La riforma
della televisione si può fare, chiedete a Zapatero.
Basta prendere in considerazione il buon proposito fin
dalla campagna elettorale e portarlo avanti una volta
al governo.
“Il programma elettorale di Zapatero conteneva
molto di ciò che pensava sulla televisione”
dice Manuel Palacio Arranz, tra i maggiori studiosi
spagnoli di comunicazione e tv. “Voleva regolare
le cose nel servizio pubblico, voleva risolvere il problema
del debito e in secondo luogo voleva che la tv spagnola
fosse uno spazio lontano dalle pressioni politiche e
che nel complesso fosse migliore, che ci fosse meno
tele-spazzatura”.
Di fronte a una platea di esperti e studenti, Palacio
Arranz ha svolto una lezione nell’ambito del Master
in Professioni e Formati della Televisione e della Radio
contemporanee, presso l’Università Roma
Tre, ed è andato a centrare proprio uno di quei
tasti che in Italia è da tempo dolente: la tv
di servizio pubblico e i suoi rapporti con la politica.
Le parole del professore spagnolo hanno un sapore del
tutto particolare, perché ci portano l’esempio
del suo paese, dove il cambiamento ha preso con decisione
la via annunciata nella campagna elettorale. Allora
infatti, Zapatero
aveva fatto curiosamente della riforma del sistema radiotelevisivo
uno dei punti forti del proprio programma, ciononostante,
dice Palacio: “Tutti in Spagna credevano che fossero
cose che si dicono in campagna elettorale, ma nessuno
pensava che Zapatero vincesse. E invece ha vinto e cosa
che è più importante, si è messo
a fare le cose che effettivamente aveva preannunciato”.
E così, spiega il professore, il premier si è
impegnato a mettere in atto una ristrutturazione della
televisione di stato seguendo un filo conduttore che
ha segnato la storia moderna e contemporanea della Spagna,
quello per cui “il fenomeno televisivo si converte
in fatto sociale”.
Già negli anni della fine del regime franchista,
la tv spagnola aveva svolto un ruolo fondamentale per
l’emancipazione della società, grazie alla
diffusione di quei principi democratici che hanno permesso
il passaggio da uno spazio pubblico dittatoriale a uno
spazio pubblico democratico. Così come in passato,
nella proposta di riforma televisiva di Zapatero, torna,
in maniera originale, il legame tra media e società.
Il progetto di riorganizzazione del sistema pubblico
è stato infatti affidato a “cinque saggi”,
la cui composizione inusuale ha destato qualche polemica
e perplessità: tre cattedratici di filosofia,
uno di lingua e uno di comunicazione audiovisiva. Quattro
di loro non erano assolutamente esperti di tv e uno
addirittura non aveva nemmeno un televisore in casa.
Tuttavia, ha sottolineato Palacio, è importante
ciò che queste stesse persone hanno affermato:
“Noi non sappiamo di economia, ma sappiamo della
vita e della cultura”.
Vita e cultura erano proprio le parole che Zapatero
voleva riportare nel servizio pubblico spagnolo, per
evitare che si riducesse ad un partito politico e per
far in modo che si trasformasse nella televisione di
tutti i cittadini.
L’esito dei lavori dei “saggi” è
diventato una proposta di legge, entrata effettivamente
in vigore dal gennaio 2007. Tra i primi effetti della
riforma si segnalano una cospicua riduzione della tele-spazzatura,
anche se la percezione degli spagnoli stenta a mutare
e i cittadini credono che ce ne sia ancora troppa, insieme
ad una completa ristrutturazione della televisione pubblica.
“Io ti pago il debito e tu ricominci da zero”,
con questa formula il professore ha efficacemente riassunto
la strategia di profondo rinnovamento dell’organico
che il governo ha imposto all’attuale Corporación
de Radio Televisión Española in cambio
della copertura del pesante deficit che l’emittente
pubblica aveva contratto. Un altro aspetto della riforma
è stata la soppressione di alcuni centri di trasmissione
territoriale della televisione di stato spagnola, che
ha creato non poche proteste nelle regioni in cui non
esistono strutture televisive autonome da quella pubblica.
Così, ha aggiunto Palacio, oltre alla riorganizzazione
della tv di stato, “in appena due anni il governo
Zapatero ha cambiato il paesaggio audiovisivo spagnolo,
lo ha aperto all’entrata di due nuovi operatori
e ha messo in funzione il digitale terrestre. L’effetto
è stato che questo paesaggio risulta ora molto
più frammentato di prima”, anche grazie
all’indipendente proliferare delle emittenti autonome
presenti nelle diverse Comunità del paese. I
risultati concreti del cambiamento devono ancora arrivare,
ma, sul fronte della tv pubblica, un buon punto di partenza
è stato rappresentato dall’accordo raggiunto
tra il Psoe e il Pp nella nomina del nuovo direttore
generale.
Quest’ultimo ha affermato in maniera decisa: “In
caso di problemi, più giornalismo”, una
prospettiva che per Palacio è forse parziale,
ma che certamente dimostra che il direttore “sembra
avere le idee chiare su come lavorare per potenziare
i servizi informativi della tv spagnola perché
siano il marchio distintivo per cui la gente riconosce
il servizio pubblico”.
Il professore di Madrid ha concluso l’intervento
ricordando che il profilo sociale della riforma della
televisione pubblica non si esaurisce soltanto nel modo
in cui è stata pensata e negli obiettivi sui
quali è stata informata, ma si riflette anche
nell’azione di una delle persone che più
hanno marcato la sua realizzazione. Come ha suggerito
Palacio, “a certi livelli, il vero cuore del cambiamento
del governo Zapatero non è Zapatero stesso, ma
la vice presidente María Teresa Fernández
de la Vega”, che è stata “la persona
chiave dal punto di vista del cambiamento sociale, delle
novità che incorpora il governo Zapatero nel
contesto europeo”.
La vice presidente è stata infatti incaricata
di portare avanti lo sviluppo legislativo che si riferisce
alla trasformazione del sistema audiovisivo, dopo essere
stata la referente del governo nel confronto con i “cinque
saggi” ed aver curato le relazioni con la ex direttrice
della tv spagnola.
Così, María Teresa Fernández de
la Vega, che rappresenta il prodotto vivente delle leggi
di discriminazione positiva nei confronti delle donne,
ci mette di fronte agli occhi contemporaneamente il
frutto di un cambiamento sociale e il suo riflesso sulla
vita politica attuale, facendosi portatrice della necessità
di prendere in considerazione le istanze femminili nella
ristrutturazione della televisione pubblica.
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