Una luce
rossa si alza da Strasburgo verso la Cecenia. E’
quella del Comitato per la prevenzione della tortura
(Cpt) del Consiglio d’Europa, che ha emesso verso
il governo di Grozny un richiamo pubblico ufficiale
per porre gli occhi della comunità internazionale
di fronte a una situazione giudicata inaccettabile.
Il sospetto che in alcuni luoghi si eseguano attività
di tortura e detenzione illegale, al di fuori di ogni
rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, è
assai fondato; e visto che le autorità russe
hanno dimostrato scarsa collaborazione con le autorità
di Strasburgo, è scattato il public statement:
“una misura straordinaria utilizzata dal Comitato
per la prevenzione della tortura cinque volte dall’89
a oggi”. Sono parole di Mauro Palma, presidente
del Cpt di Starsburgo, che spiega: “Dopo ogni
vista in un paese, il comitato redige un rapporto confidenziale
per le autorità nazionali, ogni atto rimane riservato
finché il paese interessato non chiede espressamente
una pubblicazione”. Quando però ci sono
posizioni di ostruzionismo o di non collaborazione da
parte dei governi in questione, allora il Cpt può
eccezionalmente rompere il vincolo di riservatezza e,
dopo aver informato le autorità interessate e
aver dato loro la possibilità di avanzare obiezioni,
se una maggioranza qualificata dei due terzi del consiglio
vota a favore, allora produce un public statement.
“In quasi 20 anni di attività – continua
Palma – il Cpt ha spesso minacciato di emettere
un richiamo pubblico, ma delle cinque volte cui vi ha
fatto ricorso, tre erano destinate alla Cecenia”.
Dopo il 2001 e il 2003 arriva il terzo richiamo che
si rivolge a Grozny, e vista la situazione, il Cpt ha
pubblicato “un testo che – spiega ancora
Palma – non si limita a raccontare i fatti che
destano preoccupazione, a sottolineare gli elementi
di non collaborazione delle autorità con gli
osservatori del Comitato, ma ha anche allegato le pagine
del rapporto e le risposte russe, in modo tale da testimoniare
e documentare in maniera chiara ed immediata i motivi
della decisione”.
Che cosa, in particolare ha spinto il Cpt a
emettere il public statement verso la Cecenia?
Tre sono gli elementi di particolare gravità
rilevati: l’ambiguità di un centro di investigazione
criminale a Grozny chiamato Org 2, la presenza di luoghi
illegali di detenzione, e l’inaccuratezza e l’inefficacia
delle indagini svolte dalle autorità russe rispetto
a tutte le violazioni rilevate e segnalate dal Cpt.
In altre parole, di fronte alle segnalazioni di episodi
di maltrattamento e di detenzione illegale, abbiamo
riscontrato indagini di polizia che non corrispondono
ai parametri di efficacia, indipendenza e rapidità
stabiliti dalla Corte Europea di Strasburgo.
Che cosa intende quando parla dell’ambiguità
di Org 2, un centro di investigazione criminale?
Org 2 è un centro di Grozny in cui si svolgono
attività di investigazione e di indagine, come
ad esempio interrogatori a persone sospette. Molte Ong
e lo stesso Cpt hanno più volte riportato che
durante gli interrogatori possano aver avuto luogo maltrattamenti
e torture e già nel public statement
del 2003 avevamo fatto esplicita richiesta affinché
le autorità russe operassero per non far ripetere
simili episodi. Inoltre al piano terra dell’edificio
vi è un luogo di detenzione (che non dovrebbe
essere nella sede di un’attività investigativa);
abbiamo riscontrato numerose denunce, credibili e documentate,
di persone che sostengono di essere state trasportate
nottetempo, e al di fuori da ogni termine legale, dal
piano terra ai piani superiori per forme di interrogatori
durante il quale c’è grosso rischio che
siano avvenuti maltrattamenti e torture. Abbiamo allora
chiesto di mettere uno sbarramento che separasse le
due strutture, quella detentiva e quella per gli interrogatori,
in modo tale che lo spostamento di un detenuto comportasse
almeno un documento di registrazione che dimostrasse
l’avvenuto interrogatorio e limitasse l’ambiguità
di questa situazione; lo sbarramento realizzato è
stato giudicato insoddisfacente. Abbiamo allora chiesto
di spostare altrove il luogo di detenzione, ma questo
non si è ottenuto e continuano ad arrivarci denunce
di persone maltrattate e torturate a Org 2, dove ha
luogo un’ambigua commistione tra detenzione e
forme improprie di interrogatori.
