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Un salvadanaio importante

Diassina Di Maggio con Barbara Iannarella

L’APRE- agenzia per la Promozione della Ricerca Europea- è un’associazione senza scopo di lucro costituita nel 1989 con il patrocinio del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, per promuovere la partecipazione italiana ai programmi europei di ricerca e sviluppo tecnologico. Nell’ambito di questi programmi, l’APRE svolge attività di informazione, documentazione e assistenza ad imprese, università ed altri organismi interessati a partecipare alle opportunità di finanziamento e di collaborazione in campo scientifico-tecnologico.

Incontriamo la dottoressa Diassina Di Maggio, direttrice della sede centrale di Roma, per fare il punto della situazione sui Fondistrutturali nel nostro paese.

Che cosa sono i fondi strutturali e perché vengono utilizzati?

I fondi strutturali europei sono stati stabiliti dall’Unione europea per colmare il gap tra i paesi più avanzati e quelli più svantaggiati. Fino a poco tempo fa i paesi verso i quali questi fondi erano indirizzati erano cinque: Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia (Centro-Sud) e Grecia. Lo scopo principale era ed è quello di innalzare il livello sia culturale che infrastrutturale di queste regioni per adeguarlo a quello degli Stati membri più sviluppati. Una parte di questi fondi, inoltre, viene riservata alla formazione non solo, per quanto riguarda l’Italia, alle regioni che fanno parte dell’Obbiettivo 1 (Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna) ma anche a tutte le altre.

Come vengono utilizzati questi fondi?

Dobbiamo dire innanzitutto che, percentualmente, rispetto al bilancio dell’Unione Europea, i fondi strutturali rappresentano un salvadanaio importante. Se per la Ricerca l’Europa stanzia il 4,5 %, e il 34% per l’Agricoltura, per i fondi strutturali parliamo del 36%. Si tratta, quindi, di cifre importanti. L’ Irlanda, ad esempio, che li ha utilizzati tutti e nel migliore dei modi, ha innalzato il suo Pil tanto da uscire dalla lista dei cinque paesi svantaggiati.

E l’Italia?

Per l’Italia, come al solito, la situazione è controversa. Se ci riferiamo infatti alla vecchia programmazione, cioè quella 1994-1999, perché per quella 2000-2006 non abbiamo ancora alcun dato, e facciamo un confronto tra i paesi che hanno utilizzato i fondi strutturali, l’Italia appare all’ultimo posto. Mentre il Portogallo infatti utilizzava il 72% di questi fondi, la Spagna e la Grecia si assestavano sul 69% e l’Italia si aggirava tra il 34% e il 42%.

Perché questo “dislivello”?

Questi dati denotano, purtroppo, un’incapacità organizzativa e di progettazione al livello delle amministrazioni pubbliche regionali. Il problema italiano fino ad oggi è stato che le Regioni non avevano professionisti in grado di attuare una programmazione adeguata, e di conseguenza i bandi uscivano con difficoltà o con molto ritardo e i progetti spesso non erano degni di essere presi in considerazione. Attualmente la mentalità sta cambiando, alcune Regioni stanno reclutando “manager” esterni per supportare le amministrazioni nella programmazione, ma il ritardo che hanno accumulato è enorme. Quello che non si è ancora capito è che, ora che le Regioni avranno cambiato mentalità, i fondi a disposizione saranno esauriti.

Lei mi dice, quindi, che i 30 miliardi di euro destinati alle Regioni Obbiettivo 1 italiane dall’Ue per il periodo 2000-2006 ancora non sono stati interamente spesi?

Ad oggi almeno per il 50% questi soldi non sono stati impegnati in progetti di rilievo da parte delle Regioni. Al contrario a Lindos, in Grecia, stanno ristrutturando il Partenone con i soldi della nuova programmazione 2000-2006, finanziando l'impresa per il 75% con i fondi della Commissione europea e per il 25% con quelli del Ministero dei Beni Culturali greco. Ecco dov’è la differenza con l’Italia. Nel nostro paese la struttura pubblica non investe quel 25% che servirebbe ad ottenere il 75% dall’Europa. E’ un meccanismo che in Italia non si riesce a sbloccare.

Purtroppo gli italiani, come è successo per il Programma Quadro, si sono accorti della ricerca europea quando l’Unione ha cambiato le carte in tavola e ha reso le regole più difficili. Nel 2006, tranne cifre irrisorie rispetto ad oggi, i fondi strutturali verranno destinati agli Stati in fase di adesione. Già da 2 anni a Bruxelles si incontrano funzionari molto preparati che provengono dai paesi dell’allargamento, che stanno già crescendo, stanno respirando aria d'Europa. Sono Paesi che hanno aperto entusiasticamente le braccia all’Unione e che avranno molto bisogno di queste sovvenzioni.

Se l’Italia non si darà da fare per utilizzare al meglio i fondi strutturali perderà anche questo treno?

