Mangiare,
bere, amare, credere. Questo si incontra se si fa l’esperimento
di ridurre al minimo il tratto coercitivo del termine
“normale”, prima che si trasformi in una
piattaforma di esercizi per definire ciò che
vogliamo e ciò che non vogliamo. Né mangiare
né bere, né amare né credere sono,
in Cecenia, cose normali. Il resto,
poi, è affidato al capriccio di pochi, e raramente
si struttura in base a principi di non violenza. La
fragilità di un presunto vivere “normale”
si rivela, dentro i confini delle isolate repubbliche
nordcaucasiche,
nella tenacia con cui il Cremlino ha voluto imporre
la strategia della “normalizzazione”. Piú
quest’ultima si imponeva, meno la normalità
mostrava il suo volto umano.
Cominciamo dalla storia: il termine “normalizzazione”
è stato coniato dagli spin doctor del
presidente russo Vladimir Putin nel 2001, ed è
stato sempre utilizzato per avvalorare la tesi della
fine della guerra e la ripresa della ricostruzione.
Solo che ogni volta ne succedeva
una, e la parola, faticosamente tenuta su dalla politica,
cadeva con regolarità sotto i colpi degli accadimenti
reali. Il 23 ottobre 2002 – quando la “normalizzazione”
aveva da poco compiuto il primo anno di vita –
un commando ceceno fa irruzione nel teatro moscovita
della Dubrovka, minacciando di farlo saltare in aria
insieme ai 700 spettatori tenuti in ostaggio, se le
truppe
russe non si fossero ritirate dalla Cecenia. Un blitz
delle teste di cuoio russe armate di gas tossici
la cui composizione non è mai stata resa nota
scattò all’alba del 26 ottobre. Il bilancio
ufficiale fu di 50 morti tra i terroristi e di 129 tra
i civili. Di questi 125 non hanno
retto agli effetti dei gas.
Si torna a parlare di normalizzazione nel marzo 2003,
con la decisione di Putin di convocare un referendum
per l’adozione della Costituzione e per approvare
la successiva convocazione di elezioni presidenziali
prima e legislative poi. Nel gennaio 2004 persino Colin
Powell, allora Segretario di Stato degli Stati Uniti,
impegnati a 360 gradi nella lotta al terrorismo, dichiara:
“La Cecenia fa parte della Russia e la soluzione
del problema è una questione interna alla Federazione
Russa”.
Forte anche del sostegno politico internazionale, la
normalizzazione sembrava riprendere quota, ma il primo
settembre 2004 la scuola n. 1 di Beslan, cittadina del
Nord Ossezia, al confine con la Repubblica d’Inguscezia,
viene assaltata da un commando composto da guerriglieri
ceceni e ingusci. Per quattro giorni 32 terroristi hanno
tenuto sotto sequestro 1.200 persone. Il caotico intervento
delle forze speciali russe, in una piazza che per giorni
aveva covato rabbia e
raccolto armi – al punto che chiunque, al momento
del blitz, era armato fino ai denti –
non è servito a impedire un bagno di sangue:
331 morti, di cui 186 bambini.
Dopo Beslan ci vorrà un po’ prima di tornare
a parlare di normalizzazione, ma succede di nuovo, succede
alla fine del 2005, per la precisione il 23 novembre,
giorno delle elezioni del primo parlamento ceceno, al
termine delle quali sale ufficialmente al potere, in
qualità di premier, Ramzan Kadyrov, figlio spregiudicato
del già
spregiudicato Akhmad. Quest’ultimo, lo ricordiamo,
era presidente quando venne ucciso in un attentato il
9 maggio 2004, mentre si trovava allo stadio di Grozny
per presenziare ai festeggiamenti nazionali del Giorno
della Vittoria.
Ecco, fino a oggi, stando così le cose, la normalizzazione
è ancora in corso, ma siccome quando si parla
di Cecenia bisogna sempre tenere presente che la ripetizione
dell’identico ha comunque il carattere
di una sorpresa, dell’accadimento impreveduto,
teniamo a mente il tratto allo stesso tempo fragile
e robusto della normalizzazione, ovvero la sua capacità
di essere disintegrata dalla potenza degli eventi –
ahimè per lo più sanguinosi – e
di rinascere dalle ceneri tale e quale.
Dalla fine della cosiddetta prima guerra cecena, nel
1996, sono confluiti da Mosca a Grozny circa 2 miliardi
di euro per finanziare la ricostruzione. Dal momento
che poi c’è stata anche la seconda guerra
cecena (1999-2002) buona parte di quei soldi si sono
persi o
sono stati investiti in armi. Oggi Grozny si presenta
come una città che, fatta eccezione per la piazza
dedicata ad Akhmad Kadyrov e per le facciate del corso
principale – ripitturate di fresco pochissimo
tempo fa – porta ancora intatti i segni delle
passate distruzioni. Le strade sono sterrate o dissestate,
i palazzi abitati sono crivellati di colpi e parzialmente
sventrati, mentre di quelli abbandonati non
resta che l’intelaiatura. Le persone sono costrette
a camminare tra mucchi di macerie, rifiuti, acquitrini
maleodoranti.
