321 - 17.05.07


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Dagli inni della “Sarkofrance”
alle macchine in fiamme

Andrea Neri


La mattina dopo le elezioni la Gare de Lyon, la Piazza della Bastiglia e, un po' meno, Piazza della Repubblica sembrano un campo di battaglia ripulito. Ripulito ma non ancora del tutto. Sono le nove del mattino. Rientro da Lione dove pure i casseurs – quelli che spaccano e bruciano, per rabbia e per ignoranza – si sono fatti sentire. Nel tratto di poche centinaia di metri che separa la stazione dei treni dalla Piazza della Bastiglia – lungo rue de Lyon, appunto – conto una farmacia sventrata, un negozio di computer con i vetri fracassati, idem per l’Holiday Inn, dove un dipendente sta appiccicando un vetro con scotch da pacchi bianco, i doppi vetri di una filiale della Société Générale pure in frantumi – un ragazzo fa bancomat e intanto scatta una foto con il cellulare. Poi ci sono le macchine ribaltate, qualcuna bruciata, scooter e motori a ruote all’aria. Mi fermo a parlare con un poliziotto che con tre colleghi fa scorrere il traffico attorno a due Smart distrutte: mi dice che non sa quante macchine sono state bruciate, “non ho il diritto di dirglielo”. Ma visto che insisto mi liquida con un “tante, tante”. Poi la prefettura mi confermerà che, solo nei 20 arrondissements di Parigi, ci sono state 35 auto distrutte, oltre a 33 agenti feriti e 79 fermi.

Non riesco a evitare un parallelo con la notte elettorale che si è chiusa qualche ora fa. Il 16 maggio – data di passaggio dei poteri fra Jacques Chirac e il neo eletto Nicolas Sarkozy – salirà all’Eliseo un politico di cui, sui muri dell’Opéra Bastille (pure quella con le vetrate rotte) si legge “Sarko: senza di te tutto diventa possibile”. E poi, come uno slogan, come un timbro scarabocchiato qua e là, “anti-sarko”. Sarkozy ieri sera assomigliava tanto a Parigi, che in poche ore deve far finta che non sia successo niente, rimettersi in ordine e cominciare la giornata. Ha fatto un esercizio di “restyling” ineccepibile. Il primo discorso dopo aver saputo i risultati del voto, il campione della destra l’ha rivolto a una folla esultante di suoi sostenitori. Si erano riuniti nella Salle Gaveau, ad Ovest di Parigi, poco lontano dagli Champs Elysée. Forse per la prima volta dall’inizio della campagna elettorale, in maniera a dir poco tardiva, la politica internazionale e l’Europa sono state al cuore del suo discorso. E di questo, al limite, ci si può rallegrare.

Ma quel che fa specie è l’operazione di “ripulitura” del suo linguaggio. Dal karcher con cui va aspirata la feccia, la racaille, l’uomo dell’immigrazione scelta e non subita è diventato il paladino dell’unione dei popoli. La Francia, ha detto, tornerà ad essere il Paese sul quale tutti gli oppressi del mondo potranno tornare a contare. Poi qualche accenno, più coerente, con la tipologia retorica che aveva scelto in campagna. Ma con toni smussati: “Nella Repubblica che intendo servire non ci sarà spazio per i diritti che non siano controbilanciati dai doveri”. E gli accenni all’orgoglio che la Francia deve ritrovare, senza complessi. La sua parola d’ordine è rimasta la stessa lungo il corso di tutta la serata di festeggiamenti: “Amo la Francia. È il momento di restituirle tutto quello che mi ha dato”. E sentirlo ripetere la stessa frase più volte, quasi identica, di fronte ai diversi pubblici, prima alla sede del partito, poi in piazza della Concordia, faceva un po’ sorridere.

Ma è evidente che se lo può permettere. Il 53,06% ottenuto significa che, sui circa 44,5 milioni di aventi diritto, sono stati più di 20 milioni di persone a votarlo. L’abilità e il pragmatismo con cui ha “scippato” a Jean-Marie Le Pen parte del suo tradizionale elettorato (la destra estrema e nazionalista) è un dato incontestabile. Quello stesso Le Pen che lo ha già battezzato: “ora Sarkozy è solo di fronte alle promesse che ha fatto e sono certo che non le manterrà”. Le riflessioni sulle prospettive che ora si affacciano si sprecano: il restyling non solo era prevedibile ma necessario. Le legislative di giugno sono vicinissime, i 7 milioni di elettori che al primo turno avevano sperato nel “nuovo centro” di François Bayrou sono lì che aspettano. Senza contare i 17 milioni che hanno dato il loro voto alla sfidante.

Ma punto più alto della serata dei festeggiamenti per il nuovo Presidente della V Repubblica è innegabilmente uno. Il concerto in Place de la Concorde. È lì che le viscere tutte mediatiche di questa campagna si sono lasciate vedere. La Marsigliese, l’inno nazionale francese, intonato dal palco e dal pubblico e guidato da una lanciatissima Mireille Mathieu era prevedibile. Un po’ più arditi, ma doverosi nell’ottica di un ritrovato politicamente corretto, sono stati i canti di omaggio alla terra d’origine, l’Algeria, intonati da Faudel e Enrico Macias. Ma assolutamente al di là di ogni immaginazione è stato il gospel, improvvisato sull’onda dell’entusiasmo. Con una “Oh, happy day” declinata in versione "che giorno di gioia, il giorno che Nicolas è nato"...Cosa sarebbe successo, da noi, se il “Jesus” del testo originale fosse stato sostituito, mettiamo, da “Silvio”...

Chiudiamo il cerchio tornando al parallelo fra l’Ovest di Parigi che festeggia e l’Est che spacca (senza dimenticare, è doveroso, che erano poche centinaia di teppisti). La stessa disarmante abilità di mutare l’ha dimostrata Ségolène di fronte alle telecamere, spettatori, sostenitori. È stata lei la prima a parlare ai suoi militanti. Non erano nemmeno le otto e dieci minuti. Nella Maison de l’Amérique Latine, lungo Boulevard Saint-Germain, si è presentata con le stesse, materne braccia allargate su cui ha forgiato la sua immagine. Lo stesso immutato sorriso. Per dire: abbiamo perso, grazie del sostegno, continueremo la lotta nata da questo meraviglioso movimento popolare, e state certi che la leader del rinnovamento della sinistra socialista sarò io. Una reazione che, al pari delle scene di guerriglia in una serata di festa, fa sorgere qualche dubbio. Soprattutto se si pensa che bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1965 per trovare un risultato tanto deludente per un candidato socialista arrivato al ballottaggio. Allora si trattava di François Mitterrand, sconfitto dal generale De Gaulle, senza nemmeno raggiungere il 45% dei suffragi. Erano altri tempi. Da oggi, anche se il risultato fosse stato diverso, sarebbe comunque iniziata una Francia nuova, quella dei cinquantenni al potere. Ma ci si continua a chiedere: esattamente, che Francia sarà?

 

 


 

 

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