Pubblichiamo
l’introduzione del libro “Altiero Spinelli
e l’Europa” (Il Mulino, 2007) che raccoglie
una serie di interventi e discorsi pubblici in cui il
Presidente della Repubblica italiana ricorda ed omaggia
il pensiero e l’attività politica di uno
dei padri dell’Unione europea.
Altiero Spinelli è stato un grande visionario.
Oggi è perfino difficile capire come sia stato
possibile che, dopo tanti anni di carcere e infine di
confino, mentre si trovava nell’isola di Ventotene,
tagliato fuori dal resto del mondo, abbia potuto guardare
tanto lontano, e concepire qualcosa di così radicalmente
nuovo.
C’erano dei precedenti, correnti federaliste,
o grandi occasioni in cui si era fatto appello all’Europa
unita, ma tutto questo non aveva molto a che vedere
con possibilità di realizzazione concreta. Invece
Altiero Spinelli pensò a tracciare, insieme con
i suoi compagni di prigionia Ernesto Rossi ed Eugenio
Colorni, le linee di una costruzione possibile sul piano
politico, nel rapporto tra gli Stati, tra quegli Stati
nazionali che lui vedeva come corresponsabili di una
guerra che stava devastando l’Europa. Alla radice
di essa erano stati gli antagonismi tra gli Stati nazionali,
le conflittualità di carattere economico, le
conflittualità di carattere politico e, infine,
la terribile tentazione del ricorso alle armi per regolare
ogni questione. Erano state precisamente queste forme
di sovranità nazionale esasperata a determinare
la grande rottura, e per due volte nel corso del XX
secolo, con la Prima e la Seconda guerra mondiale, che
diventarono mondiali dopo aver preso però avvio
in Europa, dopo essere scoppiate nel cuore dell’Europa,
essenzialmente tra Francia e Germania.
Altiero Spinelli capì che soltanto se si fosse
messo un limite alle sovranità nazionali, soltanto
se si fosse cercato di costruire qualcosa di diverso
da una semplice alleanza tra Stati sovrani, soltanto
se si fosse trovato il modo di mettere insieme delle
sovranità, delle funzioni, dei poteri, per esercitarli
a livello sovranazionale, si sarebbero potute superare
le contraddizioni ed evitare le sciagure del passato.
Ed ecco che Spinelli, in quella piccola isola, scrive
il suo Manifesto. Poi deve ancora passare qualche anno
prima che cada il fascismo, prima che finisca in tutta
Europa la guerra – sono gli anni tra il ’41
e il ’45 – e quando ritorna libero, già
nel ’43, dopo la caduta del fascismo in Italia,
Spinelli si presenta forte di questa sua grande idea.
Quando lasciò il confino e tornò libero,
egli dice che arrivava di nuovo, sul suolo dell’Italia,
solo: era solo, non aveva alle spalle un partito, si
sarebbe cimentato con questo grandissimo compito e obiettivo
della costruzione di un’Europa unita senza avere
delle forze organizzate dietro di sé. E, in effetti,
egli non fu mai un uomo di un solo partito, fu l’uomo
di una sola causa. Per l’Europa unita egli cercò
ogni sorta di possibili collaborazioni, convergenze
anche tra forze molto diverse, e si può dire
che egli sia stato davvero il maggior profeta dell’idea
europea.
Naturalmente non bastano i profeti, ci vogliono anche
gli uomini di Stato. In Italia possiamo dire che abbiamo
avuto questo stranissimo, singolarissimo unirsi di due
uomini profondamente diversi, e cioè Altero Spinelli
e Alcide De Gasperi. Il primo era il profeta, l’animatore,
il combattente, anche su posizioni molto avanzate, decisamente
federaliste; il secondo era l’uomo di Stato che
credeva anche lui in questo destino europeo, e cercava
poi di costruirlo con tutti i mezzi della politica e
della diplomazia.
L’accordo tra i due si ebbe su un punto molto
importante. Quando fu elaborato il Trattato che avrebbe
dovuto istituire una Comunità europea di difesa,
proprio all’inizio degli anni ’50, più
o meno contemporaneamente alla creazione della Comunità
europea del carbone e dell’acciaio, Spinelli propose
a De Gasperi, e De Gasperi propose agli altri cinque
capi di governo, di inserire in quel Trattato un articolo,
l’art. 38, che prevedeva che si desse vita a un’Assemblea
politica comune, a una vera e propria comunità
politica. E nel 1953, da parte di un comitato presieduto
dal belga Paul-Henri Spaak, venne scritta quella che
fu la prima idea di Costituzione europea, che avrebbe
dovuto accompagnare una struttura per la difesa comune.
Quel Trattato, quindi, non ebbe solo essenzialmente
un contenuto militare, ebbe un contenuto politico.
I tempi probabilmente non erano maturi per un passo
così coraggioso, e quell’art. 38 scritto
da Spinelli per De Gasperi restò parte di un
Trattato poi bocciato dal voto dell’Assemblea
Nazionale francese. E si dovette prendere un’altra
strada, si dovette prendere la strada dell’integrazione
economica del mercato comune, non immediatamente la
strada dell’unione politica.