Nel rapporto si parla anche di luoghi illegali
di detenzione.
Molte persone denunciano di essere state detenute nelle
stazioni di polizia prima di una formalizzazione dell’arresto.
Nel documento sono nominate in particolare tre di queste
situazioni. Una nel villaggio di Tsentoroy dove ci sono
i quartieri generali della cosiddetta guardia presidenziale,
che era addetta alla sicurezza dell’ex presidente
Kadyrov assassinato anni fa e padre dell’attuale
presidente, una specie di corpo di protezione personale;
un altro di questi luoghi è in una base militare
a Vostok; il terzo nella periferia di Gudermes, in un’altra
base di corpi speciali di polizia.
Quando abbiamo visitato questi tre luoghi, abbiamo visto
locali che durante la nostra presenza non erano adibiti
a celle, ma sui muri si notavano iscrizioni che lasciano
chiaramente supporre che alcune persone vi erano state
detenute; inoltre la struttura architettonica dei luoghi
corrispondeva esattamente alla descrizione fornita dalle
persone che noi avevamo intervistato e che dicevano
di essere stati lì prigionieri. Abbiamo chiesto
adeguate indagini da parte della procura russa e, ancora
una volta, il risultato ottenuto è stato giudicato
dal Cpt insoddisfacente, ossia non c’è
stata alcuna indagine.
Ora che tipo di reazione si aspetta da parte
delle autorità russe e dalla Repubblica cecena?
Mi aspetto una risposta positiva. È vero che
un public statement non è gradito a
nessuno stato e quindi una prima risposta sarà
certamente di negazione e sorpresa, però è
anche vero che il public statement non è
un provvedimento contro gli stati, ma serve a dare un
contributo alle autorità che vogliono cambiare
alcune cose per spingere sulle forze locali affinché
queste cose vengano cambiate, è una specie di
sostegno a chi vuiole sollecitare il cambiamento e migliorare
la situazione, è uno strumento per fare pressione
e affermare che la comunità internazionale ha
gli occhi puntati su queste realtà fuori controllo.
È un contributo, non un giudizio.
Questo è il quinto public statement
emesso dal Cpt, il terzo verso la Cecenia, mentre gli
altri due erano stati rivolti alla Turchia. Se si arriva
ad emettere tre dichiarazioni verso lo stesso paese,
non si ha la sensazione che questo provvedimento sia
in qualche modo ignorato da coloro che invece dovrebbero
esserne colpiti? Forse l’efficacia di una simile
misura non è presa in seria considerazione da
governanti che operano in realtà assai lontane
dal rispetto dei diritti umani, anche dei più
elementari?
Questo rischio esiste. Ma se guardiamo ai primi due
public statement emessi verso la Turchia nel
’92 e nel ’96 è innegabile che vediamo
oggi realizzate molte condizioni che erano enunciate
in quei documenti. Certo, la spinta ad entrare in Europa
ha giocato un ruolo molto importante, ma sta di fatto
che mentre prima del ’92 si poteva essere incarcerati
anche per un mese intero prima di veder formulata e
formalizzata una vera e propria accusa, oggi questo
non accade più e i termini legali in Turchia
sono assolutamente equiparabili a quegli di altri paesi
europei. Altra cosa è poi vedere come questi
termini trovano applicazione, ma un cammino è
stato fatto.
