Nel settembre
2006 Piergiorgio Welby ha inviato un messaggio pubblico
chiedendo di morire. A dicembre Mario Riccio lo ha sedato
e ha scollegato il ventilatore meccanico che simulava
il suo respiro. L’autopsia ha confermato che Welby
è morto in seguito ad arresto respiratorio e
non alla somministrazione del sedativo. L’8 giugno
il giudice Renato Laviola ha rifiutato l’archiviazione
e ha delineato una ipotesi di reato che prevede dai
6 ai 15 anni di reclusione: omicidio del consenziente
(Articolo 579 del Codice Penale).
Il 23 luglio il giudice Zaira Secchi ha ascoltato Mina
Welby, e ha definito la richiesta di Welby legittima
e il comportamento di Riccio l’adempimento di
un preciso dovere medico: rispettare le volontà
del paziente.
Si conclude così la vicenda di Welby, ma la sua
battaglia è solo all’inizio.
Mina, il giudice ha stabilito che non si tratta
di omicidio del consenziente, ma di doveroso comportamento
medico. Un abisso che rischiava di essere cancellato
dall’ordinanza di Laviola, insieme all’autodeterminazione
del paziente e alle fondamenta del consenso informato.
Qual è l’importanza della decisione di
Secchi?
La conferma della legittimità della libera scelta
delle persone: l’ultima parola è quella
del paziente. (Ho la sensazione che Piero sia resuscitato!)
Non può essere un’altra persona che decide,
gli altri possono solo consigliare, non imporre. Oltre
Piero, riguarda tutte le persone che si trovano in condizioni
simili – un pensiero speciale va a Giovanni Nuvoli:
mi dispiace moltissimo che abbia dovuto lasciare questa
vita con un senso di abbandono e non di aiuto e vicinanza
da parte delle istituzioni.
Se fosse andata diversamente ero pronta ad essere processata
anch’io. Perché sono complice della richiesta
di Piero, ho permesso che il medico venisse a casa,
che lo sedasse. Come moglie ho aperto la porta, e avrei
potuto invece chiamare le forze dell’ordine. Così
come la sorella Carla, Marco Cappato, Marco Pannella.
Tutti saremmo stati correi di omicidio del consenziente.
Riccio non è di certo l’unico responsabile,
lo siamo tutti noi, e non solo moralmente. È
quanto abbiamo scritto io e Carla Welby in una memoria
inviata a Laviola: siamo colpevoli anche noi.
Come si è svolto il colloquio con il
giudice Zaira Secchi?
Il clima era molto disteso. Il giudice mi ha salutato
con un sorriso – di solito non sorridono. Anche
il pubblico ministero era molto sorridente, incoraggiante.
Mi hanno messo a mio agio. Mi hanno avvertito che avrebbero
posto domande delicate, che potevano farmi male, evocando
ricordi e ferite non rimarginate. Mi hanno chiesto di
raccontare il decorso della malattia, le informazioni
fornite a Piero, e il suo rapporto con i medici. Il
suo consenso alla sedazione e la sua richiesta di morire.
Io ho cominciato da quando ci siamo conosciuti.
Quali sono le tappe principali della vicenda
di Piero?
Nel 1998 abbiamo comprato un computer e abbiamo cercato
con Google informazioni sull’eutanasia. Piero
ha trovato le discussioni in Olanda (di inglese capiva
poco, io lo aiutavo a tradurre, soprattutto dal tedesco).
Nel 2001 ha cominciato a peggiorare. Ha dato vita a
un Forum, i malati terminali come me non hanno speranza,
diceva, e il primo scritto s’intitolava: “Sveglia!”.
Per me vedere che faceva queste ricerche era un dolore
interno, era come vederlo morire.
“Eutanasia” voleva dire perderlo, significava
la sua morte. D’altra parte, dicevo, non ci sarà
mai in Italia… Piero aveva capito che i malati
di cancro hanno la possibilità di morire con
una overdose di morfina, invece che cosa succede a chi
è attaccato a un respiratore? Serve una soluzione
diversa: poterli scollegare, però senza condannarli
a morire soffocati. Ricorrere alla sedazione, o all’eutanasia,
per morire in pace. Nel 2005 c’è stato
un altro peggioramento: aveva spesso delle crisi di
soffocamento, gli mancava il respiro. Dalla primavera
2006 non riusciva più a scrivere. Era un grande
dolore. “Scrivi un po’ meno”, gli
dicevo. E lui mi rispondeva che avrebbe avuto tantissimo
da scrivere. Infine a giugno ha avuto una bronchite
da cui non si è più ripreso. “Mina
non ce la faccio più, mi sento talmente stanco
che non puoi immaginarlo”. Nonostante mangiasse
e prendesse le vitamine non migliorava. Ha deciso di
scrivere la lettera nell’estate. I radicali gli
hanno dato la possibilità di renderla pubblica.
