319 - 17.04.07


Cerca nel sito
Cerca WWW
Allarme tortura,
Strasburgo alza la voce

Mauro Palma con Mauro Buonocore


Una luce rossa si alza da Strasburgo verso la Cecenia. E’ quella del Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa, che ha emesso verso il governo di Grozny un richiamo pubblico ufficiale per porre gli occhi della comunità internazionale di fronte a una situazione giudicata inaccettabile.
Il sospetto che in alcuni luoghi si eseguano attività di tortura e detenzione illegale, al di fuori di ogni rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, è assai fondato; e visto che le autorità russe hanno dimostrato scarsa collaborazione con le autorità di Strasburgo, è scattato il public statement: “una misura straordinaria utilizzata dal Comitato per la prevenzione della tortura cinque volte dall’89 a oggi”. Sono parole di Mauro Palma, presidente del Cpt di Starsburgo, che spiega: “Dopo ogni vista in un paese, il comitato redige un rapporto confidenziale per le autorità nazionali, ogni atto rimane riservato finché il paese interessato non chiede espressamente una pubblicazione”. Quando però ci sono posizioni di ostruzionismo o di non collaborazione da parte dei governi in questione, allora il Cpt può eccezionalmente rompere il vincolo di riservatezza e, dopo aver informato le autorità interessate e aver dato loro la possibilità di avanzare obiezioni, se una maggioranza qualificata dei due terzi del consiglio vota a favore, allora produce un public statement. “In quasi 20 anni di attività – continua Palma – il Cpt ha spesso minacciato di emettere un richiamo pubblico, ma delle cinque volte cui vi ha fatto ricorso, tre erano destinate alla Cecenia”.
Dopo il 2001 e il 2003 arriva il terzo richiamo che si rivolge a Grozny, e vista la situazione, il Cpt ha pubblicato “un testo che – spiega ancora Palma – non si limita a raccontare i fatti che destano preoccupazione, a sottolineare gli elementi di non collaborazione delle autorità con gli osservatori del Comitato, ma ha anche allegato le pagine del rapporto e le risposte russe, in modo tale da testimoniare e documentare in maniera chiara ed immediata i motivi della decisione”.

Che cosa, in particolare ha spinto il Cpt a emettere il public statement verso la Cecenia?

Tre sono gli elementi di particolare gravità rilevati: l’ambiguità di un centro di investigazione criminale a Grozny chiamato Org 2, la presenza di luoghi illegali di detenzione, e l’inaccuratezza e l’inefficacia delle indagini svolte dalle autorità russe rispetto a tutte le violazioni rilevate e segnalate dal Cpt.
In altre parole, di fronte alle segnalazioni di episodi di maltrattamento e di detenzione illegale, abbiamo riscontrato indagini di polizia che non corrispondono ai parametri di efficacia, indipendenza e rapidità stabiliti dalla Corte Europea di Strasburgo.

Che cosa intende quando parla dell’ambiguità di Org 2, un centro di investigazione criminale?

Org 2 è un centro di Grozny in cui si svolgono attività di investigazione e di indagine, come ad esempio interrogatori a persone sospette. Molte Ong e lo stesso Cpt hanno più volte riportato che durante gli interrogatori possano aver avuto luogo maltrattamenti e torture e già nel public statement del 2003 avevamo fatto esplicita richiesta affinché le autorità russe operassero per non far ripetere simili episodi. Inoltre al piano terra dell’edificio vi è un luogo di detenzione (che non dovrebbe essere nella sede di un’attività investigativa); abbiamo riscontrato numerose denunce, credibili e documentate, di persone che sostengono di essere state trasportate nottetempo, e al di fuori da ogni termine legale, dal piano terra ai piani superiori per forme di interrogatori durante il quale c’è grosso rischio che siano avvenuti maltrattamenti e torture. Abbiamo allora chiesto di mettere uno sbarramento che separasse le due strutture, quella detentiva e quella per gli interrogatori, in modo tale che lo spostamento di un detenuto comportasse almeno un documento di registrazione che dimostrasse l’avvenuto interrogatorio e limitasse l’ambiguità di questa situazione; lo sbarramento realizzato è stato giudicato insoddisfacente. Abbiamo allora chiesto di spostare altrove il luogo di detenzione, ma questo non si è ottenuto e continuano ad arrivarci denunce di persone maltrattate e torturate a Org 2, dove ha luogo un’ambigua commistione tra detenzione e forme improprie di interrogatori.

