Quello
dei fondi europei è un tema caldo, soprattutto
adesso che la prospettiva di un'Europa allargata a
paesi che necessitano di consistenti sovvenzioni da
parte della comunità rischia di togliere risorse
economiche alle regioni italiane. Ma in Italia su
questo tema c'è ancora molta confusione: vale
forse la pena capire meglio in che cosa consistano
i fondi di sviluppo, come vadano richiesti e spesi,
quali siano gli ostacoli frapposti fra la disponibilità
finanziaria da parte dell'Unione e la capacità
di stato e regioni di utilizzarli al meglio.
Abbiamo chiesto a Luigi Chiarello, giornalista di
ItaliaOggi esperto di politica economica comunitaria,
di darci una panoramica generale sui fondi messi a
disposizione dalla UE e di illustrare quali, secondo
lui, saranno le prospettive future.
"Parlando di fondi europei bisogna distinguere
2 grandi momenti", esordisce Chiarello. "Il
primo periodo, detto quadro comunitario di sostegno,
è andato dal 1994 al 1999 e i suoi effetti
si sono trascinati fino alla fine del 2002, con un
certo ritardo da parte dell'Italia nell'impiego dei
finanziamenti concessi; poi è partito il quadro
comunitario di sostegno 2000-2006, volgarmente conosciuto
come Agenda 2000"
Qual è il meccanismo secondo il quale
vengono distribuiti i finanziamenti?
Il grosso dei fondi europei cofinanzia iniziative
di emanazione regionale; una parte cofinananzia iniziative
o incentivi a carattere nazionale, come quelli previsti
dalla legge 488; altre iniziative sono direttamente
finanziate dall'Unione Europea attraverso bandi ad
hoc. Tra queste posso ricordare Interreg, che è
un programma europeo di cooperazione tra Regioni di
Stati confinanti tra di loro. Quando tali Regioni
presentano diversi livelli di sviluppo economico,
Interreg può essere utilizzato per consentire
alle aree depresse di recuperare il ritardo accumulato,
in maniera tale da uniformare il panorama economico,
all'interno dell'Ue, anche tra Regioni confinanti
di paesi diversi.
Per quanto riguarda le singole Regioni, esse gestiscono
i fondi europei costruendo e attuando dei piani definiti
POR, cioè Programmi operativi regionali. In
base ai POR le Regioni dettano le linee guida, approvate
in concertazione con l'Ue, sulla cui base preparano
i bandi. Da lì nasce la dinamica della discussione
su come questi fondi vengono spesi o non spesi.
Quali Regioni italiane stanno facendo un buon
utilizzo delle risorse erogate dall'Unione?
Per quanto riguarda l'andamento della spesa, cioè
l'effettiva soddisfazione degli impegni di spesa assunti,
le Regioni che sembrano avere le migliori performance
sono la Basilicata a la Campania. Buone performance
sono state registrate anche dalla Puglia e un discreto
livello anche dalla Sardegna. Sicuramente la regione
più indietro, e mi dispiace dirlo perché
io sono calabrese, è la Calabria, perché
non ha adeguate capacità di sviluppo progettuale:
finora i progetti presentati dalle imprese non hanno
drenato abbastanza risorse rispetto a quelle stanziate
dall'Unione europea. Il problema non è la mancanza
di progetti quanto piuttosto la capacità di
far sì che i progetti vengano approvati, in
modo da spendere tutte le risorse a disposizione.
Da dove nasce questa difficoltà?
E' un problema che ha molti aspetti. Il primo è
la carenza di comunicazione da parte delle pubbliche
amministrazioni, che purtroppo in alcune Regioni d'Italia
sono piuttosto inefficienti da questo punto di vista,
cioè non mettono al corrente le imprese di
tutte le opportunità a loro disposizione. Inoltre
le procedure burocratiche per poter accedere ai finanziamenti
risultano molto spesso complicate e farraginose, e
l'imprenditore necessita di consulenze, che possono
diventare onerose. Inoltre, c'è un problema
di adeguatezza dei POR alle reali esigenze delle Regioni.
