Questo
articolo è tratto dal quotidiano l'Unità
di domenica 24 giugno 2007.
Nessuna fase costituente può essere vissuta senza
alcune certezze minime e senza una gestione accorta
delle incognite che ci si presentano davanti.
Per il Partito Democratico la prima certezza sembra
stare a questo punto, tranne sorprese, nella legittimazione
diretta di Walter Veltroni, ossia di colui che agli
occhi di tutti meglio si identificherebbe con la causa
del Pd.
Veltroni trasmetterebbe infatti in modo del tutto immediato
l’idea che non si tratta di "contaminare"
oggi delle culture politiche che sarebbero rimaste intatte
fino a ieri nel loro splendido isolamento, ma che ciascuno
di noi è già oggi un "meticcio",
si è confrontato con persone, realtà collettive
di matrice diversa per far fronte a domande che non
avevano risposte nelle appartenenze precedenti. Questa
prima certezza, pur relativa fino a mercoledì,
sarebbe anche una prima novità che il Pd inserirebbe:
di solito nella vita politica italiana quando si prendeva
una strada si sceglieva poi per attuarla qualcuno che
vi si era opposto o che non l’aveva sostenuta
in modo netto, in modo da diluire e sopire i contrasti.
Non si tratterebbe quindi una larga convergenza che
deriva da spinte di vertice, ma di una sorta di convergenza
naturale imposta dagli elettori del Pd alla propria
classe dirigente.
Una seconda certezza, più stabilizzata, sta
nel carattere federale del nuovo partito, dato che il
14 ottobre saremo chiamati anche ad eleggere, oltre
al segretario e all’Assemblea Costituente nazionale,
che darà il quadro dei principi per i vari livelli,
Assemblee costituenti e segretari regionali che avranno
così una larga di autonomia. Ciò consentirà
su quei livelli, su cui non vi è di solito una
candidatura naturale analoga a quella di Veltroni, un’effettiva
competizione anche tra candidature alternative alla
segreteria. Una prima incognita deriva direttamente
dal combinato disposto delle due certezze: il Pd sarà
in grado di proporre per l’organizzazione dello
Stato regole analoghe a quelle che sceglie per sé
e quindi la scelta di elezioni dirette col principio
maggioritario e quella di un federalismo che vede le
diversità come una risorsa per l’unità?
A ciò si potrebbe aggiungere la scelta per liste
plurinominali corte, i cui candidati troveremo stampati
sulla scheda il 14 ottobre, sfuggendo all’alternativa
tra le liste bloccate lunghe con candidati invisibili
del Porcellum e il corruttore sistema delle preferenze,
che trasforma la competizione tra idee in guerra di
micro-personalismi.
Anche qui è in gioco la credibilità del
Pd, che non può essere un pacifico e continuistico
compimento della storia dei partiti della prima fase
della Repubblica. La convergenza su una candidatura
largamente unitaria è credibile solo se non ci
sono ambiguità tra questi contenuti, se le resistenze
culturali che rimpiangono il centralismo, il proporzionalismo,
le preferenze e che scindono in modo schizofrenico la
scelta delle idee da quella delle persone che debbono
attuarle vengono spinte a dichiararsi come tali, con
propri candidati alternativi a Veltroni, che certo non
potrebbe assumere quei contenuti. La seconda incognita
è più specificamente relativa alle liste
che accompagneranno la probabile candidatura Veltroni:
in questo contesto una lista unica è impensabile
e un certo grado di competizione tra proposte e quindi
anche tra liste, purché compatibili con la proposta
del candidato, è positiva.
Ad esempio potrebbe esservi una lista di coloro che
sottolineano maggiormente la necessità di una
riforma elettorale e costituzionale per chiudere la
transizione e che magari sono impegnati nel referendum
perché senza di esso la prospettiva è
molto meno credibile, può esservene un’altra
di coloro che sono più impegnati sul versante
della modernizzazione economica e così via. Al
di là di alcuni vincoli giuridici anti-frammentazione
che sono necessari, dato che di tutto abbiamo bisogno
tranne che di un partito balcanizzato con tante correnti
quanti i partiti dell’Unione, è importante
capire quale dovrebbe essere la migliore logica di competizione.
Se è vero, anche con la probabile scelta di
Veltroni, che costruiamo il Pd perché nessuna
tradizione è autosufficiente, non dobbiamo perseguire
una strada di distinzione lungo la linea divisoria dei
partiti di origine, sia nella versione Ds contro Margherita
sia in quella più frammentata di tante liste
di singole personalità diessine contro liste
di singole personalità della Margherita. Per
lo stesso motivo sarebbe del tutto contraddittorio unificare
intorno a quel candidato segretario delle liste su base
ideologica (la ricomposizione dei cattolici di Margherita
e Ds magari contro una lista di "laici" di
Ds e Margherita). Sarebbero tutte modalità per
far ritornare dalla finestra l’idea di federazione
che è stata cacciata dalla porta, prima con la
decisione costituente e poi con la convergenza su Veltroni.
Anche in questo caso, se posizioni di questo tipo esistono,
è bene che emergano con candidati diversi alla
segreteria che impersonino chiaramente e coerentemente
questa linea alternativa. Invece nei due esempi prima
proposti, modernizzatori istituzionali ed economici,
le appartenenze e le culture si incontrerebbero e la
scelta sarebbe solo quella di una gerarchia tra le priorità
enunciate dal candidato.
Vi è poi una terza incognita che va al di là
dello stesso Pd e che qui può essere solo enunciata:
questo grande rilancio di innovazione scelto per il
14 ottobre deve anche coinvolgere con un nuovo slancio
coordinato anche l’azione di Governo perché
entrambi i livelli sono decisivi per creare un nuovo
rapporto di fiducia col Paese. Il Pd sarà giudicato
anche per quello che il Governo riuscirà a fare.
Costruire un nuovo partito dal Governo è un’impresa
particolarmente delicata e temeraria, è come
dover riparare la nave mentre si è in viaggio,
senza poterla portare in porto. Ma qui è la nostra
responsabilità ineludibile, prima e dopo il 14
ottobre.
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