Nel rapporto si parla anche di luoghi illegali di detenzione.

Molte persone denunciano di essere state detenute nelle stazioni di polizia prima di una formalizzazione dell’arresto. Nel documento sono nominate in particolare tre di queste situazioni. Una nel villaggio di Tsentoroy dove ci sono i quartieri generali della cosiddetta guardia presidenziale, che era addetta alla sicurezza dell’ex presidente Kadyrov assassinato anni fa e padre dell’attuale presidente, una specie di corpo di protezione personale; un altro di questi luoghi è in una base militare a Vostok; il terzo nella periferia di Gudermes, in un’altra base di corpi speciali di polizia.
Quando abbiamo visitato questi tre luoghi, abbiamo visto locali che durante la nostra presenza non erano adibiti a celle, ma sui muri si notavano iscrizioni che lasciano chiaramente supporre che alcune persone vi erano state detenute; inoltre la struttura architettonica dei luoghi corrispondeva esattamente alla descrizione fornita dalle persone che noi avevamo intervistato e che dicevano di essere stati lì prigionieri. Abbiamo chiesto adeguate indagini da parte della procura russa e, ancora una volta, il risultato ottenuto è stato giudicato dal Cpt insoddisfacente, ossia non c’è stata alcuna indagine.

Ora che tipo di reazione si aspetta da parte delle autorità russe e dalla Repubblica cecena?

Mi aspetto una risposta positiva. È vero che un public statement non è gradito a nessuno stato e quindi una prima risposta sarà certamente di negazione e sorpresa, però è anche vero che il public statement non è un provvedimento contro gli stati, ma serve a dare un contributo alle autorità che vogliono cambiare alcune cose per spingere sulle forze locali affinché queste cose vengano cambiate, è una specie di sostegno a chi vuiole sollecitare il cambiamento e migliorare la situazione, è uno strumento per fare pressione e affermare che la comunità internazionale ha gli occhi puntati su queste realtà fuori controllo. È un contributo, non un giudizio.

Questo è il quinto public statement emesso dal Cpt, il terzo verso la Cecenia, mentre gli altri due erano stati rivolti alla Turchia. Se si arriva ad emettere tre dichiarazioni verso lo stesso paese, non si ha la sensazione che questo provvedimento sia in qualche modo ignorato da coloro che invece dovrebbero esserne colpiti? Forse l’efficacia di una simile misura non è presa in seria considerazione da governanti che operano in realtà assai lontane dal rispetto dei diritti umani, anche dei più elementari?

Questo rischio esiste. Ma se guardiamo ai primi due public statement emessi verso la Turchia nel ’92 e nel ’96 è innegabile che vediamo oggi realizzate molte condizioni che erano enunciate in quei documenti. Certo, la spinta ad entrare in Europa ha giocato un ruolo molto importante, ma sta di fatto che mentre prima del ’92 si poteva essere incarcerati anche per un mese intero prima di veder formulata e formalizzata una vera e propria accusa, oggi questo non accade più e i termini legali in Turchia sono assolutamente equiparabili a quegli di altri paesi europei. Altra cosa è poi vedere come questi termini trovano applicazione, ma un cammino è stato fatto.
Per quel che riguarda la Cecenia, arrivare al terzo public statement è un segno di nostra debolezza, ma va detto che il primo è stato emesso nel luglio 2001 e dopo l’11 settembre l’attenzione internazionale verso i temi della tutela delle persone arrestate è di molto diminuita e l’efficacia del provvedimento ha subito un ridimensionamento.
Nel 2003 abbiamo pubblicato il secondo public statement che nella sostanza replicava quello del 2001. Da allora molti aspetti contenuti nel documento sono migliorati, come ad esempio alcune strutture di detenzione che competono al ministero della Giustizia; quest’ultimo statement, invece, si rivolge a tematiche che riguardano il ministero dell’Interno e alcune forze di polizia. Da un lato esiste un elemento di intrinseca debolezza nel dover riproporre lo stesso strumento, dall’altro però ho una moderata fiducia che l’ultimo public statement sia preso nella giusta considerazione.

