L’idea
di un universo sociale composto da reticoli di relazioni
che legano tra loro individui, gruppi, imprese, organizzazioni
e Stati, in un intreccio di rimandi senza fine, è
entrata a far parte, negli ultimi anni, dell’immaginario
collettivo. La crescente fortuna del concetto di rete
(in inglese network) è probabilmente
in sintonia con la rappresentazione, dominante nelle
scienze sociali, delle trasformazioni che, a partire
dalla seconda metà degli anni ’70, hanno
investito le società occidentali: il concetto
di società postmoderna e postindustriale si
associa infatti all’idea di un attore sociale
immerso in un mondo di interdipendenze crescenti e
globali, nel quale i ruoli del centro e della gerarchia
risultano fortemente ridimensionati.
Ciò è evidente, a livello di mercato,
nella struttura delle moderne aziende caratterizzate
da organizzazioni agili e antiburocratiche, le cui
nuove forme di “specializzazione flessibile”
hanno trasformato profondamente il concetto di impresa
e i rapporti commerciali tra i vari soggetti. La stessa
rivoluzione informatica trova un’efficace rappresentazione
nell’intreccio di reti telematiche che compongono
il “villaggio globale”. Infine,
l’immagine della rete diventa particolarmente
calzante quando ci si riferisce ad una concezione
molto decentrata del potere, disperso tra gruppi e
movimenti in perenne trasformazione e interazione,
o qualora si ragioni sul complesso intreccio globale/locale
che connota la società contemporanea.
Insomma, la metafora della rete raffigura in modo
preciso i caratteri centrali di un’ideologia
della società post-burocratica. Essa ci suggerisce
un’idea di complessità sociale che include
sia le relazioni formali e istituzionalizzate, sia
le relazioni sociali meno visibili, più sfumate
e informali, come pure gli intrecci tra le une
e le altre. E’ chiaro che il fascino di
una simile prospettiva di ricerca tende inevitabilmente
a crescere in situazioni, come quella attuale, caratterizzate
da profonde trasformazioni sociali: in simili situazioni,
i continui mutamenti sembrano caricarsi di tali ambiguità
da stimolare il bisogno di andare a vedere come stanno
veramente le cose, soprattutto nei contesti più
sfumati. Premesso che il richiamo alla concretezza
è costantemente presente nei sostenitori della
network analysis, coniugato alla tendenza
a operativizzare (e matematizzare) concetti solitamente
considerati vaghi, come quelli di relazione e di struttura
sociale, è necessario precisare i caratteri
e i limiti dei principali filoni di ricerca sui reticoli
sociali.
Alla
base dello sviluppo della network analysis,
nel secondo dopoguerra, troviamo due linee di pensiero.
La prima è rappresentata dalla scuola di Manchester,
formata negli anni ’50 da un gruppo di ricercatori
(J.C. Mitchell, J.A. Barnes, V.W. Turner, A.L. Epstein,
J. Van Velsen, B. Kapferer) associati al Rhodes-Livingstone
Institute che, sotto la direzione di M. Gluckman,
svolsero, già a partire dagli anni ’40,
una serie di ricerche in Africa.
Per questi ricercatori, l’unità base
dell’analisi è rappresentata dalla relazione
sociale: il network risulta costituito da
un insieme più o meno ampio di rapporti tra
individui (“nodi”). L’idea
della rete per questi studiosi è fortemente
ancorata al comportamento individuale, al punto di
parlare di “reti egocentriche” (ego-networks).
Non vengono analizzate le reti esistenti tra attori
collettivi, né viene data particolare importanza
ad una rigorosa definizione di concetti macro, come
quelli di società o di sistema culturale.
L’interesse maggiore è rivolto alla forma
delle relazioni e al loro contenuto, in altre parole
al tipo di risorse scambiate. Tra le principali
proprietà del network vengonoindividuate:
la densità (il rapporto tra le relazioni
effettivamente esistenti e quelle possibili); la centralità
(la natura più o meno centripeta del reticolo
considerato nel suo insieme); la raggiungibilità
(la percentuale di persone contattabili da un qualsiasi
punto); la stella di primo o di secondo ordine
(a seconda che vengano considerati solo i rapporti
diretti di Ego o anche quelli indiretti).
