Il testo
che segue è il testo dell'intervento tenuto dall’autrice
al congresso nazionale della Margherita il 20 aprile
2007.
C’è una Italia nuova in cerca di rappresentanza
politica. Capire e
rappresentare questa Italia, l’Italia del nuovo
secolo, è la missione del Partito Democratico.
Dal 1989, da quando è iniziata la lunga transizione
del nostro sistema politico, il cambiamento della società
italiana è stato radicale. Le grandi imprese
si contano ormai sulle dita delle mani mentre l’Italia
è piena di imprese di medie, ma soprattutto di
piccole e piccolissime dimensioni, nelle quali il rapporto
tra capitale e lavoro su cui si è sviluppata
la lotta politica e sociale del Novecento non ha quasi
più nulla di antagonistico: i lavoratori condividono
le sorti della loro azienda con l’imprenditore.
La
loro vita, il loro benessere, il loro futuro sono legati
al destino della loro
azienda. E l’imprenditore considera i suoi dipendenti
il bene più prezioso da difendere e preservare,
il fattore che determina la qualità del suo prodotto
e gli consente di continuare ad essere competitivo nel
mercato globale.
C’è il “capitalismo personale”
dei lavoratori autonomi e dei professionisti, protagonisti
della transizione dall’economia manifatturiera
ad una più matura economia dei servizi.
Ci sono donne sempre più intraprendenti e preparate
che continuano a non riuscire ad accedere al mercato
del lavoro e che paradossalmente continuano ad avere
stipendi di serie B e a scontrarsi con l’invisibile
tetto di cristallo che impedisce di salire ai vertici.
Ci sono infine giovani generazioni nate nell’era
di internet, per cui le nuove tecnologie sono l’unico
modo di organizzare la vita, di pensare e di esistere;
quelle tecnologie che chi domina oggi la politica fa
ancora fatica a comprendere e ad usare. E queste giovani
generazioni sono cresciute sapendo che il mondo cambia
velocemente, che il futuro è fatto di flessibilità,
di nuovi lavori, di aggiornamento professionale e si
aspettano quindi di avere gli strumenti per vivere,
lavorare, metter su famiglia in un mondo radicalmente
diverso da quello in cui hanno vissuto, lavorato e messo
su famiglia i loro genitori e che loro non rimpiangono.
Giovani a cui oggi però non siamo in grado di
garantire, per quando saranno vecchi, né pensioni
sufficienti né un ambiente vivibile. La sfida
della politica sta oggi nel saper dare risposte adeguate
e convincenti a queste persone.
E’ una sfida che si gioca su un terreno nuovo,
quello del mondo in cui i confini nazionali, ed anche
europei, diventano stretti. Ma è un cambiamento
che dobbiamo affrontare senza paura.
L’esperienza dei diversi Paesi europei negli
ultimi quindici anni dimostra che la globalizzazione,
con i drastici cambiamenti che determina, non è
di per sé un male, anzi.
Gli effetti positivi o negativi della globalizzazione
dipendono dalle politiche con cui vengono affrontati
e gestiti i cambiamenti. E infatti chi ha avuto la forza
di realizzare profonde riforme è riuscito a sfruttare
le grandi opportunità della globalizzazione,
a produrre tassi di crescita elevati, e una maggiore
giustizia sociale.
Questo ci deve essere chiaro: continuare ad opporsi
alla riforma delle pensioni, alla liberalizzazione dei
servizi, alla flessibilità del lavoro vuol dire
produrre e consolidare profonde ingiustizie sociali.
Vuol dire nascondersi dietro i principi di solidarietà
e di uguaglianza per difendere corporativismi e parassitismi.
Vuol dire mantenere un sistema bloccato in cui la mobilità
sociale è arrivata ai minimi storici e in cui
non si premia il merito ma il sistema delle relazioni,
cioè l’amico dell’amico. Vuol dire
non dare risposte a quell’Italia nuova che cambia,
ai nuovi ceti produttivi, alle donne, ai giovani.
Questo deve essere il Partito Democratico, un partito
forte, con un progetto chiaro, che abbia la capacità
di opporsi ai mille no che paralizzano il nostro Paese.