Ha parlato della Turchia accennando a come la prospettiva europea abbia giocato un ruolo importante nel sollecitare alcune riforme. E’ un ragionamento valido anche per altre realtà? Possiamo dire che la prospettiva di far parte dell’Ue spinga verso la democrazia?

Un "effetto Europa" esiste, la prospettiva europea è, quanto meno, un grande incentivo a rivedere la struttura legislativa e a introdurre una diversa autonomia degli operatori. Ad esempio sono molti i programmi europei per una milgiore formazione iniziale e in servizio degli operatori di polizia. Poi però rimangono i problemi tra ciò che è normativamente definito e ciò che nella pratica si realizza: non basta siglare un nuovo codice di procedura penale affinché certe pratiche vengano abolite e superate.

Quali aree geopolitiche giudica maggiormente a rischio dal punto di vista dei diritti per i detenuti?

Le zone critiche sono diverse e abbastanza note, conflittuali. Penso al Caucaso, a molte realtà nei Balcani e a territori di cui si sa poco e che sfuggono al controllo di autorità che ne hanno istituzionalmente la giurisdizione; tra queste mi vengono in mente la Transnistria rispetto alla Repubblica di Moldova, l’Abkhazia rispetto alla Repubblica di Georgia, il Karabakh rispetto all’Azerbaijan.
Ma ad essere sincero sono preoccupato anche da tante realtà occidentali che sembrano essere immuni da rischi ma, se andiamo a leggere con attenzione la situazione, vediamo numeri alti di detenzione, enfasi antiterroristica, idea di inseguire il consenso con misure sempre più repressive in nome della sicurezza. In tali condizioni alcune culture non rispettose dei diritti fondamentali possono risvilupparsi e ridiffondersi, soprattutto in paesi che pensano di avere acquisito tutto e che spesso sono sotto minore osservazione.

Si riferisce anche all'Italia quando parla di realtà occidentali? Come giudica la situazione del nostro sistema carcerario?

Vedo in Italia un segno molto negativo nell’enfasi che, ogni volta che si parla di un crimine commesso, viene data al fatto che le persone accusate abbiano o meno beneficiato dell’indulto. L’indulto non è certo una misura che può stabilmente far parte di una politica carceraria, ma è stato un atto eccezionale reso necessario da una situazione drammatica. Ora, chiedersi sempre se una persona che oggi commette un crimine sia stato indultato, è un atteggiamento che reputo stupido perché chi ha beneficiato dell’indulto sarebbe comunque uscito di prigione di lì a poco. In ogni caso è un atteggiamento che non tiene conto del fatto che il tasso di recidiva tra gli indultati è di oltre sette/otto volte inferiore a quello che si riscontra nelle statistiche tradizionali. Infine, è un atteggiamento che, nell’opinione pubblica, pone in conflitto la tutela dei diritti delle persone recluse con la sicurezza dei cittadini all’esterno delle carceri: se vogliamo affrontare e risolvere le difficoltà di un sistema sociale, questi due elementi ci appariranno convergenti, e metterli in conflitto non fa che distruggere una cultura condivisa.

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it