268 - 25.12.04


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Tutte le strade portano in Rete
Chiara Rizzo

Albert-László Parabasi, Link. La scienza delle reti,
Einaudi, 2004, pagg. 240, euro 23,00


Cos’hanno in comune una cellula di un organismo vivente e la comunità delle star di Hollywood? E un’infezione virale, un blackout elettrico e Al-Qaeda? Per noi profani niente. Ma in realtà, ci spiega il ricercatore ungherese Albert-László Barabàsi nel suo interessante e complesso saggio Link. La scienza delle reti (Einaudi), accostando fra loro le modalità di comportamento di tutte queste entità e fenomeni si scoprono meccanismi che seguono un’impronta comune, “proprio come gli esseri umani condividono scheletri pressoché indistinguibili”. “Una serie di recenti scoperte mozzafiato”, sostiene Barabàsi, “ci ha messi di fronte al fatto che alcune leggi naturali, di vasta portata e incredibilmente semplici, governano la struttura e l’evoluzione di tutte le reti complesse che ci circondano”. E di reti che ci circondano ce ne sono parecchie, considerando che per definizione una rete è “un insieme di nodi interconnessi che possiedono uno o più legami (link) che li mettono in contatto l’uno con l’altro”. Un concetto talmente semplice, nella sua astrattezza, da potersi applicare praticamente a qualsiasi aspetto della nostra vita.

È solo con Internet, e con l’affermazione del Web, che la nozione di rete è entrata a far parte dell’immaginario comune. Ma alla sua base si nascondono precise formule matematiche che affondano le proprie radici fin nella prima metà del Settecento, con la teoria dei grafi di Eulero, per poi svilupparsi nella scienza della topologia e conquistare definitivo impulso alla metà del Ventesimo secolo con gli studi di Paul Erdos e Alfred Renyi. A descrivercene l’evoluzione, attraverso un lungo susseguirsi di esempi illuminanti tratti dalla più svariate discipline, è proprio uno dei protagonisti di questa rivoluzione del network, docente di Fisica teorica all’Università di Notre Dame, Indiana, e padre delle più recenti ricerche sulle reti complesse, progressivamente distaccatesi dai modelli di rappresentazione basati su grafici a “generazione casuale” (secondo cui i collegamenti si distribuirebbero alla cieca, con il risultato che la stragrande maggioranza dei nodi finirebbe per avere un numero di link che non si discosta significativamente da una media statistica, tipica di quel network), - insufficienti - per passare a quelli “a invarianza di scala”, fondati sulle leggi di potenza, che considerano il complesso del World Wide Web identico a una piccola porzione di se stesso.

Nel nuovo modello, si è scoperto, i nodi non sono tutti uguali e i link non si distribuiscono uniformemente, in primo luogo perché i nodi più “vecchi” godono del vantaggio di avere avuto più tempo per acquisire link, poi perché nelle reti i collegamenti non avvengono a caso ma tendono a concentrarsi su alcuni nodi che assumono la funzione di connettori o hub (in Internet, il collegamento preferenziale è per esempio stimolato dalla popolarità di cui godono determinati siti, uno per tutti Google). “Una volta ottenuto questo risultato”, commenta Barabàsi, “gli schemi preparati non avranno solo un'utilità descrittiva, ma anche una notevole potenzialità predittiva di come è destinata a svilupparsi la rete”.

Nella sua analisi tutte le teorie, anche quelle più banalizzate dall’ampia diffusione, vengono ricontestualizzate e spiegate punto per punto. Così, per esempio, anche la teoria dei sei gradi di separazione di Milgram assume un senso compiuto, tornando ad essere più un’intuizione qualitativa che una dimostrazione pratica incontrovertibile di una proprietà delle reti sociali, in cui i gradi di separazione tra gli individui sono molti meno di quelli che intuitivamente si potrebbe pensare (per inciso, secondo Barabàsi i gradi di separazione nel Web sono circa 19). Pochi gradi di separazione, precisa il professore ungherese, non vuol dire che tutti conoscono tutti, come si sarebbe facilmente portati a concludere. Il fatto che io mi trovi a pochi gradi di separazione da Brad Pitt, per intenderci, va considerato insieme al fatto che anche tutte le altre donne del mondo lo sono, e che quindi la probabilità che io lo incontri è esattamente minima quanto la probabilità di incontrarlo che ha chiunque altra. Stesso discorso per quanto riguarda il Web. A meno che il mio sito non sia un hub della Rete, è difficile che altri ci passino con facilità, il che un po’ sfata il mito del network come sede privilegiata di relazioni paritario/democratiche.

Ora veniamo al punto debole della teoria: i due principi essenziali individuati da Barabàsi nella struttura di una rete, ovvero la crescita costante e il collegamento preferenziale, per cui chi ha più link ha maggiori probabilità di ottenerne di nuovi, sono due grandezze assolutamente quantificabili. La faccenda però si complica quando l’autore introduce un terzo parametro, la fitness, ovvero la capacità di ogni singolo sito di procurarsi link (da cui dipende il fatto che Google vanta milioni di accessi al giorno e altri motori di ricerca, anche più vecchi, no). Se guardiamo la realtà dei fatti, si tratta di un principio sacrosanto, ma dal punto di vista predittivo è un problema, perché non si può anticipare, ma solo calcolare a posteriori quando un nuovo nodo ha trovato la sua collocazione nella rete. Ciò non toglie, del resto, che il saggio del fisico ungherese resti una lettura avvincente e un’introduzione affascinante alla complessa scienza delle reti. In aperta antitesi con le teorie riduzioniste che hanno guidato gran parte della ricerca scientifica nell’ultimo secolo, secondo le quali per comprendere la natura occorreva innanzitutto afferrarne l’insieme. La parte per il tutto, finché non ci si è resi conto, come un bambino disperato che dopo aver ridotto in pezzi un giocattolo per vedere com’è fatto capisce di non essere più capace di farlo tornare come prima, che il riassemblaggio era più difficile del previsto, perché la natura non è un puzzle perfettamente disegnato in cui tutti i pezzi si incastrano in un’unica maniera. Al contrario: niente succede isolatamente, fenomeni ed eventi sono perlopiù connessi con innumerevoli altri in una complessa trama, si causano l’un l’altro e interagiscono tra loro. Il mondo è piccolo, molto più piccolo di quanto credevamo: è una ragnatela, e questa sua struttura dominata dall’interdipendenza forgerà le linee fondamentali della nostra visione del mondo nei tempi a venire.


 

 

 

 

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