Albert-László
Parabasi, Link. La scienza delle reti,
Einaudi, 2004, pagg. 240, euro 23,00
Cos’hanno in comune una cellula di un organismo
vivente e la comunità delle star di Hollywood?
E un’infezione virale, un blackout elettrico e
Al-Qaeda? Per noi profani niente. Ma in realtà,
ci spiega il ricercatore ungherese Albert-László
Barabàsi nel suo interessante e complesso saggio
Link. La scienza delle reti (Einaudi), accostando
fra loro le modalità di comportamento di tutte
queste entità e fenomeni si scoprono meccanismi
che seguono un’impronta comune, “proprio
come gli esseri umani condividono scheletri pressoché
indistinguibili”. “Una serie di recenti
scoperte mozzafiato”, sostiene Barabàsi,
“ci ha messi di fronte al fatto che alcune leggi
naturali, di vasta portata e incredibilmente semplici,
governano la struttura e l’evoluzione di tutte
le reti complesse che ci circondano”. E di reti
che ci circondano ce ne sono parecchie, considerando
che per definizione una rete è “un insieme
di nodi interconnessi che possiedono uno o più
legami (
link) che li mettono in contatto l’uno
con l’altro”. Un concetto talmente semplice,
nella sua astrattezza, da potersi applicare praticamente
a qualsiasi aspetto della nostra vita.
È solo con Internet, e con l’affermazione
del Web, che la nozione di rete è entrata a far
parte dell’immaginario comune. Ma alla sua base
si nascondono precise formule matematiche che affondano
le proprie radici fin nella prima metà del Settecento,
con la teoria dei grafi di Eulero, per poi svilupparsi
nella scienza della topologia e conquistare definitivo
impulso alla metà del Ventesimo secolo con gli
studi di Paul Erdos e Alfred Renyi. A descrivercene
l’evoluzione, attraverso un lungo susseguirsi
di esempi illuminanti tratti dalla più svariate
discipline, è proprio uno dei protagonisti di
questa rivoluzione del network, docente di Fisica teorica
all’Università di Notre Dame, Indiana,
e padre delle più recenti ricerche sulle reti
complesse, progressivamente distaccatesi dai modelli
di rappresentazione basati su grafici a “generazione
casuale” (secondo cui i collegamenti si distribuirebbero
alla cieca, con il risultato che la stragrande maggioranza
dei nodi finirebbe per avere un numero di link che non
si discosta significativamente da una media statistica,
tipica di quel network), - insufficienti - per passare
a quelli “a invarianza di scala”, fondati
sulle leggi di potenza, che considerano il complesso
del World Wide Web identico a una piccola porzione di
se stesso.
Nel nuovo modello, si è scoperto, i nodi non
sono tutti uguali e i link non si distribuiscono uniformemente,
in primo luogo perché i nodi più “vecchi”
godono del vantaggio di avere avuto più tempo
per acquisire link, poi perché nelle reti i collegamenti
non avvengono a caso ma tendono a concentrarsi su alcuni
nodi che assumono la funzione di connettori o hub (in
Internet, il collegamento preferenziale è per
esempio stimolato dalla popolarità di cui godono
determinati siti, uno per tutti Google). “Una
volta ottenuto questo risultato”, commenta Barabàsi,
“gli schemi preparati non avranno solo un'utilità
descrittiva, ma anche una notevole potenzialità
predittiva di come è destinata a svilupparsi
la rete”.
Nella sua analisi tutte le teorie, anche quelle più
banalizzate dall’ampia diffusione, vengono ricontestualizzate
e spiegate punto per punto. Così, per esempio,
anche la teoria dei sei gradi di separazione di Milgram
assume un senso compiuto, tornando ad essere più
un’intuizione qualitativa che una dimostrazione
pratica incontrovertibile di una proprietà
delle reti sociali, in cui i gradi di separazione
tra gli individui sono molti meno di quelli che intuitivamente
si potrebbe pensare (per inciso, secondo Barabàsi
i gradi di separazione nel Web sono circa 19). Pochi
gradi di separazione, precisa il professore ungherese,
non vuol dire che tutti conoscono tutti, come si sarebbe
facilmente portati a concludere. Il fatto che io mi
trovi a pochi gradi di separazione da Brad Pitt, per
intenderci, va considerato insieme al fatto che anche
tutte le altre donne del mondo lo sono, e che quindi
la probabilità che io lo incontri è
esattamente minima quanto la probabilità di
incontrarlo che ha chiunque altra. Stesso discorso
per quanto riguarda il Web. A meno che il mio sito
non sia un hub della Rete, è difficile che
altri ci passino con facilità, il che un po’
sfata il mito del network come sede privilegiata di
relazioni paritario/democratiche.
Ora veniamo al punto debole della teoria: i due principi
essenziali individuati da Barabàsi nella struttura
di una rete, ovvero la crescita costante e il collegamento
preferenziale, per cui chi ha più link ha maggiori
probabilità di ottenerne di nuovi, sono due
grandezze assolutamente quantificabili. La faccenda
però si complica quando l’autore introduce
un terzo parametro, la fitness, ovvero la
capacità di ogni singolo sito di procurarsi
link (da cui dipende il fatto che Google vanta milioni
di accessi al giorno e altri motori di ricerca, anche
più vecchi, no). Se guardiamo la realtà
dei fatti, si tratta di un principio sacrosanto, ma
dal punto di vista predittivo è un problema,
perché non si può anticipare, ma solo
calcolare a posteriori quando un nuovo nodo ha trovato
la sua collocazione nella rete. Ciò non toglie,
del resto, che il saggio del fisico ungherese resti
una lettura avvincente e un’introduzione affascinante
alla complessa scienza delle reti. In aperta antitesi
con le teorie riduzioniste che hanno guidato gran
parte della ricerca scientifica nell’ultimo
secolo, secondo le quali per comprendere la natura
occorreva innanzitutto afferrarne l’insieme.
La parte per il tutto, finché non ci si è
resi conto, come un bambino disperato che dopo aver
ridotto in pezzi un giocattolo per vedere com’è
fatto capisce di non essere più capace di farlo
tornare come prima, che il riassemblaggio era più
difficile del previsto, perché la natura non
è un puzzle perfettamente disegnato in cui
tutti i pezzi si incastrano in un’unica maniera.
Al contrario: niente succede isolatamente, fenomeni
ed eventi sono perlopiù connessi con innumerevoli
altri in una complessa trama, si causano l’un
l’altro e interagiscono tra loro. Il mondo è
piccolo, molto più piccolo di quanto credevamo:
è una ragnatela, e questa sua struttura dominata
dall’interdipendenza forgerà le linee
fondamentali della nostra visione del mondo nei tempi
a venire.
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