327 - agosto 2007


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Che primarie sono, se non
c’è competizione vera?

Sergio Fabbrini*


Il processo di formazione del Partito democratico resta ancora condizionato dai gruppi dirigenti e dalle strutture più o meno organizzate dei vari partiti, il che rende pesanti le ali della nuova formazione. Questo aspetto negativo si vede anche nella decisione di andare all’elezione del segretario in presenza di più liste. Solo in apparenza questa decisione assomiglia al modello dei sindaci: in realtà è una scelta che costituisce l’espressione della resistenza di gruppi dirigenti che non vogliono mettersi in gioco all’interno del partito. Il futuro segretario sarà condizionato dalle varie liste che lo hanno sostenuto piuttosto che viceversa, e questa non è un’indicazione di novità. Quello che il Pd dovrebbe fare è rendere il partito molto più competitivo, attraverso programmi trasversali. Il fatto che i Ds abbiano un solo candidato, non presentato su una raccolta di firma, ma di gruppi dirigenti, testimonia che gli elementi di continuità sono maggiori del cambiamento.

Il “genere” primarie

Le primarie sono un genere cui corrispondono specie diverse. Ci sono primarie di partito e primarie degli elettori. In Europa abbiamo delle primarie di partito, dove si cerca di dare sostegno ad una leadership. Le primarie degli elettori invece, come quelle americane, sono contese elettorali in cui cittadini decidono di partecipare alla selezione dei candidati per cariche pubbliche e questa selezione deve essere competitiva; ciò che abbiamo in Italia invece è una primaria che non è di partito, perché va oltre, ma che tuttavia non ha un carattere competitivo ed è questo l’aspetto negativo: se il Partito democratico deve introdurre un elemento di novità, cioè la competizione, non è buon segnale che la scelta del segretario avvenga quasi all’unanimità. L’elezione di Veltroni è una legittimazione di scelte già fatte, invece che l’esito di una battaglia tra visioni diverse del programma e della collocazione internazionale del partito.
Alla luce delle primarie americane la preoccupazione di non dividersi, propria di Fassino e della Margherita, appare vecchia: le primarie sono fatte per dividersi anche all’interno di una comune area di valori, ma in modo da rendere chiaro l’orientamento maggioritario all’interno di quel partito. Ora, all’interno della sinistra ci sono diversi orientamenti sulla politica del lavoro, sulla politica estera, sulla riforma elettorale. Veltroni ha scelto di sostenere la legge elettorale, ma non firmare: questo è un esempio di candidato che cerca di soddisfare l’esigenza di tutte le liste che dovranno sopportarlo, con evidenti elementi di continuità con le vecchie procedure. Il Partito democratico dovrebbe avere competizione netta e franca tra candidati che portano avanti prospettive diverse, perché gli elettori sappiano quali saranno le conseguenza sul welfare, sulle pensioni, sulla politica estera, etc.

La questione settentrionale

A questo proposito, il ritiro di Bersani è un vero lapsus di tipo psicologico, che presuppone che non ci si possa in nessun caso dividere: ma è un modo di ragionare radicalmente sbagliato per due ragioni. Primo, perché in politica ci si può dividere e poi ricomporre; inoltre, perché la questione di Bersani tocca la cosiddetta questione settentrionale. Il Partito democratico non si rende conto che c’è una parte enorme del paese, la più dinamica, che si sta allontanando, non ha rappresentanza adeguata. L’esclusione di sindaci dal comitato dei saggi testimonia questa incredibile visione romanocentrica della politica italiana. È un fatto drammatico, perché la politica si muove intorno a un Palazzo e non riesce a rappresentare la complessità naturale del paese. Bersani avrebbe fatto emergere alcune esigenze: da un lato, la disperata ricerca, da parte di questi ceti, di una di modernizzazione ragionevole e non selvaggia (quella del centrodestra); dall’altro, l’urgenza di un partito democratico a carattere federale, viste le radicali differenze tra territori. Ci sono intere classi che non hanno voce nella politica della sinistra, visto che le elite nascono dai partiti collegati esclusivamente alla politica romana. In questo senso, scegliere il sindaco di Roma è sbagliato dal punto di vista simbolico, dal momento che c’è una forte diffidenza verso la politica romana, che va avanti attraverso un’autoriproduzione. Nonostante Veltroni si sia candidato a Torino, la sua candidatura nasce dall’alto e questa logica non è congeniale con il sistema delle primarie, che sono state inventate negli Usa all’inizi del Novecento, ma non per convalidare scelte già fatte. Sarebbe necessario spingere Veltroni a chiarire il suo programma e dare voce a territori che non hanno voce e che per molti aspetti sostengono lo Stato italiano.

