco Frattini e Umberto Vattani. Del ministro degli Esteri abbiamo già detto all’inizio l’originalità. Il secondo, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, è stato ultimamente indicato da The Independent come un attore fondamentale della diplomazia italiana.

Sono stati in molti a fare la politica estera italiana nel 2003: Frattini, Vattani, Fini, Ciampi (la cui moral suasion ha probabilmente influito sulla scelta di non partecipare alla guerra in Iraq senza l’avallo dell’Onu). Berlusconi non è sempre stato dunque libero di imporre la sua visione dei rapporti internazionali. Il ché, visto il suo ostentato dilettantismo e le sue innumerevoli gaffes (l’ultima delle quali, gravissima, sulla Cecenia), molto spesso ci ha giovato. Detto questo, e detto che l’Italia è rimasta fuori anche dall’accordo a tre sulla difesa europea (tra Francia, Germania e Gran Bretagna), va ammesso che le colpe del mancato accordo sulla Costituzione ricadono quasi esclusivamente su Spagna e Polonia. Certo, se si ragionasse come Berlusconi (“fatto!”, “la cultura del fare contro quella del dire”), bisognerebbe concludere che questo semestre italiano è stato un vero disastro (e così l’attuale premier, c’è da giurarci, avrebbe detto di un analogo insuccesso del centrosinistra), visto che è stato mancato il grande obiettivo che ci si era proposti. Purtroppo però per noi il mondo è più complicato, e ammetteremo che alcuni nodi del testo sono stati risolti, e che il compromesso avanzato era buono. E’ sempre più facile essere di destra. Beati loro.





 

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