In alcune, i piani sono stati fatti in maniera "elettoralistica",
invece di perseguire performance di spesa adeguate
rispetto alle strategie regionali. Questo ha determinato
una sorta di asimmetria tra le esigenze di sviluppo
delle singole Regioni e quanto era scritto nei POR.
Adesso si andrà a una riforma dei POR di medio
periodo: l'Unione europea punterà l'indice
sulle performance di spesa e sulla reale adeguatezza
dei piani. C'è anche in corso un'iniziativa
al riguardo del Ministero dell'Economia, il cui Dipartimento
delle politiche di sviluppo e coesione è competente
a dialogare con Bruxelles.
I fondi europei vengono impiegati solo nel
Mezzogiorno o anche al Nord?
I fondi europei gestiti dalle Regioni vengono erogati
attraverso 2 macroaree, che si chiamano Obbiettivo
1 e 2. L'Obbiettivo 1 riguarda sostanzialmente il
Mezzogiorno, l'Obbiettivo 2 il Centro-Nord. L'Obbiettivo
1 chiaramente riceve il maggior numero di fondi, che
vengono erogati in base ai POR. L'Obbiettivo 2, che
ha minori risorse a disposizione, finanzia azioni
di sviluppo nelle aree depresse del Centro Nord, quelle
zone che, sebbene si trovino in Regioni ad alto sviluppo,
presentano bassi rendimenti di crescita.
Anche questo meccanismo verrà riformato dopo
il 2006. Il francese Michel Barnier, commissario europeo
per la politica regionale, ha annunciato in diverse
occasioni che verrà istituito una sorta di
Obbiettivo 1 bis. Oggi le Regioni, quando raggiungono
un certo livello di sviluppo escono dall'Obbiettivo
1 e, attraverso una procedura detta phasing out,
cioè "travaso", dovrebbero entrare
nell'Obbiettivo 2: è il caso per esempio dell'Abruzzo
e del Molise, e sarà il caso della Basilicata
e della Sardegna. La Basilicata uscirà per
motivi statistici, nel senso che quando verrà
allargata l'Unione, a partire dal 2004, si troverà
ad avere un livello di sviluppo più elevato
rispetto a molte aree dei paesi nuovi entrati. La
Sardegna invece uscirà per motivi di sviluppo
propri.
Per le Regioni espulse in base a motivi esclusivamente
statistici – non perché abbiano raggiunto
realmente un soddisfacente livello di sviluppo –
la Commissione europea sta progettando una sorta di
binario preferenziale, appunto l'Obbiettivo 1 bis,
che consenta loro di essere comunque supportate e
di non perdere tutti i fondi a causa dell'allargamento.
Va considerato che l'allargamento porterà all'interno
dell'Ue paesi molto arretrati economicamente, per
cui bisogna fare in modo di non lasciare sole Regioni
lievemente più sviluppate, ma non certo floride.
Rimarranno comunque nell'Obbiettivo 1 la Calabria,
la Sicilia, la Puglia e la Campania.
E' ancora vero che i fondi europei vengono
utilizzati solo in parte dalle amministrazioni italiane?
Ultimamente ci sono state delle accelerazioni di
spesa: la percentuale degli impegni presi che vengono
rispettati si aggira adesso intorno al 90%, prima
invece i livelli erano molto inferiori. Il problema
è che purtroppo le accelerazioni in alcune
Regioni sono state raggiunte utilizzando uno strumento
che l'Unione europea non vede di buon occhio, anzi,
che è proibito dal nuovo quadro comunitario
di sostegno: i progetti sponda. A causa della inadeguatezza
di alcuni POR, vengono presentati progetti per i quali
si chiede un finanziamento adducendo un determinato
scopo, e poi, una volta ottenuti i finanziamenti,
li si utilizza in modo del tutto diverso.
L'utilizzo è sempre legittimo, al
di là del fatto che non sia quello concordato?
Non lo definirei illegale, sarebbe una parola grossa.