Il passo determinante si ebbe con la Conferenza di
Messina, che fu a suo modo geniale. Con la Conferenza
si prese atto molto realisticamente del fatto che la
porta dell’unione politica, della comunità
politica, era chiusa e sarebbe rimasta chiusa chissà
per quanto tempo. Quindi, bisognava aprire un’altra
strada, della quale si erano poste le premesse con la
Comunità del carbone e dell’acciaio e,
innanzitutto, con la “Dichiarazione di Schuman”
del 9 maggio del 1950. Lì si era parlato abbastanza
consapevolmente dell’Europa che si sarebbe potuto
costruire: avrebbe potuto nascere non in un solo colpo,
ma da solidarietà di fatto e, soprattutto, da
avvicinamenti tra le economie, tra le politiche economiche
dei paesi che avessero aderito; quindi si sarebbe andati
a mano a mano verso una fusione degli interessi e una
fusione delle sovranità in campo economico. L’idea
geniale della Conferenza di Messina fu di ripartire
da quel punto, di ripartire, tutto sommato, dalla impostazione
della “Dichiarazione di Schuman” e di tradurla
concretamente in un’entità istituzionale
nuova, che furono appunto le Comunità, essenzialmente
la Comunità economica europea, poi battezzata
Mercato comune. E l’Italia ebbe un ruolo importante,
credette molto a questa prospettiva, a questa scelta,
che si tradusse nei Trattati che furono suggellati a
Roma precisamente il 25 marzo 1957.
Oggi, dell’Unione europea non si può dire
che sia una Stato, nemmeno federale, anche perché
sono state molte le resistenze ad andare conseguentemente
avanti sulla via del federalismo. Ma l’Unione
europea non è nemmeno un’alleanza tradizionale,
e quindi non ha nulla a che vedere con la Nato, né
d’altra parte con le Nazioni Unite, nello stesso
tempo non è nemmeno identificabile con una somma
di Stati nazionali. L’Unione è qualcosa
di assolutamente nuovo, un nuovo genus. Bisogna capire
che ci sono dei momenti in cui la storia crea qualcosa
di nuovo, qualcosa che non si può ricondurre
a nessun modello (e credo che sarà così
anche nel futuro).
Quello che rimane essenziale è la motivazione,
di fondo posta a base della costruzione europea, e che
si esplicò subito in un quadro di valori che
rimangono ancora oggi irrinunciabili. Si può
forse dire a distanza di cinquant’anni o poco
più che non è un valore la pace? La pace
è stata, se vogliamo, il primo obiettivo della
comunità europea, già con la Comunità
del carbone e dell’acciaio: rimuovere nel cuore
dell’Europa le condizione della guerra, riconciliare
Francia e Germania; e in questo modo, allargandosi poi
via via l’Europa da 6 paesi a 9, a 12, a 15, si
è veramente creata una garanzia di pace. Dopo
che è caduto il Muro di Berlino, l’unificazione
del continente si è realizzata precisamente nella
pace: fin dal 1950, come diceva Jean Monnet, “pace”
era le mot maître, era la parola-chiave. Oggi
non c’è più una particolare condizione
di allarme per la pace in Europa, ma ai confini dell’Europa
sappiamo quali violazioni della pace e della sicurezza
internazionale si producano. È quindi missione
dell’Europa, e per essa dell’Unione europea,
non solo preservare la pace al suo interno, ma contribuire
alla costruzione della pace fuori dai suoi confini,
anche molto lontano dai suoi confini.
Insieme con la pace, naturalmente, la democrazia e
la libertà. Libertà e solidarietà
sono un binomio inscindibile nella storia dell’Europa
unita, anche quando si parla di economia liberale o
di economia di mercato. Non a caso, quando si è
scritto il Trattato costituzionale, poi firmato a Roma
nell’ottobre del 2004, si è usata l’espressione
“economia sociale di mercato”. L’economia
di mercato è stata quindi vincolata a una sensibilità
sociale e a un impegno di solidarietà che resta
di enorme attualità, oggi non meno di ieri.
Se si rilegge oggi il Manifesto di Ventotene lo si
trova di una modernità straordinaria. Non è
vero che quel Manifesto rappresenti il progetto di un
superstato centralizzato, come è stato detto
di recente da tutti i nemici del Trattato costituzionale.
Se si rilegge Altero Spinelli si vede che egli, che
parlava di un’Europa federale, pensava soltanto
a dare ad essa, allo Stato federale europeo, alcuni
poteri: quelli che, lasciati nelle mani degli Stati
nazionali, avevano prodotto conflitti e disastri. Quello
era dunque un progetto di edificazione. Di una entità
completamente nuova.
Spinelli aveva pensato anche a una Assemblea Costituente
europea. Questo obiettivo non fu mai raggiunto, ma Spinelli
si batté poi fino in fondo affinché il
Parlamento europeo non fosse più composto di
delegazioni designate dai Parlamenti nazionali, ma fosse
eletto direttamente dai cittadini. Quando questo avvenne
per la prima volta, nel 1979, Altero Spinelli disse:
“Forse in questo giorno è nato il popolo
europeo!”. E va riaffermato che il Parlamento
europeo, eletto dai cittadini, ha quindi la stessa legittimità
democratica di qualsiasi altro Parlamento. Ancora in
anni recenti, soprattutto da parte inglese, si è
sostenuto che la sola rappresentanza democratica pienamente
legittimata sia quella dei Parlamenti nazionali e dei
governi nazionali: questo è falso e inaccettabile.
La legittimità democratica del Parlamento europeo
rappresenta invece proprio la base per una sempre maggiore
partecipazione democratica, per una sempre maggiore
riconoscibilità democratica dell’Europa
unita.
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