Una
"carta dei valori" del Partito Democratico: ci serve davvero? E se
sì, quale delicata alchimia va cercata nella formulazione di
punti più che controversi – e in particolare quelli sui
quali di più ci si è scontrati in queste ultime
settimane, ovvero laicità e diritti civili? Ricordiamo, alla
spicciolata, solo gli ultimi e più recenti momenti delicati, per
non dire drammatici, relativi ad uno scontro sui valori: la
possibilità concreta che il governo – un governo di
sinistra – cadesse a causa di una norma contro l’omofobia
che rischiava, secondo alcuni, di metter fuori legge le opinioni del
Vaticano; poi, la battaglia sul rifiuto del comune di Roma ad una
apertura del registro delle unioni civili, sulla scia di quello di
Padova (una prospettiva secondo i vescovi allarmante e doppiamente
grave – Roma è città santa – tanto che Mons.
Sgreccia si è spinto a rilasciare una intervista in cui invitava
gli omosessuali a curarsi di cui ancora si discute sul web); infine, il
recente caso della bocciatura del Tar di Firenze sul divieto di
diagnosi preimpianto della legge 40, legge fatta dal governo Berlusconi
ma sulla quale il Partito Democratico non ha ancora indicato la sua
posizione.
Di fronte a tali scontri, avvisaglie di futuri e aspri conflitti,
c’è da chiedersi allora se una carta dei valori possa
bastare a dirimere le controversie di un partito "post-ideologico", il
Pd, che sembra essere caratterizzata da un doppio, e contrapposto,
"male". Da un lato, appunto, la sua eccessiva inclusività,
talmente manifesta da essere diventata un tormentone (il famoso "ma
anche" del comico Crozza): inclusività che certo è anche
un bene, ma che diventa un ostacolo peggiore del settarismo quando
pretende di mettere insieme posizioni molto diverse, tra loro
radicalmente eterogenee, delle quali è ben difficile trovare la
sintesi.
Dall’altro, invece, una inconsueta polarizzazione delle idee:
come se, insomma, nel progressivo diluirsi delle ideologie in un gran
calderone fatto di concetti vaghi come ambiente, lavoro, più
spazio alle donne e ai giovani – esiste qualcuno che è
contrario? – si verificasse un’improvvisa radicalizzazione
delle posizioni, che finiscono su opposte barricate, sulle quali
nessuno intende fare un passo in avanti verso l’altro. Il
fenomeno più lampante è quello della coppia
Odifreddi-Binetti, dei quali non a caso "La Stampa" ha pubblicato a
ridosso di Natale un "epico" confronto.
Eccessiva dissolvenza dei valori, tanto vaghi da apparire sbiaditi e
inservibili, da un lato; difesa a spada tratta delle proprie credenze
contro quelle degli altri, in maniera monolitica e ottusa, specie
quando il bene comune, nella sua semplice ovvietà ed evidenza
(è questo il caso ad esempio del testamento biologico, invocato
disperatamente dai medici), dall’altro: il risultato è una
paralisi etico-pratica del Pd, già evidente fin nei suoi primi
mesi di vita, e che talvolta fa persino rimpiangere la convergenza tra
comunisti e democristiani su un terreno di laicità, (certo
laicità cattocomunista, una specie di ossimoro), capace
produrre, se anche attraverso processi sofferti, leggi di mediazione
come la 194. Nessuno intende indulgere alle malinconie, però
certo ha colpito piccola provocazione che la sociologa Chiara Saraceno
ha buttato qualche giorno fa nel dibattito pubblico: "Ma se negli anni
Settanta ci fosse stato il Partito democratico, avremmo avuto leggi
come aborto, divorzio e riforma del diritto familiare?". E la risposta
"sì", purtroppo, non è scontata.
Ad ogni modo, gli studiosi sono al lavoro, all’interno del Pd,
per redigere una carta dei valori che funzioni da bussola – con
un nord e sud condivisi – per laici e cattolici del neonato
partito. Una prima bozza, preparata da Mauro Ceruti, relatore della
Commissione per il Manifesto dei Valori del Pd, presieduta da Alfredo
Reichlin, ha già ricevuto così tante polemiche che fatto
parecchio discutere, tanto che a quanto pare l’epistemologo
di Bergamo sta lavorando per inserire le numerose, e polemiche,
proposte di modifica (ma a quanto pare, l’intero impianto
sarà sostituito da un nuovo documento).
Infatti, al di là del fatto che la parola "etica" viene
pronunciata nella bozza solo a ridosso della religione (laddove, in un
precedente Manifesto del Partito democratico, poi superato e redatto
tra gli altri da Michele Salvati, si parlava spesso e volentieri di
"etica pubblica"), che la famiglia viene messa al centro della
società; che, ancora, alla ricerca scientifica sembrano posti
seri limiti laddove si dice che centrale è il principio "per cui
non tutto ciò che tecnicamente è possibile è
moralmente lecito, e nemmeno conveniente dal punto di vista sociale ed
economico", nella bozza è la stessa definizione di
laicità che sembra sbilanciata a favore delle "energie morali
che scaturiscono dall’esperienza religiosa". Energie che, al
contrario, non sembrano, secondo Cerutti, bruciare in campo agnostico.
Certo, la laicità non viene, correttamente, concepita come
"indifferenza o rifiuto di ogni riferimento alla religione e alla
religiosità in nome di una illusoria neutralità".
Tuttavia, un po’ bizzarramente, per laicità qui si intende
"il rispetto e la valorizzazione del pluralismo degli orientamenti
culturali e dei convincimenti morali" (e fin qui ci siamo), ma
soprattutto "il riconoscimento della rilevanza nella sfera pubblica, e
non solo privata, delle religioni e delle varie forme di
spiritualità".
Ora, il fatto che la laicità à la francese abbia limiti
noti (un deficit di pluralismo delle voci, uno statalismo a tratti
soffocante) non dovrebbe però far passare al convincimento che
la difesa del pluralismo equivalga alla presa d’atto della
centralità della religione nello spazio pubblico.
Enfasi che, tra l’altro, lascia del tutto in secondo piano la
necessità che, nell’allegro coro delle voci, si trovi una
mediazione che permetta al Partito democratico di prendere anzitutto
posizioni nitide (e riconoscibili dagli elettori); e, conseguentemente,
scelte politiche tempestive e coraggiose. Come ha detto laconicamente
Ignazio Marino in una recente intervista a "Repubblica": "È
giunta l´ora che il dibattito si sposti tra credenti e non, per
passare alle persone pensanti".
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