Quote rosa e priorità

La decisione di avere il cinquanta per cento di donne è molto importante, perché oggi c’è una scarsa rappresentanza del nord e delle donne insieme. Il riconoscimento del ruolo femminile nelle principali professioni è ormai ampiamente diffuso. Tuttavia, ci sono ambiti strategici in cui le donne non entrano, penso alle banche, all’alta finanza, al management, ma soprattutto alla politica, che è completamente maschile. Questa decisione è quindi un elemento di discontinuità nella continuità: ma non basta, perché non si è consentito a più candidati di presentare la propria candidatura sulla base di firme. La scelta presentare subito Veltroni ha reso difficile altre candidature: penso alla Finocchiaro, che è stata di fatto esclusa. Ma il punto è, ripeto, che si scelgono le primarie non ci può essere un candidato che precede le primarie stesse, altrimenti esse sono il risultato di una visione paternalistica. In America non si fanno così, ma tra candidati che si distinguono, come stanno facendo Hillary Clinton e Obama, che presentano programmi distinti dentro una comune costellazione di valori (ad esempio la Clinton è favorevole ad una posizione di supporto di Israele, mentre Obama è più aperto alla mediazione coi palestinesi). Questa distinzione aiuta a scegliere tra candidati, e allora per quali motivi invece gli italiani non dovrebbero scegliere tra programmi distinti? La non scelta di Veltroni sulla riforma elettorale è un segno evidente di questa ambiguità.

Veltroni è una novità, certamente, tuttavia c’è una questione che va al di là, relativa a come costruire il partito e a come le procedure vengono definite. Ma quella che c’è stata è una falsa partenza dovuta anche alla sconfitta alle amministrative, dal momento che prima di quel flop si pensava di fare un portavoce, mentre poi la cosa è saltata. E le scelte successive sono state scelte conservative. Speriamo che Veltroni ascolti le persone e non diventi un elemento di conservazione degli equilibri. Io spero che ci siano molti altri candidati, e che ci siano programmi semplici, chiari e distinti.

In conclusione, vorrei elencare quali sono, secondo me, le priorità che il Partito democratico dovrebbe porsi.
Primo, mettere a posto la macchina dello stato, attraverso una riforma istituzionale che consenta di avere dei governi non solo stabili, ma capaci di governare. Occorrerebbe una riforma elettorale in senso maggioritario, con il ritorno ai collegi uninominali in cui si votano i candidati. Veltroni deve essere chiaro su questo e con tutta la vecchia cultura centrista, deve dire che quell’Italia lì è finita.
Secondo, una riforma del welfare, inevitabile di fronte ai cambiamenti demografici.
Terzo, un maggiore dinamismo rispetto al mercato del lavoro e alle imprese, che affronti chiaramente la questione fiscale che è la vera questione del nord, collegando le tasse all’efficienza dello stato. È inutile continuare a parlare di tasse senza affrontare il vero problema, cioè i motivi per le quali si pagano. Quarto, la politica estera. Ci sono state novità importanti, si tratta però di confermare l’europeismo e spingere verso forme di cooperazioni rafforzate. Quindi, ma non ultimo, la ricerca, l’educazione. Bisogna dare stipendi decenti agli insegnanti, i quali devono rendere poi conto del loro lavoro. Vorrei sapere quale sarà il programma sulla scuola e l’università, perché questo governo ha fatto poco o nulla in questo senso.


*(testo raccolto da Elisabetta Ambrosi)

 

 

 

 

 

 

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