Con il video il messaggio è arrivato in molte
case. Ma la politica non ha mai risposto.
Di fronte a questo silenzio che cosa ha deciso
Piero?
Ha chiesto all’Associazione Luca Coscioni di
cercare un medico che lo sedasse. Marco Cappato ha contattato
Giuseppe Casale. Hanno parlato, Piero gli ha chiesto
fermamente di essere sedato e scollegato dal respiratore,
ma Casale ha detto che non poteva farlo, perché
di fronte alle difficoltà respiratorie sarebbe
stato “costretto” a ricollegare. Piero si
è rivolto al giudice, e nonostante la procura
avesse dato parere positivo, il giudice popolare ha
risposto che esiste il diritto di rifiutare un trattamento,
ma nessuna garanzia affinché sia rispettato.
Piero ha scelto la disobbedienza civile. Mario Riccio
è venuto lunedì 18 dicembre, hanno parlato
a lungo. Piero ha chiesto l’anestesia (per non
soffocare) e il distacco, Riccio ha promesso. Piero,
da bravo regista, ha deciso: “Mercoledì
dopo i pacchi” (la trasmissione su Rai1). E così
è stato. Ha detto chi voleva presenti: la sorella,
il nipote Simone, me, Cappato e pochi altri. Ci ha salutato.
Poi ha mandato tutti nella stanza accanto, tranne me,
Carla, Cappato e Pannella. Abbiamo assistito all’incannulazione
nella vena femorale, e poi gli ho chiesto per l’ennesima
volta “Piero sei sicuro?”, ha detto “Sì”,
e io ho detto “Allora sono sicura anche io”.
Quale potrebbe essere il peso di questa decisione
sul destino delle direttive anticipate?
Spero che infonda nei politici un po’ di coraggio;
spero che anche la politica possa decidere a favore
della libertà di scelta. Una dichiarazione anticipata
– che non è mai eutanasia! – rinforza
il rapporto medico paziente, non lo mette in pericolo.
Il medico deve informare e il paziente deve sempre poter
dire “questo lo voglio, questo no!”. È
il paziente che deve scegliere. Questa è l’alleanza
terapeutica.
Un tentativo, piuttosto goffo, per limitare
la libertà del paziente è quello di definire
la nutrizione, l’idratazione e la ventilazione
artificiali come atti non medici al fine di sottrarli
dai trattamenti che si possono rifiutare. Come se un
atto non medico potesse essere imposto! Che cosa avrebbe
risposto Piero a questo grossolano tentativo?
Piero nelle ultime settimane deglutiva male; gli dissi
che avevo paura. “Guarda, io il sondino non lo
voglio!”, mi diceva, “Non ci provare nemmeno.
Mai!”. Non lo avrebbe mai accettato, né
come trattamento medico, né come trattamento
di altra natura.
Sono stati in molti a definire Welby uno strumento
in mano a … Difficile immaginare una persona come
Welby strumentalizzato da qualcuno.
Era Piero a “strumentalizzare” gli altri
e non il contrario!
Per concludere, è doveroso ricordare
le battaglie di Piero e dell’Associazione Luca
Coscioni di cui era co-Presidente: quelle per il voto
ai disabili intrasportabili, quelle per la libertà
di parola, per la diffusione delle tecnologie che potrebbero
rimediare al silenzio di malattie quali la SLA, tutte
battaglie legate dall’amore per la libertà.
E dall’amore per i diritti civili. La legge per
il voto ai disabili, solo per fare un esempio, deve
essere migliorata: non solo per i malati attaccati alle
macchine, ma per tutti quelli che non si possono muovere.
Tutti quelli che vanno accompagnati a votare sono stressati.
Dovere uscire in ambulanza, mobilitare medici, infermieri,
autisti, etc. Bisogna snellire la burocrazia.
Desidero ringraziare tutti i sostenitori delle spese
processuali per Mario Riccio, e ricordare che le donazioni
saranno destinate a portare avanti la battaglia di Piero
e per i diritti civili.
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