Caro Direttore,
vorrei commentare il resoconto del meeting organizzato
da Beppe Grillo, su l’Unità di
domenica (il giornale non pubblica lunghi commenti),
uno dei migliori e più equilibrati. Eppure anche
lì nel sottotitolo si parla di “show contro
i partiti e la politica”, una definizione che
ritengo errata per ragioni teoriche e di opportunità.
La critica di Grillo ai partiti è “politica”
(cos’altro sarebbe?) e lo show non è “contro
la politica”, e lo stesso Grillo rivendica, a
mio avviso legittimamente, il carattere politico della
sua azione. La riprova è che, al di là
delle chiassate, l’azione di Grillo è quanto
di più in linea con gli strumenti tradizionali
della politica si possa pensare e, cioè, una
proposta di legge.
Per millenni, da Platone a Mannheim, i filosofi si
sono sgolati nello spiegarci che la natura della politica
è la sua generalità e che non c’è
una definizione specifica della “politica”:
anche l’antipolitica è una azione politica.
Solo il pubblico credulone di Berlusconi e dei suoi
accoliti può credere che l’antipolitica
possa sostituire la politica. Non cadiamo nella stessa
trappola. La politica prende le forme che vuole e può,
e se le forme non piacciono (ma poi perché?)
la colpa non è di Grillo, ma di chi gli lascia
quello spazio. La richiesta principale di Grillo (non
condivido le sue proposte sui meccanismi elettivi) è
sacrosanta: chi è condannato non deve poter stare
in Parlamento, non solo per una ragione ideale, ma perché
continuerebbe a fare guai utilizzando il potere di rappresentante
del popolo. Guardate il desolante spettacolo della politica
come la intende Mele, quale emerge dall’articolo
su L’Espresso di questa settimana.
Ma davvero è qualunquismo quello di chi si sente
stomacato da quel modo di usare le prerogative della
politica, che purtroppo sembra essere assai diffuso?
Oltre a quelle teoriche e di merito, vi sono poi solide
ragioni di opportunità per non gettare su Grillo
la croce dell’antipolitica. Grillo e il successo
di un libro come La casta, sono segni dell’aspirazione
a una politica diversa, non di un rifiuto della politica.
È un errore grave confondere le due cose, invece
di cogliere segni da leggere e da prendere sul serio.
Chi si ricorda dello sdegno e dei fischi ai politici
durante l’alluvione del 1966? Chi si ricorda delle
manifestazioni dei situazionisti nel 1967? Venivano
fatte passare come mattane, ma durante il soccorso alle
popolazioni alluvionate e in quelle manifestazioni si
stava formando una nuova generazione politica, che è
poi quella che governa oggi. Io credo che stia avvenendo
anche oggi qualcosa del genere: la formazione alla politica
si fa di più nelle piazze con Beppe Grillo che
nei dibattiti ai Festival de l’Unità, basta
vedere l’età dei partecipanti.
Non vi è dubbio che il sistema italiano sia
soffocato da un carapace di norme, leggi, pratiche politiche,
interessi costituiti, che costituisce in termini genuinamente
marxiani una sovrastruttura che non è più
in grado di governare in modo soddisfacente i mutamenti
sociali. Berlusconi ha proposto e propone una soluzione
che passa attraverso l’imbambolamento dell’elettorato
a furia di promesse mirabolanti, sostenute da un apparato
di propaganda formidabile. La sinistra deve rispondere:
quella del Pd è una buona mossa sul piano del
gioco politico tradizionale, tanto è vero che
ha sparigliato tutte le carte del centro destra. Non
vedo però ancora i segni di una proposta di riformismo
radicale capace di fare i conti alla pari con la politica
alla Beppe Grillo.
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