Fine di un’isteria
collettiva. Domenica alle 18, quando i seggi si sono
chiusi e l’Alta commissione elettorale non aveva
ancora sciolto il silenzio durato tutto il fine settimana,
probabilmente qualcuno in Turchia ha tirato un sospiro
di sollievo. È stata una campagna elettorale
infuocata, dove tutti i partiti, l’Akp in testa,
hanno speso cifre da capogiro per la Turchia, per mettere
in campo una strategia di comunicazione vincente e dove
sono volate promesse di ogni tipo e parole grosse fra
i leader dei vari schieramenti.
Tutto il paese era già sotto pressione da tempo,
per la precisione dall’inizio di aprile, quando
sono apparse sui giornali le prime polemiche riguardanti
il candidato alla Presidenza della Repubblica e che
in maggio sono finite con una crisi che, secondo molti,
avrebbe potuto portare a un intervento dei militari
nella vita civile del paese. Queste elezioni sono state
viste da tutti come la contrapposizione di una Turchia
laica e una Turchia filo islamica quando invece, a ben
vedere, dalle urne sono uscite tre Turchie. Una, di
gran lunga maggioritaria, che appoggia la politica del
premier uscente Recep Tayyip Erdogan e del suo Akp,
il Partito islamico-moderato. La seconda è la
Turchia dei laici e dei moderati, vera delusione di
queste elezioni, che non è riuscita ad andare
oltre il 20% e dove in questi giorni si sta discutendo
un cambio di leadership per recuperare consenso. La
terza, vera sorpresa di queste elezioni, è stata
quella rappresentata dall’ingresso in Parlamento
del Partito nazionalista, organizzazione ultra-conservatrice
alla quale fanno riferimento anche i Lupi Grigi e che
ha leggermente ammorbidito le sue posizioni nell’ultimo
decennio.
Il fine settimana elettorale è stato contrassegnato
da un rigido silenzio voluto dalla procedura elettorale.
Niente trasmissioni, niente exit-poll, solo qualche
intervista alle persone all’uscita dei seggi.
Mani legate a giornali, agenzie e televisioni, che non
hanno potuto fornire nemmeno i dati sull’affluenza
alle urne. Una vera e propria quiete prima e dopo la
tempesta.
Quando il verdetto delle urne era ormai certo, infatti,
migliaia di persone si sono riversate nelle strade delle
strade della capitale, seppur per motivi diversi. I
sostenitori dell’Akp per celebrare un risultato
storico, i militanti del Mhp per festeggiare l’ingresso
in Parlamento e gli elettori del Chp, inferociti, per
protestare contro il leader del partito Deniz Baykal
e chiedere le sue immediate dimissioni. La manifestazione
ha rischiato di degenerare e la polizia è stata
costretta ad allontanare molti con la forza.
Resta adesso da vedere che cosa il premier rieletto
trionfalmente avrà intenzione di fare. Per il
momento si è limitato a dire che continuerà
sulla stessa strada, e ad andare dal presidente Ahmet
Necdet Sezer per rassegnare le sue dimissioni, preludio
al nuovo incarico. Ma, con lo stachanovismo che lo ha
caratterizzato da quando divenne premier quattro anni
e mezzo fa all'ultimo giorno dell'infuocata campagna
elettorale, c'è da scommettere che Recep Tayyip
Erdogan stia già pensando alla formazione del
nuovo governo. E muovendo le prime mosse. Anche perché
- sembrerà paradossale dopo una vittoria schiacciante
- potrebbe avere qualche problema, soprattutto da parte
della corrente più conservatrice del suo governo.
La sera della vittoria, davanti a una folla in delirio,
è salito sul palco insieme con Abdullah Gül,
ministro degli Esteri e secondo molti il suo delfino.
Con loro anche le mogli Emine e Hayrunissa, chiaramente
velate. Parlando agli elettori che lo acclamavano, Erdogan
ha promesso più sicurezza e sviluppo economico,
ribadito l’impegno per entrare in Europa. Ha promesso
uno Stato democratico, libero e laico, poi però
ha salutato tutti dicendo “Allah è il nostro
amore, che Allah ci aiuti”. Il giorno dopo ad
acclamarlo sono stati i mercati finanziari, con la borsa
in avanti del 5% e il cambio sul dollaro ai minimi storici.
Adesso Erdogan deve guidare la Turchia per altri 5 anni
e in questo periodo di tempo dovrà dimostrare
dove vuole portare il Paese, se più vicino all’Europa
o al mondo arabo. Le sue intenzioni non le ha ancora
capite nessuno.
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