Non
era scontato che ci fosse ottimismo, al seminario
sull’“Idea dell’Europa” tenutosi
a Roma venerdì 24 ottobre. Mentre la discussione
sulla Costituzione europea è in una fase interlocutoria
e la Conferenza intergovernativa non trova ancora
soluzioni alle questioni più problematiche,
su invito del Presidente del Senato Marcello Pera
si sono ritrovati a Palazzo Giustiniani a fare il
punto della situazione l’ex Cancelliere tedesco
Helmut Kohl, il vicepresidente della Convenzione europea
Giuliano Amato, il Presidente del Senato ceco Petr
Pithart e l’ex ministro degli esteri polacco
Bronislaw Geremek. Sono intervenuti anche i senatori
Giulio Andreotti e Giovanni Pieraccini e i rappresentanti
del Parlamento italiano alla Convenzione Marco Follini
e Lamberto Dini.
Nonostante non appartenessero tutti alla stessa generazione
e alla stessa famiglia politica, gli oratori hanno
espresso visioni molto simili sull’Europa. Anche
i due rappresentanti dell’Est hanno usato toni
e argomenti europeisti, dando così indirettamente
ragione a Helmut Kohl, il quale poco prima aveva chiamato
“sciocco” chi distingue tra “vecchia”
e “nuova” Europa. L’ex Cancelliere
ha rivendicato alla sua generazione l’idea dell’allargamento,
e ha ricordato come ad ogni nuovo ingresso nell’Ue
ci siano sempre stati timori di conseguenze economiche
negative, come già con Spagna e Portogallo,
e come quando si temeva che le carni dei bovini finlandesi
avrebbero potuto invadere il mercato europeo. Ha inoltre
duramente attaccato l’ipotesi del “direttorio”
(che “farebbe crollare e fallire la casa europea”)
e l’idea che i paesi maggiori debbano contare
più di quelli piccoli: “Churchill nel
suo discorso zurighese del settembre 1946, che è
una specie di Magna Charta, – ha ricordato l’ex
Cancelliere - ebbe a dire che le nazioni piccole avrebbero
contato come le grandi e che ne sarebbero stati riconosciuti
i contributi alla causa comune”. Kohl ha parlato
molto schiettamente, e ha lanciato chiare frecciate
a Jacques Chirac, sia per il mancato rispetto del
patto di stabilità sia per lo snobismo ostentato
in passato nei confronti dei paesi dell’Est.
Sui
rapporti con gli Stati Uniti ha ricordato che “abbiamo
gli stessi valori di democrazia, di libertà,
di salvaguardia dei diritti umani”, ha censurato
“lo sciocco antiamericanismo che dilaga in alcuni
Paesi, ed anche in Germania”, ma ha anche avvertito
che l’amicizia con l’alleato non significa
cieca obbedienza. Kohl ha mostrato ottimismo, ha ricordato
la coraggiosa avventura dell’euro, ha lodato
il ruolo del Parlamento europeo e criticato la proposta
dell’ingresso della Russia nell’Ue, in
contrapposizione ad un Dini più possibilista:
“Cartina alla mano – ha ironizzato l’ex
Cancelliere – forse dovremmo fermarci con il
dito a Vladivostok, forse potremmo guardare anche
al Giappone, forse a quel punto dovremmo capire l'assurdità
di questa idea”. Quanto alla Costituzione, l’ha
definita “un progetto utile ed accettabile”,
perché “renderà più capace
di agire l'Unione europea, avvicinandola maggiormente
ai cittadini”, e si è rammaricato solo
dell’assenza di un riferimento alle radici cristiane
e di una certa trascuratezza nei riguardi del livello
comunale. Il suo discorso si è concluso con
un invito a sapere unire visione e realismo, come
fece Alcide De Gasperi, “uno degli europeisti
più appassionati”. Dei giovani ha detto
di avere fiducia: “I ragazzi sono diversi da
noi, ma sono buoni. Non possono essere cattivi perché
sono i nostri ragazzi e questa è una argomentazione
molto convincente. Posso certamente dire ai nostri
ragazzi: se volete, fate le cose meglio di noi, ma
noi abbiamo fatto bene molte cose”.
Gli altri due ospiti stranieri hanno usato toni e
argomenti molto simili. Il cristiano-democratico ceco
Pithart ha incentrato il suo intervento sui rapporti
tra Usa ed Unione, anch’egli criticando “l’antiamericanismo,
che in Europa sta aumentando notevolmente”,
ma anch’egli mettendo in guardia da una partnership
in cui il nostro continente faccia la parte del suddito.
Noi europei, ha detto Pithart, “rifiutiamo l'unilateralità
e l'uso preventivo della forza. Nonostante lo scetticismo,
non rinunciamo alle organizzazioni internazionali,
neanche all'Onu, perché non abbiamo niente
di meglio a disposizione”. I due alleati, per
il Presidente del Senato ceco, dovrebbero imparare
l’uno dall’altro: “Gli europei dovrebbero
offrire una parte del loro benessere e delle loro
certezze sociali, gli americani invece un pezzo delle
loro certezze mentali derivanti da una visione in
bianco e nero del mondo e da un sentimento di superiorità,
quello di essere sempre dalla parte del bene, mentre
solo il mondo ingrato non lo capisce. Poi la madre
e la figlia si incontreranno di nuovo, come due personalità
responsabili che si rispettano per i loro pregi e
con tolleranza guardano l'una le debolezze dell'altra”.