Io spero che in Italia crescano in fretta le competenze regionali in grado di gestire e di far fruttare questi fondi, altrimenti la mia sensazione è che in alcuni casi verremo scavalcati da questi nuovi colleghi, che sono già molto preparati. Per non parlare poi dei nostri vicini di casa come la Spagna e la Grecia che già da tempo “respirano” più Europa di noi. E’ un peccato, perché alcune nostre regioni, come la Sicilia, la Sardegna e la Calabria, potrebbero utilizzare i fondi europei per trasformare, ad esempio, il loro turismo in un’industria del turismo, creando nuova occupazione.

Quali sono le Regioni dell’Obbiettivo 1 che, nell’ambito del Piano Operativo nazionale 2000-20006, stanno dando risultati soddisfacenti sia per i traguardi fissati, sia per la gestione dei target di spesa?

Sembrerà strano, ma una regione che è un fiore all’occhiello è la Basilicata. Un po’ perché è molto piccola, un po’ perché non avendo molte infrastrutture è rimasta isolata dai problemi sociali del Sud, come la criminalità e l'assistenzialismo, e ha saputo utilizzare meglio i fondi, aprendo anche centri di ricerca importanti, che hanno creato ricchezza e occupazione.

Sicuramente il problema che permane nelle nostre Regioni è la mancanza di dialogo: non c’è cooperazione, non c’è scambio di esperienze e di competenze, scambio che gioverebbe ad una migliore valutazione dei progetti ed eviterebbe di ripetere sempre gli stessi errori. Servirebbe appunto una cooperazione transregionale. Se non riusciamo a dialogare con il nostro vicino di casa sarà ancora più difficile farlo con gli altri Paesi.

Come vanno le cose per quanto riguarda la Ricerca?

Nell’ambito della programmazione 2000-2006 l’Apre si è occupata di un progetto informativo sul P.O.N. (Programma Operativo Nazionale) con l’autorizzazione del MIUR con lo scopo di analizzare i dati della vecchia programmazione e di illustrare i contenuti della nuova. A ridosso delle prime scadenze dei progetti P.O.N. abbiamo organizzato 2 giornate a Catania e a Bari nel Novembre 2001. Poi però al Ministero si è tutto apparentemente fermato.

Di progetti ne sono arrivati tantissimi, destinati sia alla ricerca, sia all’alta formazione, ed ora stanno tutti aspettando che questi fondisi sblocchino. Si parla di 4 mila miliardi, una cifra considerevole che, anche qui, se non verrà utilizzata andrà persa. Il Ministero aveva aperto uno sportello, la 297, per le Regioni Obbiettivo 1 e molti ricercatori hanno cercato di presentare progetti in quell’ambito, ma il più delle volte non ci sono stati riscontri relativi alla valutazione e all’iter di questi progetti.

Le faccio l’esempio di una PMI, una azienda molto hi-tech in biotecnologie, della quale ci stiamo occupando, che ha ricevuto il finanziamento nel 2000 nell’ambito della 297(allora era ancora possibile per le Regioni non Obbiettivo 1) e che ad oggi ancora non ha ancora riscosso quei fondi: questo significa che da 17 mesi i dipendenti dell'azienda non ricevono lo stipendio. Purtroppo come Apre, promovendo la ricerca europea, vediamo come soprattutto le PMI siano pronte per l’Europa, ma l’Europa ha cambiato le regole in corsa e il tasso di successo di queste aziende nell'ottenere i finanziamenti necessari ora è molto scarso.

E’ anche questo uno dei motivi della “fuga di cervelli” dall’Italia?

Mi hanno fatto una domanda sulla “fuga di cervelli” dal nostro paese durante la riunione sul Sistema Ricerca promossa da Confindustria dell’anno scorso, che si è ripetuta anche quest’anno. Io rispondo che per chiedere ad un ricercatore che vive all’estero di tornare in Italia bisogna potergli offrire non tanto una contropartita economica quanto infrastrutture adeguate, centri di ricerca attivi e funzionanti, dotati di strumentazioni nuove ed avanzate.

La Commissione Europea ha capito l’importanza dello sviluppo della Ricerca e ha innalzato al 3% la spesa per questo settore alla quale tutti gli Stati membri dovranno arrivare entro il 2010. Noi italiani ce la faremo a raggiungere quell'Obbiettivo?

Lo spero per l’Italia, dato che ora non arriviamo all'1%, mentre per paesi come la Finlandia il 3% è un traguardo già superato. L’Obbiettivo di questo governo è di arrivare nel 2006 al 1,5% per poi raddoppiare entro il 2010. Ma se il pubblico continuerà ad investire solo lo 0,6% continuerà l'estenuante tira e molla tra pubblico e privato che alimenta uno status quo ormai anacronistico per stare al passo con l’Europa. Io spero invece che ci sarà presto un’inversione di rotta.

 

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