326 - 07.08.07


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Il caso Allam e il
maccartismo all'italiana

Paola Caridi


Questo articolo è stato pubblicato su Lettera 22 e Il Riformista

Ci sono volte in cui si spera che l’oblio copra per sempre pagine poco edificanti della Storia. Pagine dai torni scuri, dai sapori amari, dagli esiti tristi. Poi, come una frusta, i sapori e i toni di quelle pagine salgono di nuovo in gola, negli occhi. Sono segnali proustiani, cellule-sentinella pronte a ricordarci di stare attenti. Che il pericolo di ritonfare dentro periodi bui è alle porte.

È il maccartismo in versione italiota a bussare alla porta. Un maccartismo, certo, ancora meno evidente di quello che segnò gli Stati Uniti esattamente mezzo secolo fa. Ma non meno pericoloso.
È per contrastare questo maccartismo ormai neanche più tanto strisciante – che colpisce da anni gli arabisti, gli islamologi, gli studiosi più stimati dentro le università italiane e che giunge ad accusarli di fiancheggiare i terroristi – che ho firmato l’appello voluto da Paolo Branca e ospitato da Giancarlo Bosetti su Reset.

L’ho firmato per adempiere prima di tutto a un dovere morale, quello di rammentare – per quanto mi era possibile – all’intellighenzia italiana quali sono i compiti primi di un ceto che dovrebbe usare la testa e l’etica. Mai l’una senza l’altra.
Compiti semplici, anacronistici sembra. Tenere alto, se non altissimo, il livello della discussione libera. Rispettare il valore dell’incontro e del confronto delle idee – fuori e oltre, recitava l’appello che ha suscitato tanto scandalo, da ogni “tifo calcistico”. Ricordare il ruolo determinante che gli intellettuali debbono avere nella formazione di un pubblico attento e maturo.

Sono nata nell’anno del Muro di Berlino, l’ormai lontano 1961. Sono stata formata da un giovane maestro elementare, con un altissimo senso del dovere e dell’abnegazione, al rispetto della sostanza di una bellissima Costituzione, sintesi dell’incontro di uomini provenienti da storie molto diverse. Sono cresciuta alla scuola di Paolo Spriano, singolare prodotto di cultura gobettiana e comunista, che mi ha insegnato il mestiere di storica e giornalista insieme. Dalle lezioni “anagrafiche” a quelle che Spriano teneva alla Sapienza di Roma, ciò che rimane solido dentro la mia etica individuale è il rispetto dell’uomo e – se possibile – della verità complessa. È per questo rispetto che ho firmato l’appello di Paolo Branca. E lo firmerei cento volte ancora, se e quando necessario.

Il maccartismo odierno vuole che, nell’Italia di transizione in cui ora ci è dato di vivere, ci debba essere solo una vulgata, di quello che succede a sud e a est del Mediterraneo, in mezzo a oltre duecento milioni di persone che sono prima persone, poi arabe, e magari musulmane. Ci deve essere una sola vulgata della vita, cronaca, storia di un miliardo e trecento milioni di persone che, assieme e oltre il mondo arabo, sono musulmane. La vulgata è: sono un pericolo, sono un tutto indistinto che fa paura. Guai, dunque, a chi – da intellettuale e uomo di pensiero – rimarchi la complessità d un mondo di cui emerge solo l’infima percentuale oscura e (quasi) mai la grande civiltà e vivacità. Guai, soprattutto, a chi ricorda con il proprio lavoro quotidiano che si sta parlando di uomini, di società, di civiltà.

L’appello di Paolo Branca non mette all’indice un libro. Tanto meno una persona. Solo chi non ha letto l’appello, scritto in un italiano piano e semplice, può affermarlo. L’appello di Branca chiedeva a tutti di rispettare i doveri propri di un intellettuale fedele a un preciso (seppure non scritto) codice etico: libertà di pensiero, rispetto per gli altri, uso della ragione, studio attento dei fatti, rifiuto del populismo e del pressappochismo. In fondo, non ci sarebbe stato neanche bisogno di un appello del genere, in un paese normale. Ma noi non siamo in un paese normale, ed è questo il motivo per cui un appello così tanto moderato ha suscitato reazioni scomposte.

La razionalità, la moderazione di questi tempi fanno paura. Soprattutto se provengono anche da nomi importanti del cattolicesimo lombardo, che non si riconoscono nella linea neo-teocon che vorrebbe far piazza pulita di un’altra ricchissima storia culturale ancora vigorosa. L’appello, ed è questo il motivo di attacchi così virulenti, ha portato in superficie che la linea dell’islamofobia e della caccia alle streghe non appartiene – per fortuna – a una parte consistente dell’intellighezia italiana, che si voleva appiattita su di una linea semplice, tetragona. Maccartista, appunto.

Un vecchio amico, una delle personalità di rilievo del mondo cattolico di questo ultimo mezzo secolo, mi ha confessato – qualche mese fa – che “non si riconosceva più” in questi tempi fatti di populismo, sentenze già emesse, frasi ad effetto e attacchi facili e a botte di dossier precotti. Io, che vengo da una storia diversa, rimpiango l’assenza di Pier Paolo Pasolini. Vorrei leggere ancora, ai tempi d’oggi, quel suo decalogo etico che segnava la prima pagina del Corriere della Sera. Rimpiango i richiami pasoliniani, spesso duri e controcorrente, che nascevano da un’attenzione all’uomo, all’immigrato, al diverso (al musulmano?) e all’uguale, che ora viene considerata eversiva. O eretica, appunto.

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