Ne consegue che, pur senza indebolire l’attuale
meccanismo di sicurezza della Nato, l’Europa
dovrà essere più forte militarmente,
fino ad “essere preparata alla circostanza che
le sue forze, qualunque sia la forma legittimante
ma sempre multilaterale che le sottoscriva, potranno
intervenire ovunque sia messa in pericolo la pace
nel mondo o dovunque si verificheranno crimini contro
l'umanità, come, ad esempio, la pulizia etnica
e i genocidi”.
Dagli interventi di Pithart e Geremek è venuto
fuori un quadro interessante del modo in cui i paesi
dell’Est intendono l’ingresso dell’Unione.
E’ infatti falsa la rappresentazione secondo
cui essi sarebbero un “cavallo di Troia”
dell’America in Europa, o che in loro sopravviva
un certo nazionalismo antieuropeista. Questi due concetti,
così diffusi nella pubblicistica contemporanea,
vengono, se non smentiti, almeno ridimensionati e
soprattutto chiariti da Pithart e Geremek. Se il primo
si è augurato che “gli Stati nazionali”
vengano “superati gradualmente”, l’ex
ministro degli esteri polacco ha voluto espressamente
contraddire il cliché. Ha messo in guardia
da un nuovo totalitarismo europeo e, come Kohl, dall’idea
del direttorio, ma ha chiarito che “non è
vero che i Paesi di nuovo ingresso soffrono di una
sensibilità eccessiva di fronte al problema
della propria sovranità. Al contrario, noi
entriamo con la volontà di un’Europa
forte, di una comunità saldamente unita”.
Geremek ha anche spiegato, in modo convincente, il
motivo storico di questa maggiore attenzione dei paesi
dell’Est al problema della sicurezza (da cui
discende la loro amicizia con chi meglio può
garantirgliela, gli Stati Uniti), ricordando che “se
nel 1945 l’Occidente ha finito la guerra, per
i nostri Paesi essa è terminata nel 1989”.
La buona notizia è che il polacco Geremek ha
parlato da vero europeista, quando ha detto che “non
c’è divisione tra Europa vecchia e Europa
nuova” ed ha interpretato “l’allargamento
in atto” non come “un semplice ampliamento
o un atto di accessione, ma un vero e proprio atto
di riunificazione dell’Europa”, come ha
sottolineato anche Dini citando quello che Havel ha
definito un “ritorno in Europa”.
Due altri temi sono stati dibattuti, la necessità
di un referendum popolare per l’approvazione
della Costituzione (a favore del quale si sono espressi
anche Pithart, Geremek e Andreotti) ed il riferimento
alle radici cristiane da inserire nel testo presentato
dalla Convenzione. Oltre a Kohl, anche Andreotti e
Follini e Geremek l’hanno menzionato, con quest’ultimo
che ha ricordato dottamente “la Comunità
medioevale di cultura e di religione, nella quale
l’Europa si è formata e senza la quale
non ci sarebbe stata l’Europa”; in parallelo
ad essa, ha fatto un tributo alla “res publica
literaria, la comunità della fede nella ragione,
da Erasmo di Rotterdam fino al ‘secolo dei lumi’”,
sottolineando che lo stesso Voltaire parlava di una
“Europa cristiana”. Anche Giuliano Amato
ha menzionato il valore storico fondamentale dell’Europa
medievale, e, con l’esempio linguistico, ha
voluto rassicurare gli euroscettici su un punto-chiave,
quello dell’identità europea. Sebbene
l’Europa non abbia una unica lingua ufficiale
(“a parte il fatto che - non lo diciamo ai nostri
amici francesi - c’è una lingua che comunque
si sta diffondendo in tutta Europa, e non è
il francese”, ha ironizzato), è anche
vero che negli stessi Stati Uniti il problema linguistico
si sta sempre più complicando, come dimostrano
“le elezioni che hanno portato Terminator al
governatorato della California”, dove “gli
elettori di quello Stato hanno votato su schede in
cui le domande erano tradotte in sei lingue”.
Giuliano Amato ha mostrato sull’Europa lo stesso
ottimismo di Helmut Kohl. Ha anch’egli ricordato
l’importanza storica dell’asse franco-tedesco,
ha invitato ad un rafforzamento del Parlamento europeo
e si è augurato lo sviluppo di una sfera pubblica
comune. “Le nuove generazioni attraversano l’Europa
come noi attraversiamo il nostro Paese. Per loro –
ha concluso Amato – l’identità
europea è già qualcosa di molto forte”.
Per loro il motto della Costituzione, “uniti
nella diversità”, non è “il
solito ossimoro con il quale i politici liquidano
problemi che non sono in grado di risolvere”.
“Uniti nella diversità”, come ha
dimostrato anche questo seminario, è, secondo
Amato, “la natura di un’Europa che c’è”.
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