320 - 02.05.07


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Anna e Rosy, pronte
per la leadership

Elisabetta Ambrosi


Alla domanda su chi sarà, tra i tanti nomi, il leader del futuro partito democratico Anna risponde ridendo: “Questi dibattiti mi ricordano certe primitive indagini sul sesso del nascituro: pancia tonda è femmina, pancia a punta allora è maschio”. Sarà, ma non erano in pochi a sostenere che il “ventre” del Nelson Mandela forum avesse una forma leggermente tondeggiante. L’appellativo di “nouvelle Ségolène” serpeggiava nella tre giorni toscana, animato dagli usuali commenti sull’età (“in fondo ha due anni di meno di Ségò”), il look (“altrettanto impeccabile e indicatore di una forte personalità: colori netti, rosso, nero, blu, argento”). Ci hanno scommesso pure gli editorialisti de “La Stampa”, che in una simulazione di voto hanno messo come leader di testa Anna Finocchiaro (con 77 voti), prima di Veltroni (76), Bersani (67) e D’Alema (62).

Grande avversaria delle quote rosa (ma solo perché auspica una società dove giovani e donne siano presenti ben al di là delle quote a loro destinate), la senatrice capogruppo dell’Ulivo al Senato ammette che una futura leader donna del Pd avrebbe effetti benefici sull’intera società: “Sono convinta”, ha dichiarato in una intervista, “che tutto quello che accade di positivo che riguardi il protagonismo femminile è importante, perché ha un effetto simbolico sulle altre, anche su quelle che di politica non si occupano”.

E non è un caso, allora, che, come in un gioco di specchi e di rimandi – quello che c’è stato tra i due congressi Ds e Margherita, accavallati l’uno sull’altro – sia stata la stessa Finocchiaro a chiamare in ballo nella sua applauditissima relazione un altro nome, quello di Rosy Bindi, descritta dalla senatrice Ds come colei che, a differenza di molti all’interno del suo partito, ha saputo dare testimonianza di laicità. Il fascio di luce si è spostato così da una all’altra, tanto da spingere l’intelligente direttore Anselmi a occupare interamente la copertina de “La Stampa” di domenica 22 aprile con tre foto: la candidata socialista alle presidenziali francesi, ovviamente, ma soprattutto Bindi e Finocchiaro.

E allora, “Forza Rosy, forza Anna”. Eppure, non potrebbero avere storie politiche così diverse. Cresciuta la prima in Toscana, formatasi nell’Azione cattolica (di cui è stata vicepresidente) e nel clima conciliare, del quale non intende (fortunatamente) liberarsi come tanti altri cattolici in circolazione, comincia a fare politica nel 1989 – dopo l’esperienza traumatica dell’uccisione di fronte ai suoi stessi occhi di Vittorio Bachelet – prima con la Democrazia cristiana, poi con il Partito popolare, infine nell’Ulivo. È stata un’energica ministra della Salute, riuscendo a varare, nonostante le resistenze di una delle corporazioni più potenti d’Italia – quella dei medici – la riforma del Servizio sanitario nazionale (un’avventura che ha raccontato nel bel libro La salute impaziente).

Una storia ben diversa quella di Anna, anzitutto per il luogo di nascita, la Sicilia. E soprattutto per la scelta della militanza politica, la sezione del Pc (cui si iscrive a soli 18 anni) Ruggero Greco di Catania, definita da molti un “club aristocratico di intellettuali ingraiani”. Il padre giudice, che difende i contadini in nome della Costituzione, lei che diventa magistrato sulle sue orme, per poi essere eletta prima nel 1987 tra le file del Pci, poi con i Ds. Come la Bindi, anche la Finocchiaro è stata ministra, sempre durante il primo governo Prodi, delle Pari opportunità.

Due diverse appartenenze, dunque, entrambe tuttavia segnate da quei travagli storici che hanno caratterizzato il passaggio dalla prima alla seconda repubblica e dalla fine (seppure differita) della Dc da un lato e del Pci dall’altro. Due esperienze che cominciano a camminare insieme già con l’Ulivo, poi con la Lista unitaria, infine ora, nel nascente Partito democratico.
È per questo che, salendo sul palco, la loro convergenza salta agli occhi. Impressionante, su tutti, la comune soluzione al tema della laicità che ha spinto Maria Serena Palieri sull’”Unità” del 23 aprile a scrivere: “La laicità è donna”, esaltando l’improvviso exploit sulla scena pubblica di queste due possibili leader capaci di “scaldare gli animi” e soprattutto riportare sul tappeto le questioni centrali della riforma della politica e del rapporto tra Stato e religione.

Nel suo intervento, la Bindi ha difeso la laicità contro il clericalismo, e lo ha fatto con un vigore quasi da radicale. Ha rifiutato l’indifferenza ai valori, certo, ma soprattutto criticato ogni forma di imposizione degli stessi, ogni non possumus, ogni pretesa di trasferire le regole morali nella legge civile e di usare la legge civile per difendere quei valori. Ha ricordato come non ci può essere contraddizione tra i diritti della persona e i diritti della famiglia, perché “più famiglia non potrà mai voler dire meno persona e viceversa”. E, infine, ha auspicato una sintesi tra valori diversi, che nasca da una continua messa in gioco, anche rischiosa, delle proprie credenze, specie per i cattolici.

A sua volta, dal palco del Nelson Mandela, dopo aver tuonato contro un paese vecchio e fermo, dove finisce per vincere l’antipolitica, e dopo aver invocato il nodo della rappresentanza e la necessità di una nuova legge elettorale, la senatrice Ds è arrivata – passando per parole come lavoro, diritti, uguaglianza, cittadinanza, opportunità, modernità e competizione – dritta dritta al tema della questione etica. E ha ammesso: “La nostra cultura politica da sola non basta”. Occorre, ha detto la capogruppo al Senato, aprirsi al socialismo, al liberalismo, al femminismo ma soprattutto al cattolicesimo democratico, perché “abbiamo fame di parole nuove, perché da soli non ce la facciamo”. La laicità allora non è un discrimine, al contrario, ma è qualcosa che ci unisce.

Rosy e Anna sui temi dell’etica convergono con naturalezza, nonostante la Finocchiaro sia stata spesso in passato irremovibile su certi temi, convinta com’era della necessità di un partito socialista e laico. Eppure sui Dico la loro posizione è stata identica: critiche alla Chiesa per un’ingerenza giudicata inammissibile, declino di partecipare al Family Day ma anche, per neutralità, ad opposte manifestazioni gay. E se su temi così delicati l’intesa c’è, figuriamoci sulle riforme sociali, la cui strada è, al di là del nodo delle risorse, assai meglio tracciata.


Perché non puntare tutto su un ticket rosa, allora? Chissà. A noi basta che dalle urne delle primarie (se ci saranno) esca almeno un tailleur, una borsa grande e capace di contenere le cose più diverse (proprio come quelle femminili) e occhi attenti per guardare con tenerezza a tutte quelle istanze di riconoscimento che la società civile chiede e che una politica quasi tutta al maschile, ostinatamente, ignora.

 

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