Nella scuola di Manchester è già presente
in embrione l’idea che la modernità produca
una maggiore estensione, diversificazione e dispersione
spaziale dei network personali dell’individuo:
oltre ad essere ribaditi i legami forti (parentela,
vicinato,…) vengono via via rivalutati anche
i legami deboli, caratterizzati da una maggiore formalità,
acquisività, universalismo, specializzazione
e neutralità affettiva. Cruciale, in
questo intreccio, risulta la figura del “mediatore
sociale”, che da questa sua funzione (mettere
in contatto tra loro i vari networks) può
trarre vantaggi economici, potere e prestigio.
D’altra parte, questa prima formulazione della
network analysis presenta alcuni limiti che
ne renderanno necessaria una profonda revisione da
parte delle generazioni successive: risulta difficile
ricostruire le reti, attraverso metodologie empiriche,
al di fuori di ambiti di piccolissima scala e comunque
oltre un arco temporale ridotto; mancano definizioni
e distinzioni rigorose dal punto di vista analitico
e manca una soddisfacente teoria dell’attore,
che non si spiega come riesca a tenere insieme, con
un minimo di coerenza, i propri sé multipli,
e così a reinterpretarsi e reinventarsi all’interno
dei vari networks. Notiamo quindi nella
scuola di Manchester una specie di concretezza mal
riposta, che in parte verrà risolta dal secondo
filone di ricerca e dagli sviluppi successivi della
network analysis.
La seconda linea di pensiero, appunto, si sviluppa
invece, soprattutto a partire dagli anni ’70,
ad Harvard, grazie agli studi pionieristici di H.
White, ripresi e approfonditi in varie direzioni dai
suoi allievi (B. Wellman, S.D. Berkowitz, R.S. Burt,
M. Granovetter). Questo filone di studi sui
reticoli sociali si richiama esplicitamente alla sociologia
formale di Simmel: questo sociologo tedesco ha infatti
descritto l’”intersecarsi delle cerchie
sociali” di appartenenza come una delle caratteristiche
peculiari del suo tempo. Secondo Simmel, l’individuo
trae gli elementi per la definizione della propria
identità dai gruppi dei quali si sente parte.
Il moltiplicarsi delle appartenenze e dei ruoli associati
ad ogni gruppo si traduce in un corrispondente moltiplicarsi
delle coordinate attraverso cui l’individuo
può rintracciare la propria identità.
Tali formulazioni, valide ancora oggi, sono per la
scuola di Harvard alla base dei propri studi, caratterizzati
da una rigida formalizzazione matematica e dal radicale
rigetto di ogni psicologismo. Per questi studiosi,
la forma del network ne determina il contenuto:
gli atteggiamenti e i comportamenti dell’individuo
risultano fortemente condizionati dalla struttura
delle relazioni in cui essi sono inseriti. L’operazione
più importante è dunque individuare,
attraverso un oneroso lavoro di raccolta delle informazioni,
il “ruolo” ricoperto dall’individuo
nel network. Tale compito risulta semplificato
dal principio dell’”equivalenza strutturale”,
secondo il quale vengono considerati equivalenti gli
atteggiamenti e i comportamenti di soggetti che occupano
posizioni simili all’interno della struttura
sociale.
Una simile rigidità teorica ha finito col sollecitare
la comparsa di varie proposte correttive e integrative,
in particolare riferite ad una necessità di
“rilassamento” del concetto di rete, che
plasmi il comportamento ma ne sia a sua volta plasmato,
e al bisogno di legare dimensione razionale e non
razionale dell’azione per arrivare così
a giustificare anche l’incertezza, l’ambiguità,
il conflitto e la manipolazione che possono verificarsi
nell’interazione sociale.
Il filone americano sviluppa in maniera definitiva
le premesse già proprie della scuola di Manchester
sull’effetto positivo della modernità
sull’interazione sociale: al crescere del grado
di urbanizzazione, infatti, i networks tendono
ad essere più ampi, più diversificati,
più dispersi geograficamente, più specializzati
nei contenuti e con un diminuito peso (in relazione
al totale dei legami interpersonali dell’individuo)
dei parenti e dei vicini rispetto a quello degli amici.
Queste dinamiche di rete sono correlate anche col
livello di reddito e col grado di istruzione dei soggetti:
più reddito e più istruzione significano
maggiori risorse personali per gestire un più
ampio ventaglio di scelte relazionali, fattore che
aumenta con la maggiore densità e mobilità
territoriale della popolazione urbana.
