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22 e Il
Riformista
Ci sono volte in cui si spera che l’oblio copra
per sempre pagine poco edificanti della Storia. Pagine
dai torni scuri, dai sapori amari, dagli esiti tristi.
Poi, come una frusta, i sapori e i toni di quelle pagine
salgono di nuovo in gola, negli occhi. Sono segnali
proustiani, cellule-sentinella pronte a ricordarci di
stare attenti. Che il pericolo di ritonfare dentro periodi
bui è alle porte.
È il maccartismo in versione italiota a bussare
alla porta. Un maccartismo, certo, ancora meno evidente
di quello che segnò gli Stati Uniti esattamente
mezzo secolo fa. Ma non meno pericoloso.
È per contrastare questo maccartismo ormai neanche
più tanto strisciante – che colpisce da
anni gli arabisti, gli islamologi, gli studiosi più
stimati dentro le università italiane e che giunge
ad accusarli di fiancheggiare i terroristi – che
ho firmato l’appello voluto da Paolo Branca e
ospitato da Giancarlo Bosetti su Reset.
L’ho firmato per adempiere prima di tutto a un
dovere morale, quello di rammentare – per quanto
mi era possibile – all’intellighenzia italiana
quali sono i compiti primi di un ceto che dovrebbe usare
la testa e l’etica. Mai l’una senza l’altra.
Compiti semplici, anacronistici sembra. Tenere alto,
se non altissimo, il livello della discussione libera.
Rispettare il valore dell’incontro e del confronto
delle idee – fuori e oltre, recitava l’appello
che ha suscitato tanto scandalo, da ogni “tifo
calcistico”. Ricordare il ruolo determinante che
gli intellettuali debbono avere nella formazione di
un pubblico attento e maturo.
Sono nata nell’anno del Muro di Berlino, l’ormai
lontano 1961. Sono stata formata da un giovane maestro
elementare, con un altissimo senso del dovere e dell’abnegazione,
al rispetto della sostanza di una bellissima Costituzione,
sintesi dell’incontro di uomini provenienti da
storie molto diverse. Sono cresciuta alla scuola di
Paolo Spriano, singolare prodotto di cultura gobettiana
e comunista, che mi ha insegnato il mestiere di storica
e giornalista insieme. Dalle lezioni “anagrafiche”
a quelle che Spriano teneva alla Sapienza di Roma, ciò
che rimane solido dentro la mia etica individuale è
il rispetto dell’uomo e – se possibile –
della verità complessa. È per questo rispetto
che ho firmato l’appello di Paolo Branca. E lo
firmerei cento volte ancora, se e quando necessario.
Il maccartismo odierno vuole che, nell’Italia
di transizione in cui ora ci è dato di vivere,
ci debba essere solo una vulgata, di quello che succede
a sud e a est del Mediterraneo, in mezzo a oltre duecento
milioni di persone che sono prima persone, poi arabe,
e magari musulmane. Ci deve essere una sola vulgata
della vita, cronaca, storia di un miliardo e trecento
milioni di persone che, assieme e oltre il mondo arabo,
sono musulmane. La vulgata è: sono un pericolo,
sono un tutto indistinto che fa paura. Guai, dunque,
a chi – da intellettuale e uomo di pensiero –
rimarchi la complessità d un mondo di cui emerge
solo l’infima percentuale oscura e (quasi) mai
la grande civiltà e vivacità. Guai, soprattutto,
a chi ricorda con il proprio lavoro quotidiano che si
sta parlando di uomini, di società, di civiltà.
L’appello di Paolo Branca non mette all’indice
un libro. Tanto meno una persona. Solo chi non ha letto
l’appello, scritto in un italiano piano e semplice,
può affermarlo. L’appello di Branca chiedeva
a tutti di rispettare i doveri propri di un intellettuale
fedele a un preciso (seppure non scritto) codice etico:
libertà di pensiero, rispetto per gli altri,
uso della ragione, studio attento dei fatti, rifiuto
del populismo e del pressappochismo. In fondo, non ci
sarebbe stato neanche bisogno di un appello del genere,
in un paese normale. Ma noi non siamo in un paese normale,
ed è questo il motivo per cui un appello così
tanto moderato ha suscitato reazioni scomposte.
La razionalità, la moderazione di questi tempi
fanno paura. Soprattutto se provengono anche da nomi
importanti del cattolicesimo lombardo, che non si riconoscono
nella linea neo-teocon che vorrebbe far piazza pulita
di un’altra ricchissima storia culturale ancora
vigorosa. L’appello, ed è questo il motivo
di attacchi così virulenti, ha portato in superficie
che la linea dell’islamofobia e della caccia alle
streghe non appartiene – per fortuna – a
una parte consistente dell’intellighezia italiana,
che si voleva appiattita su di una linea semplice, tetragona.
Maccartista, appunto.
Un vecchio amico, una delle personalità di rilievo
del mondo cattolico di questo ultimo mezzo secolo, mi
ha confessato – qualche mese fa – che “non
si riconosceva più” in questi tempi fatti
di populismo, sentenze già emesse, frasi ad effetto
e attacchi facili e a botte di dossier precotti. Io,
che vengo da una storia diversa, rimpiango l’assenza
di Pier Paolo Pasolini. Vorrei leggere ancora, ai tempi
d’oggi, quel suo decalogo etico che segnava la
prima pagina del Corriere della Sera. Rimpiango i richiami
pasoliniani, spesso duri e controcorrente, che nascevano
da un’attenzione all’uomo, all’immigrato,
al diverso (al musulmano?) e all’uguale, che ora
viene considerata eversiva. O eretica, appunto.
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