“È
uno tsunami che ancora non si è manifestato in
tutta la sua grandezza e in tutta la sua potenza”.
Quando parla delle potenzialità del web, della
portata degli effetti e dei cambiamenti che la rete
delle reti può portare nelle nostre società
e nelle nostre vite, Guido Martinotti, pro-rettore e
docente di Sociologia urbana alla Bicocca di Milano,
usa la metafora di un’onda gigantesca, enorme,
mastodontica, che si avvicina alle rive delle nostre
abitudini. La stessa metafora Martinotti l’aveva
usata nella prefazione al libro di Manuel Castells La
città delle reti (Marsilio – I libri
di Reset) e la riprende oggi, insistendo sul fatto che
non si tratta di trovare il modo per salvarsi dall’impatto:
“Difendersi non è la parola giusta –
dice – non ci sono dighe contro lo tsunami. Occorre
cavalcarlo”. Anche se non sappiamo dove ci porterà.
Tra esperti e analisti e ci sono pessimisti che predicono
catastrofi e utopisti che tornano a parlare di una democrazia
che prende linfa dal web. Manuell Castells nel suo saggio
(che trovate qui)
apre gli occhi in maniera disincantata e molto oggettiva,
parla della diffusione estesissima del network, delle
reti, ad ogni aspetto della nostra vita, dall’economia,
all’organizzazione del tempo libero, dalla fruizione
(ovviamente) di informazioni multimediali fino alla
politica. Sempre di più è la rete, dice
Castells, il territorio dove ha luogo la gara per la
conquista del consenso tra forze politiche, ma anche
tra forze economiche che stanno iniziando a portare
in rete i grandi marchi: Murdoch, che ha comprato Myspace,
né è l’esempio principe.
Cadono le utopie e crescono le contraddizioni? Il web,
che ha sempre mostrato il suo potenziale di decentramento
e partecipazione, chiude ora la porta a un miglioramento
della democrazia e ci espone ai grandi poteri (economici,
politici, mediatici) che abbiamo tradizionalmente conosciuto?
“Per un sistema di trasformazioni così
complesso – risponde Martinotti – è
persino inutile parlare di contraddizioni. Nella rete
c’è un po’ di tutto ed è certamente
impossibile dire se a prodotto maturo il risultato sarà
una società più libera e aperta o una
più controllata”. Quello che possiamo vedere
chiaramente sotto i nostri occhi, continua il sociologo,
è un grande movimento, “un sistema di spinte
e contro-spinte” che anima la crescita della rete.
Per il momento il risultato certo è uno solo:
“Non parlerei tanto di rischi o di benefici per
la democrazia – continua Martinotti – quanto
di capacità di organizzazione di azioni diffuse.
La rete diminuisce il costo d’accesso alla mobilitazione.
Per cosa e con quali effetti non è semplice dirlo”.
Quello che invece possiamo dire con certezza riguarda
i risultati che le tecnologie del network hanno realizzato
concretamente nelle nostre vite, nelle nostre realtà
urbane e metropolitane e nel nostro rapporto con esse.
“Contrariamente a quanto si pensa – spiega
Martinotti – le tecnologie informative hanno aumentato
la domanda di mobilità, allo stesso tempo hanno
consentito la formazione e il mantenimento di legami
a distanza, hanno ampliato l’area di insediamenti
a bassa densità (urban sprawl) collegati
tra loro da una crescente mobilità erratica individuale”.
Ma se le tecnologie ci consentono di muoverci con più
agilità, permettendo di portare le nostre abitazioni
lontani dai centri, è pur vero, ammette il professore,
che “una diffusa crisi energetica e una crescente
consapevolezza ambientalistica stanno creando correnti
culturali in senso contrario e iniziative parziali verso
la ricentralizzazione”.
Cresce la mobilità, e cambiano modi e tecniche
di monitoraggio e controllo. Qualche esempio concreto?
“Il governo olandese sta pensando a un piano nazionale
di comunicazione wireless (senza fili) e Gps (sistema
satellitare che consente di localizzare un oggetto)
in modo tale da poter identificare la posizione di ciascun
veicolo circolante per ragioni di regolazione del traffico
e di imposizione fiscale. Una simile tecnologia potrebbe
poi veicolare molte altre informazioni”.
E se a utilizzare questi strumenti sono le assicurazioni,
il vantaggio potrebbe andare tutto nelle tasche degli
utenti. “Le assicurazioni automobilistiche –
spiega Martinotti – calcolano il rischio in maniera
proporzionale ai chilometri mediamente percorsi dal
veicolo e alla pericolosità delle strade. Pertanto
gli assicurati che percorrono pochi chilometri su strade
sicure sovvenzionano quelli che viaggiano molto su strade
a rischio. Una dozzina di compagnie di assicurazione
hanno adottato lo schema Pay As You Drive (Payd)
che permette di monitorare via Gps i singoli veicoli
assicurati. Il risultato: chi viaggia su strade con
guard rail e bassi limiti di velocità ha un risparmio
di oltre un terzo sulla polizza, ma ovviamente il proprietario
del veicolo deve rinunciare alla propria privacy; lo
stesso avviene per il car sharing. Non è difficile
pensare che, generalizzandosi, queste utilizzazioni
avranno bisogno di un sistema di controllo gigantesco,
detto cyberinfrastructure”.
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