Un “partito del fare”, un partito capace
di realizzare i suoi obiettivi in tempi compatibili
con la velocità a cui va il mondo. Il mondo corre
e non possiamo più stare fermi. Lo hanno ripetuto
stamane Prodi e Rutelli.
Proprio per questo il Partito Democratico nasce con
una vocazione maggioritaria, nel senso di ambire a rappresentare
le istanze della maggioranza degli italiani. Una maggioranza
numerosa, la cui voce viene spesso coperta dalle grida
di minoranze che bloccano la modernizzazione del Paese.
E con questa vocazione deve avere anche il coraggio
di riaffermare un principio fondamentale della democrazia:
chi ha la maggioranza decide, altrimenti la democrazia
è paralizzata. Noi la lezione di Tocqueville
sul rischio della dittatura della maggioranza la conosciamo
bene, sappiamo bene quali anticorpi servano e sappiamo
che tutelare i diritti dei gruppi minoritari è
un valore. Tutt’altra cosa però è
accettare, come talvolta accade in Italia, la dittatura,
ben più pericolosa e antidemocratica, delle mille
minoranze. E da questo ci dobbiamo ben guardare e ce
lo dobbiamo ricordare bene anche quando parliamo di
legge elettorale. Lo dobbiamo fare. Per il bene del
Paese.
Il partito democratico nasce da due grandi famiglie
politiche, ma è anche figlio di una cultura nuova,
trasversale, che è cresciuta nei partiti ma soprattutto
fuori da essi. Una cultura che in questi anni ha interpretato
la modernità, ha indicato le strade da percorrere,
le riforme da attuare.
Il problema non è se la fusione sarà fredda
o calda (anche se mi pare evidente che questa mattina
la relazione di Rutelli ha cominciato a scaldare gli
animi e a immettere emozioni e passione). E sicuramente
è importante se oltre al ceto politico di Ds
e Margherita ci sarà nel nuovo partito più
spazio per la società civile: ma decisivo sarà
se il Partito che nasce saprà esprimere il nuovo
progetto politico che proponiamo all’Italia. Deve
essere chiaro che, oltre a richiamare i valori antichi
e le tradizioni che vi confluiscono, questo Partito
si fa per affrontare il futuro, per rinnovare quella
visione solidaristica ed egualitaristica che, per non
essere paralizzante e conservatrice, ha bisogno di robusti
innesti di cultura liberale, di fiducia negli individui,
di sistemi che riconoscano il valore di ciascuno, di
dare la voglia alle persone di investire su stesse,
di rischiare.
Ha bisogno di libertà.
Allora, diciamolo forte: la libertà è
un valore fondante del Partito
Democratico.
Non regaliamo mai più alla destra il valore della
libertà.
Sarà decisiva poi la capacità di trovare
nuove forme di selezione della classe dirigente, proprio
perché oggi fuori dai partiti c’è
un mondo vitale che per molto tempo ha tentato di indicare,
a una politica tutta ripiegata a guardare il proprio
ombelico, la strada da seguire per ricominciare a guardare
avanti. Apriamo le orecchie, apriamo gli occhi, apriamo
le porte alle energie che sono al di fuori di noi.
Il problema, allora, non è tanto quello dei
pezzi che si perdono ma quello dei pezzi nuovi di elettorato
e di opinione pubblica che sapremo conquistare con una
nuova agenda politica.
Ma non ci vogliamo certo nascondere che siamo al Governo
del Paese e che la credibilità delle nuove politiche
che proponiamo per il futuro è inevitabilmente
legata alla coerenza dell’azione nel presente.
Ecco perché io credo che Margherita e Ds debbano
accentuare il loro profilo riformista, spingere, esigere
che Governo e maggioranza attuino alcuni punti chiave
della modernizzazione italiana. Non possiamo oggi limitarci
a dire: “Lo faremo domani , quando ci sarà
il Partito Democratico”.
Dobbiamo cominciare subito.
Federalismo fiscale, semplificazione del governo locale,
liberalizzazione dei servizi pubblici locali: sono le
riforme a cui sto lavorando.
