 “Gran 
                            Bretagna, Francia e Germania tendono ad affermare 
                            se stesse come una sorta di primo girone nella politica 
                            europea”. Valdo Spini, membro supplente della 
                            Convenzione europea in rappresentanza del Parlamento 
                            italiano, commenta così il documento sulla 
                            cooperazione in tema di difesa comune approvato al 
                            Conclave dei ministri degli Esteri dell’Unione 
                            a Napoli del 28 e 29 novembre.
“Gran 
                            Bretagna, Francia e Germania tendono ad affermare 
                            se stesse come una sorta di primo girone nella politica 
                            europea”. Valdo Spini, membro supplente della 
                            Convenzione europea in rappresentanza del Parlamento 
                            italiano, commenta così il documento sulla 
                            cooperazione in tema di difesa comune approvato al 
                            Conclave dei ministri degli Esteri dell’Unione 
                            a Napoli del 28 e 29 novembre.
                          Allora, onorevole Spini, mentre la Conferenza 
                            intergovernativa sulla Costituzione europea arranca, 
                            viene fuori, un po’ a sorpresa, questa novità 
                            sul versante della difesa comune. Lei come giudica 
                            il documento anglo-franco-tedesco di cooperazione 
                            rafforzata?
                          Il punto della difesa era uno degli elementi migliori 
                            e più nuovi varato dalla Convenzione europea. 
                            Questo progetto è stato frutto dell’elaborazione 
                            di un gruppo di lavoro di cui io stesso ho fatto parte 
                            presieduto dal commissario francese Michel Barnier. 
                            Rispetto al testo della Convenzione c’è 
                            qualche precisazione in più. Dal punto di vista 
                            della forma c’è da constatare ancora 
                            una volta come l’accordo sia stato preceduto 
                            da un documento britannico-franco-tedesco poi consegnato 
                            alla presidenza italiana che ha dovuto trovare un 
                            compromesso in sede di Conferenza dei ministri degli 
                            Esteri. Tutto ciò dovrebbe far riflettere l’Italia 
                            sul fatto che uno scimmiottamento di questi paesi 
                            non regge, mentre sarebbe utile avere una vera politica 
                            europea, vale a dire la ricerca continua della coesione 
                            tra i paesi dell’Unione. 
                          La prima differenza è che, in questo accordo, 
                            si parla di cooperazione “inclusiva”, 
                            con possibilità di aggregazioni successive, 
                            mentre nel testo della Convenzione i termini della 
                            cooperazione “strutturata” dovevano essere 
                            definiti da tutti i paesi membri che partecipassero 
                            o meno alla difesa comune. In secondo luogo, è 
                            stato riaffermato, con molta chiarezza, il primato 
                            degli impegni della clausola di mutua assistenza in 
                            sede Nato. 
                            Sulla questione del quartier generale di questa difesa 
                            europea si sono fronteggiate diverse posizioni, tra 
                            chi lo voleva fuori o dentro le strutture Nato, ed 
                            è stata raggiunta una mediazione nel senso 
                            che non ci sarà un quartier generale fuori 
                            dalla Nato ma c’è una certa libertà 
                            nel gestire operazioni al di fuori del contesto atlantico. 
                          