Contrariamente alla tesi che stigmatizza l'isolamento
e l'anonimato urbano, si scopre come il carattere
specializzato del contenuto delle relazioni non necessariamente
alimenti rapporti poco soddisfacenti sul piano emotivo:
non si esclude la presenza di legami forti, di sentimenti
di solidarietà e di fenomeni di supporto, mentre
vengono affermate d’altro canto le alte potenzialità
dei legami deboli sotto il profilo informativo.
Infatti, coloro che sono debolmente legati a un individuo
si muovono con maggior probabilità in ambienti
sociali diversi dai suoi e, quindi, tendono ad essere
portatori e trasmettitori di informazioni che non
circolano nelle cerchie sociali di appartenenza di
quest’ultimo.
Queste due linee di studio, come abbiamo visto, presentano
tra loro significative continuità e differenze,
che hanno indotto, soprattutto all’interno della
scuola americana, un costante lavoro di revisione
e ripensamento. Considerate a lungo qualcosa di esoterico,
le tecniche di network analysis hanno suscitato
anche in Italia, a partire dagli anni ’80, un
crescente interesse, grazie ai contributi che le loro
applicazioni hanno fornito allo sviluppo della sociologia
contemporanea: tra gli altri, Chiesi e Piselli hanno
svolto senza dubbio il lavoro più interessante,
non solo sotto un profilo compilativo, tracciando
la storia di questo importante ambito di ricerca,
ma anche applicando le metodologie dell’analisi
dei reticoli sociali alla realtà italiana,
soprattutto per quanto riguarda la difficile condizione
vissuta dalla popolazione (in particolar modo femminile)
del Mezzogiorno, la sopravvivenza del concetto di
rete nei movimenti migratori e l’analisi dei
processi politici dopo Tangentopoli.
Oggi la network analysis, attraverso le ricerche
di B. Wellman e dei suoi collaboratori, che rappresentano
la frangia più recente in tale campo, arriva
a confrontarsi con la realtà attuale sempre
più filtrata e condizionata dai media, ponendo
sullo stesso piano relazioni sociali realizzate attraverso
l’incontro fisico e rapporti interpersonali
che si verificano in un ambito virtuale con la mediazione
dei vari devices tecnologici oggi a nostra
disposizione. La sempre crescente interazione
ed interdipendenza fra reale e virtuale contribuisce
a creare per l’individuo un nuovo ambiente sociale,
caratterizzato dalla multiappartenenza a vari networks,
fisici e non, che determinano la "comunità
personale" di ogni individuo.
La network analysis, fino a ieri relegata
ad un ambito di ricerca prevalentemente sociologico
ed etnografico, si apre quindi alle nuove prospettive
offerte dalla moderna società della comunicazione,
in cui le nuove tecnologie, in particolare Internet
e la multimedialità, finiscono col modificare
profondamente l’interazione sociale tra gli
individui. Attraverso le reti telematiche e
la familiarità dell’umanità attuale
con i vari mezzi di comunicazione, si avvera finalmente
la profezia mcluhaniana del “villaggio globale”:
non nel senso che il mondo diventa un unico paese,
bensì nel senso più modesto e concreto
che il “villaggio” di riferimento di ognuno
di noi può includere persone sparse su tutto
il pianeta.
Si cancella inoltre l’equivoco molto comune
che vede il mondo del “virtuale” come
qualcosa di irreparabilmente separato dalla realtà
effettiva, ignorando il fatto che il più delle
volte le relazioni interpersonali sono oggi integrate
da contatti che avvengono attraverso media diversi.
La network analysis parla invece, da sempre,
proprio di multiplex relationship (relazioni
multiple) per indicare la qualità articolata
e complessa dei legami sociali, che risulta ancor
più evidente nell’epoca attuale, nella
quale la vita quotidiana di milioni di individui vede
sempre più computer, televisione, modem e via
dicendo come “semplici” ulteriori strumenti
di conoscenza e di accesso al mondo, meravigliosi
e banali al tempo stesso. L’uso sempre
più diffuso di tali estensioni tecnologiche,
modificando profondamente le modalità di relazione
e la percezione della realtà sociale, ci stimola
in maniera crescente allo studio di problematiche
sempre più necessariamente al centro della
riflessione sulla società, come quelle dell’identità,
della fiducia, della fedeltà e della comunità,
che oggi rinasce dal complesso intersecarsi dei vari
networks personali.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it