Quello
che segue è il testo dell'intervento del prof.
Maurizio Fioravanti al convegno “Costituzione
europea: luci e ombre”, che si è tenuto
lo scorso 8 luglio presso la Biblioteca della Camera
dei Deputati a Roma.
Per capire se il testo prodotto dai lavori della
Convenzione europea e che passerà al vaglio
della Conferenza intergovernativa possa essere considerato
un Trattato o una Costituzione è necessario
fare riferimento alla tradizione politico-istituzionale
nata dalla Rivoluzione francese, una tradizione che
ha disegnato un asse portante della nostra vita e
che sta andando incontro a importanti mutamenti.
Il diritto pubblico statale, così come si
è sviluppato a partire dagli eventi del 1789,
vede nell’opposizione radicale tra Trattato
e Costituzione uno dei suoi punti forti, figlio dell’idea
di sovranità dello stato nazionale della quale
siamo eredi; un’opposizione per cui i due termini
che stiamo prendendo in considerazione vivono in mondi
diversi, con origini e scopi diversi.
Il Trattato abita il mondo delle relazioni internazionali,
in cui tutti gli accordi e le decisioni rispondono
alla necessità e alla volontà di stabilire
un rapporto tra soggetti diversi, senza lo scopo di
costituire una nuova e ulteriore forma politica che
si collochi al di là dello stato. Per questo
motivo il principio cardine del diritto internazionale
è quello dell’unanimità, cioè
la regola della sovranità uguale tra gli stati.
Al contrario si ha una Costituzione quando siamo
di fronte a quello che si chiama il principio di unità
politica o, se vogliamo definirlo dal punto di vista
dei cittadini, quando nasce una nuova appartenenza.
Una prima differenza, quindi, tra i due termini, sta
nel fatto che uno, il Trattato, appartiene al diritto
internazionale e riguarda il rapporto tra stati diversi
che raggiungono un accordo sulla base del principio
di unanimità; quando, invece, siamo di fronte
alla nascita di una nuova unità politica, di
un nuovo stato, siamo nell’ambito del diritto
statale e dobbiamo parlare di Costituzione, per la
quale ogni procedimento di revisione richiede in genere
una maggioranza molto ampia e qualificata, ma non
un consenso unanime.
Nella
nostra tradizione Trattato e Costituzione sono così
distanti che è davvero difficile pensare di
poter realizzare un ibrido, qualcosa che contenga
un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.
Analizzando i lavori della Convenzione non possiamo
fare a meno di insistere su questa questione, e cioè
che da un Trattato non nasce alcuna Costituzione;
se invece si vuol dar vita a una costituzione, allora
si spegne la logica del Trattato. O uno o l’altra:
tertium non datur, ci dice la nostra storia.
La realtà dei fatti che stanno prendendo corpo
nell’ambito dell’Unione ci mette invece
di fronte a un ibrido che non appartiene alla nostra
tradizione in materia di diritto pubblico. Stiamo
assistendo infatti al tentativo di fondare una Costituzione
su un Trattato, un documento cioè che non rinnega
le parti che la compongono, che non le fa divenire
parti di un intero, ma allo stesso tempo mantiene
l’ambizione a costruire una comune e autonoma
forma politica.
La contraddizione emerge sin dalla copertina e dal
titolo: A treaty establishing a Constitution,
cioè “un trattato che determina l’esistenza
di una Costituzione”. Quello che abbiamo davanti
agli occhi è un’assoluta novità,
tanto che viene da chiederci se si stia aprendo una
nuova fase della storia del diritto, se stiamo superando
le colonne d’Ercole della tradizione, se l’oggetto
della nostra attenzione sia una cosa realmente fattibile.
Proviamo a guardare il testo più nel dettaglio
per cercare di capire meglio di che cosa stiamo parlando.
Per potersi definire Costituzione un testo deve contenere
dei principi costituzionali. E non mi pare che questa
condizione sia soddisfatta. Non può essere
sufficiente, a tale riguardo, il fatto di aver incorporato
la Carta dei Diritti Fondamentali, un passaggio certamente
necessario, ma che da solo non dota il documento della
forza costituzionale di cui ha bisogno.
Così come appare ora, il testo ha una forma
stratificata che ha raccolto in sé cose diverse
- come le libertà economiche, i diritti fondamentali
e altri principi generali del diritto comunitario
- ma che ancora non produce quella forza di sintesi,
quello spirito costituente, che è invece ciò
che determina il sistema dei principi costituzionali.
Un altro aspetto che merita attenzione riguarda gli
articoli dedicati all’istituzione dell’Unione.
Nel testo si sostiene che la Costituzione istituisce
l’Unione europea, alla quale gli stati membri
conferiscono competenze per conseguire i loro destini
comuni. Vorrei far notare il compromesso che tra le
righe è nascosto sotto questa espressione.
Da una parte si dice che l’Unione nasce dalla
Costituzione, dall’altra questo risulta vero
solo in parte perché sono gli stati membri
che la fanno vivere dando ad essa una parte delle
loro competenze.
Da un punto di vista tecnico e politico possiamo
ritenere che la Costituzione non si presenta come
il Fondamento dell’Unione, ma come lo strumento
di cui gli stati membri si servono per fondare l’Unione.
Se prendiamo poi in considerazione i meccanismi di
entrata in vigore e di ratifica, non possiamo fare
a meno di notare il principio di unanimità
e la sovranità degli stati membri che sono
alla base del funzionamento di tali meccanismi.
Tutte queste osservazioni mi portano a dire che l’oggetto
della nostra attenzione prende la forma di qualcosa
che chiamiamo Costituzione, ma che appare piuttosto
come una nuova forma di Trattato che si dibatte per
emanciparsi dai suoi tratti classici, e che al tempo
stesso mantiene alcune delle sue caratteristiche principali,
come quella di essere uno strumento di relazione tra
stati fondato sul principio dell’unanimità.
La vera grande novità che mi pare si possa
registrare è l’istituzionalizzazione
del metodo della Convenzione che entra a far parte
dell’armamentario del diritto pubblico europeo
come modo di revisione del trattato o del testo costituzionale.
Dal punto di vista formale la Convenzione rimane una
proposta per la Conferenza intergovernativa (Cig),
che può apportare al testo cambiamenti molto
rilevanti; se però la Cig dovesse cambiare
poco del testo che abbiamo ora sotto gli occhi, allora
la forza della consuetudine conferirebbe uno status
importante alla novità della Convenzione.
Per concludere conviene forse tirare un po’
le fila delle osservazioni sopra riportate. La nostra
tradizione ha definito il Trattato e la Costituzione
attraverso un reciproca e chiara opposizione che ha
creato delle difficoltà nel fare ciò
che i fatti richiedono, cioè andare verso una
forma di relazione tra gli stati che sia sostanzialmente
un ibrido tra le due cose.
A mio parere questa strada non è stata ancora
percorsa e l’itinerario necessario per arrivare
al punto d’arrivo non è ancora completato.
Ci troviamo ora in un punto di passaggio: al di là
di quello che si è fatto fino ad oggi c’è
un fiume da guadare. Sulla sponda opposta troveremo
quello che stiamo cercando, un riavvicinamento tra
la forma del Trattato e quella della Costituzione,
perché nella misura in cui tramonta il diritto
pubblico statale tramonta anche la forza di questa
opposizione.
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