                           La 
                            complementarietà alla Nato è un cedimento 
                            dell’Europa a pressioni statunitensi?
La 
                            complementarietà alla Nato è un cedimento 
                            dell’Europa a pressioni statunitensi?
                          Per me questa è un bandiera ideologica più 
                            che un fatto concreto. È indubbiamente riduttivo 
                            dire che l’Europa interviene solo quando la 
                            Nato dice che non gli interessa intervenire, ma se 
                            a chiederlo fosse l’Onu, a quel punto cadrebbe 
                            ogni pregiudiziale. È altrettanto evidente 
                            che non è pensabile un intervento in difformità 
                            alla posizione della Nato. Già oggi esistono 
                            forme di cooperazione: grazie all’accordo Berlin-Plus 
                            tra Nato e Ueo (Unione dell’Europa occidentale), 
                            che consente di mettere le strutture Nato a disposizione 
                            della forza d’intervento rapido europea - dichiarata 
                            operativa durante la presidenza greca -, abbiamo un 
                            contingente europeo in Macedonia. Anzi, se vogliamo, 
                            la vera garanzia che la Nato ha avuto è stata 
                            la dichiarazione del primato di mutua assistenza in 
                            sede Nato riaffermata nel documento di Napoli.
                          Rumsfeld, comunque, ha criticato l’accordo. 
                            Gli Stati Uniti sembrano dimostrare poca comprensione 
                            nei confronti dell’Ue su questo aspetto. 
                          Questo è anche il risultato di una determinata 
                            fase storica. La precedente Amministrazione aveva 
                            incoraggiato un autonomo intervento europeo. Si pensi 
                            alle vicende balcaniche del precedente decennio durante 
                            le quali venne coniato il termine di difesa europea 
                            non separata dalla Nato ma separabile da essa. Credo 
                            che sulla posizione americana influiscano due aspetti: 
                            il primo nasce dall’emergenza dell’11 
                            settembre che consiglia (male, a mio parere) gli Usa 
                            ad andare avanti senza un accordo in sede Nato, e, 
                            poi, un atteggiamento diverso dell’attuale governo 
                            americano nei confronti dell’Unione Europa. 
                            Penso che, per ben considerare l’accordo sulla 
                            difesa, gli Stati Uniti dovrebbero capire tre cose: 
                            la prima è che gli stati europei hanno un problema 
                            di buon utilizzo delle proprie strutture militari; 
                            a fronte, infatti, di una spesa militare pari a due 
                            terzi di quella statunitense, l’indice di efficienza 
                            scende ad un sesto. L’altra cosa è che, 
                            anche in sede Nato, sarebbe meglio avere un’unica 
                            voce a nome di tutta l’Europa. Infine, nonostante 
                            all’indomani dell’11 settembre la Nato 
                            si sia riunita per dichiarare operativo l’articolo 
                            5 (la clausola di mutua assistenza dell’Alleanza 
                            atlantica, ndr), il comando delle operazioni 
                            venne stabilito a Tampa, chiedendo di inviare ufficiali 
                            negli Stati Uniti ed agendo in sostanza in solitudine. 
                          
