L’APRE-
agenzia per la Promozione della Ricerca Europea- è
un’associazione senza scopo di lucro costituita
nel 1989 con il patrocinio del Ministero dell’Istruzione
Università e Ricerca, per promuovere la partecipazione
italiana ai programmi europei di ricerca e sviluppo
tecnologico. Nell’ambito di questi programmi,
l’APRE svolge attività di informazione,
documentazione e assistenza ad imprese, università
ed altri organismi interessati a partecipare alle
opportunità di finanziamento e di collaborazione
in campo scientifico-tecnologico.
Incontriamo la dottoressa Diassina Di Maggio, direttrice
della sede centrale di Roma, per fare il punto della
situazione sui Fondistrutturali nel nostro paese.
Che cosa sono i fondi strutturali e perché
vengono utilizzati?
I fondi strutturali europei sono stati stabiliti
dall’Unione europea per colmare il gap tra i
paesi più avanzati e quelli più svantaggiati.
Fino a poco tempo fa i paesi verso i quali questi
fondi erano indirizzati erano cinque: Irlanda, Portogallo,
Spagna, Italia (Centro-Sud) e Grecia. Lo scopo principale
era ed è quello di innalzare il livello sia
culturale che infrastrutturale di queste regioni per
adeguarlo a quello degli Stati membri più sviluppati.
Una parte di questi fondi, inoltre, viene riservata
alla formazione non solo, per quanto riguarda l’Italia,
alle regioni che fanno parte dell’Obbiettivo
1 (Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia
e Sardegna) ma anche a tutte le altre.
Come vengono utilizzati questi fondi?
Dobbiamo dire innanzitutto che, percentualmente, rispetto
al bilancio dell’Unione Europea, i fondi strutturali
rappresentano un salvadanaio importante. Se per la
Ricerca l’Europa stanzia il 4,5 %, e il 34%
per l’Agricoltura, per i fondi strutturali parliamo
del 36%. Si tratta, quindi, di cifre importanti. L’
Irlanda, ad esempio, che li ha utilizzati tutti e
nel migliore dei modi, ha innalzato il suo Pil tanto
da uscire dalla lista dei cinque paesi svantaggiati.
E l’Italia?
Per l’Italia, come al solito, la situazione
è controversa. Se ci riferiamo infatti alla
vecchia programmazione, cioè quella 1994-1999,
perché per quella 2000-2006 non abbiamo ancora
alcun dato, e facciamo un confronto tra i paesi che
hanno utilizzato i fondi strutturali, l’Italia
appare all’ultimo posto. Mentre il Portogallo
infatti utilizzava il 72% di questi fondi, la Spagna
e la Grecia si assestavano sul 69% e l’Italia
si aggirava tra il 34% e il 42%.
Perché questo “dislivello”?
Questi dati denotano, purtroppo, un’incapacità
organizzativa e di progettazione al livello delle
amministrazioni pubbliche regionali. Il problema italiano
fino ad oggi è stato che le Regioni non avevano
professionisti in grado di attuare una programmazione
adeguata, e di conseguenza i bandi uscivano con difficoltà
o con molto ritardo e i progetti spesso non erano
degni di essere presi in considerazione. Attualmente
la mentalità sta cambiando, alcune Regioni
stanno reclutando “manager” esterni per
supportare le amministrazioni nella programmazione,
ma il ritardo che hanno accumulato è enorme.
Quello che non si è ancora capito è
che, ora che le Regioni avranno cambiato mentalità,
i fondi a disposizione saranno esauriti.
Lei mi dice, quindi, che i 30 miliardi di
euro destinati alle Regioni Obbiettivo 1 italiane
dall’Ue per il periodo 2000-2006 ancora non
sono stati interamente spesi?
Ad oggi almeno per il 50% questi soldi non sono stati
impegnati in progetti di rilievo da parte delle Regioni.
Al contrario a Lindos, in Grecia, stanno ristrutturando
il Partenone con i soldi della nuova programmazione
2000-2006, finanziando l'impresa per il 75% con i
fondi della Commissione europea e per il 25% con quelli
del Ministero dei Beni Culturali greco. Ecco dov’è
la differenza con l’Italia. Nel nostro paese
la struttura pubblica non investe quel 25% che servirebbe
ad ottenere il 75% dall’Europa. E’ un
meccanismo che in Italia non si riesce a sbloccare.
Purtroppo gli italiani, come è successo per
il Programma Quadro, si sono accorti della ricerca
europea quando l’Unione ha cambiato le carte
in tavola e ha reso le regole più difficili.
Nel 2006, tranne cifre irrisorie rispetto ad oggi,
i fondi strutturali verranno destinati agli Stati
in fase di adesione. Già da 2 anni a Bruxelles
si incontrano funzionari molto preparati che provengono
dai paesi dell’allargamento, che stanno già
crescendo, stanno respirando aria d'Europa. Sono Paesi
che hanno aperto entusiasticamente le braccia all’Unione
e che avranno molto bisogno di queste sovvenzioni.
Se l’Italia non si darà da fare
per utilizzare al meglio i fondi strutturali perderà
anche questo treno?