Sono riforme che puntano ad avere servizi pubblici e
amministrazioni più efficienti e che ridimensionano
la presenza della politica e dei partiti negli apparati
burocratici, nelle istituzioni, nell’economia.
E’ questo il riformismo che viene chiesto dai
cittadini. Sono le riforme che il Centrodestra non è
stato capace di fare e che, per questo, sono alla base
della disillusione dei suoi elettori.
Sono le politiche che il Nord aspetta e che rispondono
ai bisogni e alle aspettative di quella nuova Italia
con cui il Centrosinistra fatica a parlare, a dialogare
e nei cui confronti, anzi, esprime spesso distanza e
talvolta disprezzo.
Ma sono anche riforme che cambiano la politica e che
per questo possono ridare ai cittadini un po’
di fiducia nel fatto che la politica e i partiti sanno
muoversi nell’interesse del Paese e non solo in
funzione del proprio tornaconto.
E lo stesso coraggio occorre nella ricerca, nell’istruzione,
nella sicurezza, nell’ambiente, nella tutela dei
nuovi deboli: risparmiatori e consumatori. Tutti temi
nei confronti dei quali siamo stati troppo timidi. E’
il coraggio di riformare il vero argine contro la nuova
ondata di antipolitica. Chi conterà nel Partito
Democratico? Chi avrà questo coraggio, chi saprà
esprimere idee, visione, proposte e, in quanto tale,
guiderà la definizione dell’agenda politica
e saprà essere punto di riferimento dell’Italia
nuova.
Non si fanno leadership a tavolino, o almeno non si
fanno più contando quanto valgono i pacchetti
delle tessere. La leadership si gioca sulle idee, sulla
capacità di parlare all’Italia che oggi
non si sente rappresentata dalla politica. Così
come ha saputo fare in questi anni la Margherita nel
centrosinistra e anche nel rapporto con i Ds, interagendo
e coinvolgendo tutte le forze dell’economia e
della società: senza soggezione, con trasparenza,
senza collateralismi, nel pieno rispetto delle regole
e dei ruoli di ciascuno. Rinunciando a questa nostra
freschezza di idee, alla leggerezza che ci viene dal
non avere zavorre ideologiche o di altra natura, rischieremmo
di adattarci ad una vecchia logica di potere e di gestione
dell’apparato che ci vedrebbe perdenti. In questo
caso la Margherita, oltre ad essere inevitabilmente
subalterna, si assumerebbe la grave responsabilità
di concorrere al fallimento strategico del progetto.
Se invece conteranno le idee, allora conteranno anche
i giovani e le donne che saranno portatori di innovazione
culturale e anche di un approccio diverso alla politica:
più concreto, più pragmatico, più
determinato. Ma perché ciò avvenga non
basta dire “mettiamo più ventenni e mettiamo
più donne”. Certo, il dato quantitativo
è importante; perché non possiamo nasconderci
che i numeri della presenza femminile nella politica
italiana sono i numeri di una vera e propria emergenza
democratica. Lasciamo perdere il confronto con i Paesi
scandinavi. Ormai è impietoso il parallelo anche
nei confronti di nazioni con tradizioni meno distanti
dalla nostra. Su questo lo Statuto del nuovo Partito
dovrà dettare regole chiare e paritarie.
Ma le quote non bastano. Perché starà
poi ai giovani e alle donne non subire logiche di mera
cooptazione, non farsi risucchiare dagli schemi tradizionali
della politica, ma affrancarsi dai loro tutori.
E noi donne dovremo vincere anche in politica il “complesso
di Cenerentola” e giocare senza paura una partita
in proprio. Per il Partito Democratico, puntare sulle
donne sarebbe il modo più diretto e più
eloquente per dire che è nato davvero qualcosa
di nuovo. Ma anche qui: sta alle donne prendere coraggio
e avere più fiducia in se stesse. I nuovi metodi
di partecipazione alla vita democratica dei partiti,
le primarie su tutti, dovranno essere l’occasione
per fare questo salto: primarie vere e con tante donne,
anche per la leadership.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|