Per quel che riguarda la Cecenia, arrivare al terzo
public statement è un segno di nostra
debolezza, ma va detto che il primo è stato emesso
nel luglio 2001 e dopo l’11 settembre l’attenzione
internazionale verso i temi della tutela delle persone
arrestate è di molto diminuita e l’efficacia
del provvedimento ha subito un ridimensionamento.
Nel 2003 abbiamo pubblicato il secondo public statement
che nella sostanza replicava quello del 2001. Da allora
molti aspetti contenuti nel documento sono migliorati,
come ad esempio alcune strutture di detenzione che competono
al ministero della Giustizia; quest’ultimo statement,
invece, si rivolge a tematiche che riguardano il ministero
dell’Interno e alcune forze di polizia. Da un
lato esiste un elemento di intrinseca debolezza nel
dover riproporre lo stesso strumento, dall’altro
però ho una moderata fiducia che l’ultimo
public statement sia preso nella giusta considerazione.
Ha parlato della Turchia accennando a come
la prospettiva europea abbia giocato un ruolo importante
nel sollecitare alcune riforme. E’ un ragionamento
valido anche per altre realtà? Possiamo dire
che la prospettiva di far parte dell’Ue spinga
verso la democrazia?
Un "effetto Europa" esiste, la prospettiva
europea è, quanto meno, un grande incentivo a
rivedere la struttura legislativa e a introdurre una
diversa autonomia degli operatori. Ad esempio sono molti
i programmi europei per una milgiore formazione iniziale
e in servizio degli operatori di polizia. Poi però
rimangono i problemi tra ciò che è normativamente
definito e ciò che nella pratica si realizza:
non basta siglare un nuovo codice di procedura penale
affinché certe pratiche vengano abolite e superate.
Quali aree geopolitiche giudica maggiormente
a rischio dal punto di vista dei diritti per i detenuti?
Le zone critiche sono diverse e abbastanza note, conflittuali.
Penso al Caucaso, a molte realtà nei Balcani
e a territori di cui si sa poco e che sfuggono al controllo
di autorità che ne hanno istituzionalmente la
giurisdizione; tra queste mi vengono in mente la Transnistria
rispetto alla Repubblica di Moldova, l’Abkhazia
rispetto alla Repubblica di Georgia, il Karabakh rispetto
all’Azerbaijan.
Ma ad essere sincero sono preoccupato anche da tante
realtà occidentali che sembrano essere immuni
da rischi ma, se andiamo a leggere con attenzione la
situazione, vediamo numeri alti di detenzione, enfasi
antiterroristica, idea di inseguire il consenso con
misure sempre più repressive in nome della sicurezza.
In tali condizioni alcune culture non rispettose dei
diritti fondamentali possono risvilupparsi e ridiffondersi,
soprattutto in paesi che pensano di avere acquisito
tutto e che spesso sono sotto minore osservazione.
Si riferisce anche all'Italia quando parla
di realtà occidentali? Come giudica la situazione
del nostro sistema carcerario?
Vedo in Italia un segno molto negativo nell’enfasi
che, ogni volta che si parla di un crimine commesso,
viene data al fatto che le persone accusate abbiano
o meno beneficiato dell’indulto. L’indulto
non è certo una misura che può stabilmente
far parte di una politica carceraria, ma è stato
un atto eccezionale reso necessario da una situazione
drammatica. Ora, chiedersi sempre se una persona che
oggi commette un crimine sia stato indultato, è
un atteggiamento che reputo stupido perché chi
ha beneficiato dell’indulto sarebbe comunque uscito
di prigione di lì a poco. In ogni caso è
un atteggiamento che non tiene conto del fatto che il
tasso di recidiva tra gli indultati è di oltre
sette/otto volte inferiore a quello che si riscontra
nelle statistiche tradizionali. Infine, è un
atteggiamento che, nell’opinione pubblica, pone
in conflitto la tutela dei diritti delle persone recluse
con la sicurezza dei cittadini all’esterno delle
carceri: se vogliamo affrontare e risolvere le difficoltà
di un sistema sociale, questi due elementi ci appariranno
convergenti, e metterli in conflitto non fa che distruggere
una cultura condivisa.
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