Ma è un utilizzo non formalmente corretto:
una "partita di giro" che serve a utilizzare
fondi che altrimenti non verrebbero spesi per inadeguatezza
dei protocolli regionali. Comunque è una pratica
condannata dall'Unione europea, che da adesso in poi
non sarà più consentita. Finora probabilmente
l'Unione su questa prassi ha chiuso un occhio per
evitare che le risorse andassero perdute.
Forse avevano capito che sono i protocolli
ad essere formulati in modo inadeguato.
Per questo si andrà a una riforma e si preannuncia
da parte del governo italiano l'idea di utilizzare
parte dei fondi strutturali per finanziare infrastrutture.
Si tratta però di una scelta che non credo
possa essere digerita da Bruxelles, perché
nella logica della Commissione questi fondi tradizionalmente
vengono destinati allo sviluppo, non alla costruzione
delle infrastrutture.
Che cosa fa la differenza nell'ottenere i
fondi e nel gestirli nel modo migliore secondo i criteri
di Bruxelles?
La situazione attuale è la seguente: a livello
europeo vengono fissate delle regole sulle possibilità
di utilizzo dei fondi e sui criteri che devono soddisfare.
Queste regole vengono riportate all'interno dei POR
e seguono protocolli ben precisi. Le Regioni attuano
il maggior numero di azioni possibili per poter sviluppare
i settori che ritengono strategici. Le imprese a conoscenza
dei bandi pubblicati dalle varie Regioni presentano
la domanda nei tempi richiesti. E qui si apre la fase
di istruttoria per poter attingere ai finanziamenti.
Attualmente le imprese vengono facilmente
a conoscenza dei bandi?
Ultimamente la situazione è migliorata. L'Unione
europea finanzia anche delle azioni di formazione
professionale in questo senso e l'attenzione delle
imprese verso la leva dei fondi regionali sta crescendo.
Rimane però in alcune Regioni una sorta di
inadeguatezza professionale ad accedere a queste istruttorie,
quindi i costi per le consulenze possono diventare
elevati. E c'è un altro problema di fondo:
le leggi regionali o nazionali cofinanziate dai fondi
spesso richiedono oneri per le imprese, in termini
di investimenti, che possono rendere non conveniente
attingere a quelle risorse.
Per esempio la 488, una legge gestita nazionalmente
sulla base di priorità stabilite dalle Regioni
e finanziata con fondi europei, fino a qualche tempo
fa, tra gli indicatori che assegnava ai vari progetti
presentati dalle imprese, ne aveva uno che volgarmente
diceva: se l'impresa che fa domanda rinuncia a una
parte del contributo che le spetta ha maggiori possibilità
di ottenere l'effettiva erogazione del contributo
stesso. Questo meccanismo ha disincentivato molte
imprese, perché consentiva praticamente una
corsa al ribasso. L'idea era: abbiamo una torta, utilizziamola
per sostenere il maggior numero possibile di imprese
e non per finanziare gli investimenti realmente validi.
Con l'ultimo bando 488 questa distorsione è
stata eliminata, per cui adesso si arriva a finanziare
progetti piuttosto corposi, che possano garantire
un determinato livello di investimenti. In passato
molte aziende esitavano a presentare domanda per i
contributi della 488 perché imponeva un livello
di assunti troppo oneroso per certe imprese medie
e piccole. Il gioco non valeva la candela.
Qual è l'iter che un'azienda deve
affrontare per ottenere i fondi?
L'azienda legge il bando, presenta il business plan,
sottopone la propria domanda, partono le istruttorie,
si seguono gli adempimenti fissati dal bando, si fissano
gli impegni di spesa. Generalmente, se l'azienda viene
dichiarata ammissibile al contributo, si stila la
graduatoria e le migliori imprese vengono premiate.
Spesso capita che ci siano aziende che hanno progetti
considerati ammissibili, ma che non vengono finanziati
perché per quella misura sono state stanziate
risorse inferiori alle concrete necessità.
D'altro canto esistono invece misure che stanziano
fondi superiori rispetto alle reali esigenze.
Su quali punti fa leva l'attuale governo
in materia di agevolazioni alle imprese?