Tra le iniziative prese da Ramzan Kadyrov subito dopo
la sua nomina a premier da parte del Cremlino –
prima era soltanto vice, ma dalla morte del padre il
potere in Cecenia è stato sempre e soltanto in
mano sua – c’è stato l’annuncio
del programma di ricostruzione.
Ha cominciato facendo un inventario dell’esistente:
a
Grozny ci sono 1.935 case distrutte tra abitazioni private
e del comune, e di queste il 33% non sono ricostruibili,
perché sono state rase al suolo o troppo gravemente
lesionate (si parla di 2.500.000 m2
inagibili). Kadyrov ha promesso che entro il 2010 strade,
case e tubi saranno a posto, e già dalla fine
del 2007 i nuovi appartamenti saranno pronti a ricevere
gli abitanti di Grozny.
Si rende necessaria, a questo punto, una breve parentesi
sul tema della kompensazia, ‘compensazione’,
che affligge gli abitanti della Cecenia peggio di una
febbre malarica. Alla fine della seconda guerra, il
Cremlino avviò un progetto di risarcimento per
chi aveva perduto la propria casa. Si trattava di definire
il valore della casa prima della distruzione, dopodiché
presentare domanda agli uffici ceceni
competenti, riempire una serie di formulari, pagare
in termini di tempo e sfinimento il proprio tributo
alla burocrazia e infine ottenere i soldi della compensazione
da investire nella nuova casa. Senza pretendere di trarre
conclusioni universali, posso dire di non avere incontrato
una sola persona che abbia ricevuto i soldi della kompensazia
in maniera regolare.
I più fortunati sono riusciti a vedere soddisfatta
la loro richiesta per un terzo, ma la maggior parte
ha dovuto utilizzare l’intera som- ma per corrompere
i funzionari che erano preposti al rilascio della
medesima. Lidia, un’anziana signora incontrata
nel treno Mosca-Grozny, ha raccontato di aver speso
metà della sua kompensazia prima ancora
di averla ottenuta: “Era il prezzo che bisognava
pagare agli impiegati che si occupavano dei risarcimenti
“. Alla fine, dei 10.000 euro che le erano stati
assegnati, ne ha ottenuti 4000. “E che casa ci
ricostruisco con quella cifra?” Lidia si considera
fortunata, perché i suoi vicini, che grazie ad
alcune conoscenze erano riusciti nella straordinaria
impresa di non scucire neanche un rublo per ottenere
ciò che era loro dovuto, non avevano fatto in
tempo a entrare nella nuova casetta che già qualcuno
– nottetempo – aveva pensato ad appiccarvi
il fuoco.
Tornando ai progetti di ricostruzione, due sono le
cose: o si riproporrà una nuova versione del
problema della kompensazia, oppure Ramzan farà
il miracolo e la Cecenia diventa un paese normale per
davvero. Mosca ha già confermato che il suo impegno
finanziario
sarà di circa 22 milioni di euro in un’unica
soluzione, più un contributo annuale a partire
dal 2006 di altri 15. Tra le prime cose promesse al
popolo ceceno da Kadyrov jr. ci sono un business
center e un grande centro amministrativo: 12 ettari
per palazzo presidenziale, palazzo del governo, palazzo
del parlamento più giardino, albergo e uno stadio.
Costo complessivo, circa 45 milioni di euro, che ancora
non si sa da dove dovrebbero provenire.
A dimostrazione che la normalità è una
questione di punti di vista, in un’intervista
al quotidiano russo Moskovskj Komsomolets nel
maggio 2006 Ramzan Kadyrov ha offerto anche qualche
dato sulle potenzialità del sistema bancario
ceceno, il quale evidentemente prospera anche in assenza
di negozi che non siano sudice tavole ingombre di povere
merci, di ristoranti, di bar, di imprese edili o altre
forme di attività continuative. La banca cecena
Rosselkhozbank avrebbe infatti trentamila clienti, e
in cinque anni avrebbe rilasciato crediti per la somma
di 1 miliardo di rubli, quasi 30 milioni di euro. Ci
sarebbe stato anche un raddoppio delle entrate fiscali
(8 miliardi di rubli nel 2005, due volte di più
del 2004)* e sarebbero in vista anche investitori dall’estero,
in particolare dalla Cina. Non si capisce però
come i cinesi dovrebbero raggiungere la capitale cecena,
visto che l’aeroporto di Grozny – reso inagibile
nel 1999 da una pioggia di bombe – non è
mai più stato riaperto.
*Le cifre e i numeri che riguardano la Cecenia sono
molto piú vicini alle opinioni che ai fatti.
In assenza di istituti e organizzazioni indipendenti
che si occupino
di monitorare, registrare e raccogliere i dati, non
resta che attenersi alle cifre ufficiali prodotte dal
Cremlino o dall’amministrazione Kadyrov. E tenere
gli altri sensi ben svegli – la vista soprattutto
– quantomeno a misurare macroscopiche incongruenze.
Questo testo è tratto dal libro di Francesca
Sforza
Mosca-Grozny: neanche un bianco su questo treno.
Viaggio nella Cecenia di Vladimir Putin
Presentazione di Enzo Bettiza
Salerno Editrice, 2007, pag.137, euro 12,00.
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