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Pd, costituente a tre incognite

Stefano Ceccanti


Questo articolo è tratto dal quotidiano l'Unità di domenica 24 giugno 2007.


Nessuna fase costituente può essere vissuta senza alcune certezze minime e senza una gestione accorta delle incognite che ci si presentano davanti.

Per il Partito Democratico la prima certezza sembra stare a questo punto, tranne sorprese, nella legittimazione diretta di Walter Veltroni, ossia di colui che agli occhi di tutti meglio si identificherebbe con la causa del Pd.

Veltroni trasmetterebbe infatti in modo del tutto immediato l’idea che non si tratta di "contaminare" oggi delle culture politiche che sarebbero rimaste intatte fino a ieri nel loro splendido isolamento, ma che ciascuno di noi è già oggi un "meticcio", si è confrontato con persone, realtà collettive di matrice diversa per far fronte a domande che non avevano risposte nelle appartenenze precedenti. Questa prima certezza, pur relativa fino a mercoledì, sarebbe anche una prima novità che il Pd inserirebbe: di solito nella vita politica italiana quando si prendeva una strada si sceglieva poi per attuarla qualcuno che vi si era opposto o che non l’aveva sostenuta in modo netto, in modo da diluire e sopire i contrasti. Non si tratterebbe quindi una larga convergenza che deriva da spinte di vertice, ma di una sorta di convergenza naturale imposta dagli elettori del Pd alla propria classe dirigente.

Una seconda certezza, più stabilizzata, sta nel carattere federale del nuovo partito, dato che il 14 ottobre saremo chiamati anche ad eleggere, oltre al segretario e all’Assemblea Costituente nazionale, che darà il quadro dei principi per i vari livelli, Assemblee costituenti e segretari regionali che avranno così una larga di autonomia. Ciò consentirà su quei livelli, su cui non vi è di solito una candidatura naturale analoga a quella di Veltroni, un’effettiva competizione anche tra candidature alternative alla segreteria. Una prima incognita deriva direttamente dal combinato disposto delle due certezze: il Pd sarà in grado di proporre per l’organizzazione dello Stato regole analoghe a quelle che sceglie per sé e quindi la scelta di elezioni dirette col principio maggioritario e quella di un federalismo che vede le diversità come una risorsa per l’unità? A ciò si potrebbe aggiungere la scelta per liste plurinominali corte, i cui candidati troveremo stampati sulla scheda il 14 ottobre, sfuggendo all’alternativa tra le liste bloccate lunghe con candidati invisibili del Porcellum e il corruttore sistema delle preferenze, che trasforma la competizione tra idee in guerra di micro-personalismi.

Anche qui è in gioco la credibilità del Pd, che non può essere un pacifico e continuistico compimento della storia dei partiti della prima fase della Repubblica. La convergenza su una candidatura largamente unitaria è credibile solo se non ci sono ambiguità tra questi contenuti, se le resistenze culturali che rimpiangono il centralismo, il proporzionalismo, le preferenze e che scindono in modo schizofrenico la scelta delle idee da quella delle persone che debbono attuarle vengono spinte a dichiararsi come tali, con propri candidati alternativi a Veltroni, che certo non potrebbe assumere quei contenuti. La seconda incognita è più specificamente relativa alle liste che accompagneranno la probabile candidatura Veltroni: in questo contesto una lista unica è impensabile e un certo grado di competizione tra proposte e quindi anche tra liste, purché compatibili con la proposta del candidato, è positiva.

Ad esempio potrebbe esservi una lista di coloro che sottolineano maggiormente la necessità di una riforma elettorale e costituzionale per chiudere la transizione e che magari sono impegnati nel referendum perché senza di esso la prospettiva è molto meno credibile, può esservene un’altra di coloro che sono più impegnati sul versante della modernizzazione economica e così via. Al di là di alcuni vincoli giuridici anti-frammentazione che sono necessari, dato che di tutto abbiamo bisogno tranne che di un partito balcanizzato con tante correnti quanti i partiti dell’Unione, è importante capire quale dovrebbe essere la migliore logica di competizione.

Se è vero, anche con la probabile scelta di Veltroni, che costruiamo il Pd perché nessuna tradizione è autosufficiente, non dobbiamo perseguire una strada di distinzione lungo la linea divisoria dei partiti di origine, sia nella versione Ds contro Margherita sia in quella più frammentata di tante liste di singole personalità diessine contro liste di singole personalità della Margherita. Per lo stesso motivo sarebbe del tutto contraddittorio unificare intorno a quel candidato segretario delle liste su base ideologica (la ricomposizione dei cattolici di Margherita e Ds magari contro una lista di "laici" di Ds e Margherita). Sarebbero tutte modalità per far ritornare dalla finestra l’idea di federazione che è stata cacciata dalla porta, prima con la decisione costituente e poi con la convergenza su Veltroni. Anche in questo caso, se posizioni di questo tipo esistono, è bene che emergano con candidati diversi alla segreteria che impersonino chiaramente e coerentemente questa linea alternativa. Invece nei due esempi prima proposti, modernizzatori istituzionali ed economici, le appartenenze e le culture si incontrerebbero e la scelta sarebbe solo quella di una gerarchia tra le priorità enunciate dal candidato.

Vi è poi una terza incognita che va al di là dello stesso Pd e che qui può essere solo enunciata: questo grande rilancio di innovazione scelto per il 14 ottobre deve anche coinvolgere con un nuovo slancio coordinato anche l’azione di Governo perché entrambi i livelli sono decisivi per creare un nuovo rapporto di fiducia col Paese. Il Pd sarà giudicato anche per quello che il Governo riuscirà a fare. Costruire un nuovo partito dal Governo è un’impresa particolarmente delicata e temeraria, è come dover riparare la nave mentre si è in viaggio, senza poterla portare in porto. Ma qui è la nostra responsabilità ineludibile, prima e dopo il 14 ottobre.

 

 

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