Prima delle
ultime elezioni ho scritto sul Corriere una
proposta politica per Milano che, al primo punto, raccomandava
di “riportare il cittadino al centro della politica”.
La mia sensazione allora, per Milano come per il resto
del paese, era che ci fosse un crescente deficit di
attenzione nei confronti dei cittadini e delle cittadine
e che da parte della classe politica occorresse mettere
il compito di rimediare a questo deficit. Da parte della
classe politica allora al potere, ma non solo, occorreva
intervenire e fare presto. Oggi si sta profilando una
situazione paradossale, dopo un anno il nuovo governo
del paese può segnare notevoli successi in campo
economico e anche se il ripiano delle precedenti devastazioni
finanziarie è costato, come si usa dire, sudore
e sangue, gran parte dei cittadini (circa 4 su dieci)
sul piano privato, che è quello tipico dell’economia,
si dichiarano felici e una buona parte moderatamente
contenti. Il punto è che sull’economia
si può sempre trovare un accordo anche quanto
i costi sono salati perché tutti capiscono che
se c’è un buco occorre ripianarlo e tutti
capiscono che la medicina può essere amara, ma
a volte è necessaria. Semmai ci saranno pianti
e strilli sul quando prenderla e quanto prenderne, ma
queste sono scene rituali e nessuno se ne sente particolarmente
offeso.
L’offesa è invece profonda quando viene
toccato il senso più vero della giustizia collettiva
il che avviene in tre aree principali, nei palesi privilegi
di ceto come quelli messi in luce dalla stampa in questo
periodo, nella imposizione di pratiche vessatorie e
nella piccola angheria quotidiana perpetrata da tutte
le burocrazie di questo mondo, ma con particolare perizia
da quella italiana. E soprattutto quando si ha l’impressione
che siano state violate delle promesse, fatto cui molti
italiani sono quotidianamente esposti, ma che proprio
per questo tollerano sempre meno. Se vogliamo essere
precisi le promesse fatte in campagna elettorale da
questo governo non erano un modello di chiarezza. Il
programma è dettagliato, ma vale soprattutto
come uno di quei ponderosi documenti notarili che vengono
stilati nei matrimoni importanti con un occhio più
attento alle liti che alle realizzazioni. Non è
il progetto di vita in comune che metà degli
italiani si aspettava. Ma l’aspettativa c’era
eccome, ed era una aspettativa di cambiamento e di miglioramento,
soprattutto nello stile.
La non chiarezza nelle promesse peggiora, non migliora
la sensazione di delusione. I personaggi politici appaiono
vani, incerti, e invece di suggerire conforto creano
incertezza. I membri della classe politica dovrebbero
avere un orecchio più allenato a percepire il
suono delle loro parole presso i comuni cittadini e
cittadine. Quando si sente il Presidente della Camera
on. Fausto Bertinotti affermare che occorre riformare
la politica cadono le braccia, perché queste
sono cose da fare non da dire e soprattutto se la politica
non la riformano loro non si capisce chi lo possa fare.
E’ un po’ come sentire un pompiere disperato
che grida “al fuoco al fuoco”.
Ma il paradosso più straordinario è che
contrariamente a quel che suggeriva il consigliere Carvill
a Clinton durante la sua vittoriosa campagna elettorale,
non è il terreno dell’economia quello che
domina la crisi. Occorrerebbe dire:
It is NOT the economy, stupid!
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