Il governo adesso punta su tre pilastri, dal punto
di vista degli incentivi alle imprese, per far ripartire
lo sviluppo: 1) i bonus fiscali, come quelli previsti
dalla Tremonti e la Tremonti Sud; 2) la rivistazione
della 488, che verrà limitata a progetti selettivi,
senza più la corsa al ribasso per avere i finanziamenti;
3) i contratti di programma. Questo a livello statale.
A livello regionale ci dovrà essere la riforma
dei POR, che dovranno essere ridefiniti sulle esigenze
concrete, in maniera da garantire alle imprese una
maggiore celerità nelle procedure. A livello
europeo l'Unione promuove azioni di tipo comunitario,
tra cui il Programma per la ricerca, che dovrebbe
disporre di circa 16 miliardi di euro.
Le attuali difficoltà economiche influenzano
la politica dei fondi europei?
Alcuni cofinanziamenti si stanno un po' riducendo,
perché quando la coperta è corta tutti
la tirano e le risorse devolute allo sviluppo generalmente
sono quelle che vengono tagliate per prime. Ad esempio
la Finanziaria del governo destinerà allo sviluppo
5 miliardi di euro, che su una manovra di 16 miliardi
sono proporzionalmente abbastanza, ma bisognerà
vedere come verranno utilizzati e soprattutto quali
azioni finanzieranno. Se andranno a sostenere soprattutto
interventi di tipo infrastrutturale, le imprese potrebbero
essere escluse da incentivi allo sviluppo. Dipende
sempre dalle strategie, ma in generale quando l'economia
frena c'è un calo di finanziamenti e in questo
periodo il calo è forte.
Che cosa ci riserva il futuro?
Per il futuro, a mio modesto parere, la necessità
è quella di calibrare in maniera più
legata ai reali interessi strategici delle Regioni
gli interventi di spesa dei fondi europei. Poi bisogna
assicurare una consulenza nell'utilizzo dei fondi
europei, attraverso l'opera di specialisti che possano,
quasi a livello di porta a porta, garantire conoscenza
alle imprese delle opportunità messe in campo
per costruire progetti validi, presentabili e soprattutto
sostenibili da un punto di vista finanziario. Ultimamente
si sta facendo un eccessivo ricorso ai bonus fiscali,
che possono servire, perché sono velocemente
fruibili da parte delle aziende, ma non mirano a uno
sviluppo organico delle azioni finanziarie, sono sostanzialmente
generalisti.
Il futuro delle agevolazioni in Italia passa anche
dai contratti di programma, sui quali il governo sta
puntando molto. Essi in realtà non sono altro
che un ritorno moderno, più efficiente, a quelli
che erano i meccanismi del vecchio intervento straordinario
nel Sud, nel periodo successivo alla Cassa del Mezzogiorno.
Sono cioè dei grossi finanziamenti concertati
fra Stato, Regioni e imprese, che vengono assegnati
per lo sviluppo di progetti singoli e mirati: un esempio
è lo stabilimento di Melfi della Fiat. Questi
contratti di programma possono attingere a fondi europei.
L'ultimo aspetto sta nell'allargamento e nella riforma
della PAC, la politica agricola comune, a livello
europeo. Il grande contenzioso determinato dall'allargamento
europeo è stato proprio sulla PAC. L'Italia
e la Francia soprattutto, e in qualche misura anche
la Spagna, temevano l'allargamento perché prevedevano
una decurtazione di fondi per il settore agricolo.
Questa decurtazione in parte ci sarà perché
nell'Unione europea entreranno colossi dell'agricoltura
come la Polonia. La PAC però è stata
riformata e adesso alcuni fondi verranno disaccoppiati
dalle quantità prodotte, mentre prima il contributo
era legato a qulle quantità attraverso varie
compensazioni, come i premi alla produzione. Adesso
il contributo europeo verrà erogato a prescindere
dalle quantità prodotte. In ogni caso un calo
parziale di fondi rispetto al passato è inevitabile
ma necessario: non si può ragionare in maniera
egoistica ma pensare a un'Unione il più possibile
coesa, il che passa anche attraverso le reti di solidarietà.
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