Io spero che in Italia crescano in fretta le competenze
regionali in grado di gestire e di far fruttare questi
fondi, altrimenti la mia sensazione è che in
alcuni casi verremo scavalcati da questi nuovi colleghi,
che sono già molto preparati. Per non parlare
poi dei nostri vicini di casa come la Spagna e la
Grecia che già da tempo “respirano”
più Europa di noi. E’ un peccato, perché
alcune nostre regioni, come la Sicilia, la Sardegna
e la Calabria, potrebbero utilizzare i fondi europei
per trasformare, ad esempio, il loro turismo in un’industria
del turismo, creando nuova occupazione.
Quali sono le Regioni dell’Obbiettivo
1 che, nell’ambito del Piano Operativo nazionale
2000-20006, stanno dando risultati soddisfacenti sia
per i traguardi fissati, sia per la gestione dei target
di spesa?
Sembrerà strano, ma una regione che è
un fiore all’occhiello è la Basilicata.
Un po’ perché è molto piccola,
un po’ perché non avendo molte infrastrutture
è rimasta isolata dai problemi sociali del
Sud, come la criminalità e l'assistenzialismo,
e ha saputo utilizzare meglio i fondi, aprendo anche
centri di ricerca importanti, che hanno creato ricchezza
e occupazione.
Sicuramente il problema che permane nelle nostre
Regioni è la mancanza di dialogo: non c’è
cooperazione, non c’è scambio di esperienze
e di competenze, scambio che gioverebbe ad una migliore
valutazione dei progetti ed eviterebbe di ripetere
sempre gli stessi errori. Servirebbe appunto una cooperazione
transregionale. Se non riusciamo a dialogare con il
nostro vicino di casa sarà ancora più
difficile farlo con gli altri Paesi.
Come vanno le cose per quanto riguarda la
Ricerca?
Nell’ambito della programmazione 2000-2006
l’Apre si è occupata di un progetto informativo
sul P.O.N. (Programma Operativo Nazionale) con l’autorizzazione
del MIUR con lo scopo di analizzare i dati della vecchia
programmazione e di illustrare i contenuti della nuova.
A ridosso delle prime scadenze dei progetti P.O.N.
abbiamo organizzato 2 giornate a Catania e a Bari
nel Novembre 2001. Poi però al Ministero si
è tutto apparentemente fermato.
Di progetti ne sono arrivati tantissimi, destinati
sia alla ricerca, sia all’alta formazione, ed
ora stanno tutti aspettando che questi fondisi sblocchino.
Si parla di 4 mila miliardi, una cifra considerevole
che, anche qui, se non verrà utilizzata andrà
persa. Il Ministero aveva aperto uno sportello, la
297, per le Regioni Obbiettivo 1 e molti ricercatori
hanno cercato di presentare progetti in quell’ambito,
ma il più delle volte non ci sono stati riscontri
relativi alla valutazione e all’iter di questi
progetti.
Le faccio l’esempio di una PMI, una azienda
molto hi-tech in biotecnologie, della quale ci stiamo
occupando, che ha ricevuto il finanziamento nel 2000
nell’ambito della 297(allora era ancora possibile
per le Regioni non Obbiettivo 1) e che ad oggi ancora
non ha ancora riscosso quei fondi: questo significa
che da 17 mesi i dipendenti dell'azienda non ricevono
lo stipendio. Purtroppo come Apre, promovendo la ricerca
europea, vediamo come soprattutto le PMI siano pronte
per l’Europa, ma l’Europa ha cambiato
le regole in corsa e il tasso di successo di queste
aziende nell'ottenere i finanziamenti necessari ora
è molto scarso.
E’ anche questo uno dei motivi della
“fuga di cervelli” dall’Italia?
Mi hanno fatto una domanda sulla “fuga di cervelli”
dal nostro paese durante la riunione sul Sistema Ricerca
promossa da Confindustria dell’anno scorso,
che si è ripetuta anche quest’anno. Io
rispondo che per chiedere ad un ricercatore che vive
all’estero di tornare in Italia bisogna potergli
offrire non tanto una contropartita economica quanto
infrastrutture adeguate, centri di ricerca attivi
e funzionanti, dotati di strumentazioni nuove ed avanzate.
La Commissione Europea ha capito l’importanza
dello sviluppo della Ricerca e ha innalzato al 3%
la spesa per questo settore alla quale tutti gli Stati
membri dovranno arrivare entro il 2010. Noi italiani
ce la faremo a raggiungere quell'Obbiettivo?
Lo spero per l’Italia, dato che ora non arriviamo
all'1%, mentre per paesi come la Finlandia il 3% è
un traguardo già superato. L’Obbiettivo
di questo governo è di arrivare nel 2006 al
1,5% per poi raddoppiare entro il 2010. Ma se il pubblico
continuerà ad investire solo lo 0,6% continuerà
l'estenuante tira e molla tra pubblico e privato che
alimenta uno status quo ormai anacronistico
per stare al passo con l’Europa. Io spero invece
che ci sarà presto un’inversione di rotta.
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