                          Uno degli aspetti nuovi di questo accordo 
                            e del clima politico da cui è partorito, appare 
                            essere l’attivismo della Gran Bretagna, che 
                            pure è critica su tante questioni interne all’Ue. 
                            Tutto ciò è più evidente se consideriamo 
                            la posizione di Londra, quasi isolata a livello continentale, 
                            di sostegno agli Stati Uniti nella guerra all’Iraq. 
                            Quali sono le intenzioni britanniche? C’è 
                            forse un interesse di Tony Blair a candidarsi come 
                            leader europeo?
                          Chi ha partecipato come me ai lavori della Convenzione 
                            non si è sorpreso dell’attivismo britannico. 
                            Lì la loro partecipazione è stata intensa, 
                            anche se oggi sembrano riemergere atteggiamenti “sovranisti”. 
                            Eppure è stato proprio il documento anglo-francese 
                            di Saint-Malo nel 1998 ad aprire la strada alla difesa 
                            comune. Forse proprio per compensare le chiusure in 
                            campo economico e governativo, ci sono queste aperture 
                            sul piano della difesa. 
                          La cosa importante è che, nonostante le spaccature 
                            gravi sull’Iraq, il treno dell’Unione 
                            va avanti lo stesso. Certo, forse Blair intende mostrare 
                            un protagonismo britannico per far accettare l’Europa 
                            ai suoi concittadini. Il fatto è che, comunque, 
                            questo è il primo governo britannico attivamente 
                            europeista, un governo che ha una sua politica per 
                            l’Europa. 
                          Si assiste a salti in avanti, come questo 
                            della difesa, mentre ci si scontra sulle istituzioni. 
                            Non le sembra che, nel cammino di costruzione dell’Unione 
                            europea, ci sia spesso un ribaltamento del normale 
                            corso delle cose che vorrebbe la politica, le istituzioni, 
                            arrivare prima delle altre questioni?
                          Questo è stato un po’ tutto il corso 
                            della costruzione dell’Europa. Bocciata la Ced 
                            negli anni ’50 è passata la Ceca, poi 
                            la Cee e via di questo passo. È passata a filiera 
                            chiamata in gergo “funzionalista”, che 
                            prevedeva di aggiungere funzione a funzione pensando 
                            che questo poi avrebbe provocato fatti e strutture 
                            politiche. Eppure, si sa che questo è impossibile 
                            all’infinito, nel senso che ci vuole uno scatto 
                            della politica. Questo è il cuore del progetto 
                            della Costituzione. Giscard d’Estaing, intervenendo 
                            alla riunione dei parlamentari europei membri della 
                            Convenzione del 5 dicembre, ha sintetizzato questo 
                            sforzo con una frase che condivido: “meglio 
                            niente che una cattiva Costituzione”. Se noi 
                            avessimo un testo che ogni tanto avesse bisogno di 
                            modifiche e rifacimenti, si sottoporrebbe l’Europa 
                            a cure che provocano solo disincanto e scetticismo. 
                            Oggi, c’è bisogno di questo salto politico, 
                            altrimenti non si riesce a governare un’Europa 
                            a venticinque. 
                          Certo, avere delle istituzioni non implica avere 
                            un’unica politica europea, però le istituzioni 
                            possono aiutare a trovare un accordo. Con la figura 
                            del ministro degli Esteri europeo, che nel testo della 
                            Convenzione è vicepresidente della Commissione 
                            e membro del Consiglio europeo, risolveremmo positivamente 
                            la famosa domanda di Kissinger: “se cerco l’Europa 
                            sull’elenco telefonico dove la trovo?”. 
                            Quello sarebbe un punto di riferimento importante 
                            che finora non c’è.
                          È più probabile oggi, dopo 
                            l’accordo sulla difesa che prefigura un lotto 
                            di paesi più pronti a cooperare, l’ipotesi 
                            di un’Europa a più velocità?
                          Tutto dipende da come va la Conferenza intergovernativa, 
                            perché, in caso di fallimento, Francia e Germania 
                            hanno l’intenzione di procedere ad una integrazione 
                            più avanzata, che prevede forme di reciproca 
                            rappresentanza, una maggiore cooperazione economica, 
                            consigli dei ministri integrati. Spagna e Polonia, 
                            che guardano alla futura Europa con un angolo visuale 
                            ristretto, dovrebbero ragionare sul fatto che rischiano 
                            di ritrovarsi a parlare delle questioni della maggioranza 
                            qualificata e della rappresentanza negli organismi 
                            comunitari, quando già si intravedono forme 
                            di integrazione maggiore fra singoli stati. Tuttavia, 
                            in genere, nella storia europea quando alcuni hanno 
                            fatto passi in avanti sono stati seguiti dagli altri.
                          Quale opinione si è fatta del lavoro 
                            e dei risultati della Convenzione?
                          Alla Conferenza di Laeken, che ha varato la Convenzione, 
                            i risultati possibili potevano essere una o più 
                            bozze di Costituzione. Il risultato ottenuto, appena 
                            approvato il testo, sembrava modesto ma oggi assume 
                            sempre maggiore valore. L’intenzione di Giscard 
                            era di arrivare ad un accordo dei quattro grandi paesi, 
                            Germania, Francia, Gran Bretagna ed Italia; e così 
                            è stato, anche se oggi il governo britannico 
                            mostra qualche perplessità. 
                          Inoltre, il metodo convenzionale, quello cioè 
                            dell’apertura e della trasparenza verso l’opinione 
                            pubblica si è rivelato una scelta giusta; poi 
                            si è tornati ai conclave, alle riunioni a porte 
                            chiuse. Semmai c’è un rimpianto, che 
                            è quello di non aver trovato nei mass media 
                            l’interesse che meritavano le 25 sessioni di 
                            lavoro della Convenzione. 
                          
                          
                          
                            
                           
                          
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