“Prolificate
e moltiplicatevi”. Lo dice la Bibbia, Genesi 1,28.
Ma se la citazione esce dalla bocca del Presidente russo
Vladimir Putin, va forse constatato che, da qualche
parte, deve esserci un problema. E il problema c'è
ed è noto da tempo. Ma di soluzioni concrete
per ora non se ne sono viste.
Il problema è la profonda crisi demografica
che la Russia sta vivendo da ormai quindici anni e che,
secondo gli studiosi più pessimisti, potrebbe
addirittura mettere a repentaglio la sopravvivenza dell'etnia
russa. Un fattore di degrado, di instabilità
per una Russia in declino che va sommato, d’altro
lato, alla perdurante ricchezza energetica del Paese
sulla base della quale Mosca cede spesso e volentieri
a tendenze “ricattatrici”. Una miscela molto
amara da digerire per un’Europa che ha pochissimi
mezzi per stimolare un ciclo virtuoso nel suo maggiore
vicino.
È nel suo ultimo discorso sullo stato della
nazione che Putin ha messo la questione demografica
in cima alla lista delle priorità del Cremlino,
tanto da lanciare l'accorato appello di cui sopra alla
popolazione della Federazione Russa. Forte di un potere
consolidato, certo di un sistema politico sfacciatamente
addomesticato che risponde senza esitazioni ai suoi
stimoli, Putin, in vista della fine del suo secondo
mandato, può tutto. Ma non può eludere
una situazione evidentemente allarmante. Una situazione
tra l’altro visceralmente legata a un fattore
di orgoglio nazionale. Un declino che non solo da anni
è oggetto delle indagini del Rosstat, l’Istituto
Statistico Nazionale, ma che viene messo in evidenza
anche dagli organismi internazionali, Organizzazione
delle Nazioni Unite in prima fila. I dati dell’Onu
evocano infatti la possibilità di un crollo del
20% della popolazione russa entro il 2020. Ed è
così che, il 10 maggio dell’anno scorso,
il tema finisce in vetta all’agenda del Cremlino.
Nel suo discorso il Presidente annuncia un piano per
la «stimolazione della natalità»,
come Putin stesso lo definisce. Un piano entrato in
vigore il 1 gennaio scorso e che – sempre che
lo si voglia considerare un dato significativo –
ha già portato i primi “frutti”.
Ecco allora che nei telegiornali russi si moltiplicano
le notizie sui “Certificati di Capitale Materno”
consegnati dal fondo pensionistico alle madri più
“produttive”. Ma di che cosa si tratta?
Il programma ha il pregio di fare un quadro analitico
della situazione piuttosto obiettivo. Le soluzioni proposte
restano a un livello generico, per non dire teorico,
tranne una: incentivi economici per le famiglie che
fanno figli. I sussidi per il primo nato passano da
700 a 1.500 rubli (da 20 a 40 euro). Per il secondogenito
si prevedono aiuti fino a 3.000 rubli. Il periodo di
maternità viene innalzato fino ad un anno e mezzo.
Ma basta leggere attentamente i dati per rendersi conto
che sussidi e aiuti economici per stimolare le coppie
a fare figli, sono una falsa soluzione – demagogica
– a un problema di natura complessa. Dal 1992
al 2005, la Russia ha perso oltre 11 milioni di abitanti:
più del 16% della popolazione. Ed è lo
stesso Putin a sottolineare che nel 2006 sono morte
700 mila persone in più di quante non ne siano
nate. Una vera e propria implosione le cui cause ovviamente
non vanno ricercate solo nel pur bassissimo tasso di
natalità (passato dagli 1,8 figli per coppia
del periodo 1985-1995 agli 1,2 del decennio successivo),
ma in primis nello straordinariamente alto tasso di
mortalità. Il risultato di un cocktail esplosivo
dentro al quale va individuata, al primo posto, una
vera e propria moria fra la popolazione maschile. Le
cause sono sia ambientali che comportamentali: 35.000
morti all’anno sulle strade; alcolismo dilagante
e abuso di distillati artigianali, spesso deleteri;
criminalità; malattie cardiovascolari. Ma un’impostazione
culturale ben radicata sin dall’epoca stalinista
e uniformata al modello del macho a tutti i costi, dà
un contributo tristemente fondamentale: eccedere nel
fumo e nell’alcool è praticamente un dovere,
ricercare il rischio è un merito, prenotare una
visita dal medico è una debolezza. E i suicidi.
Uno degli ultimi dati reperibili è quello del
2003: 60 mila solo fra gli uomini. Un quadro a dir poco
devastante al quale va aggiunta la rapida diffusione
dell’Hiv. L’incidenza del virus è
particolarmente elevata nei giovani fra i 15 e i 24
anni che rappresentano i due terzi della totalità
dei malati (dato Unfpa).
Cifre e riflessioni alle quali non si è sottratto
neppure l’ex primo ministro Evgeni Primakov. Citato
a gennaio dal quotidiano Rossijskaja Gazeta, dipinge
un quadro dell’ultimo anno della Russia quasi
da magnifiche sorti e progressive. Ma è costretto
a concludere con la nota dolente della difficoltà
per il Paese di uscire dall’impasse demografico.
E riporta un dato sconcertante: le famiglie dei lavoratori
attivi con uno o due figli a carico rappresentano il
35% di quanti sono in condizioni pari o inferiori alla
soglia di povertà. Ossia: i russi poveri sono
in gran parte persone che hanno uno stipendio o percepiscono
una pensione, ma talmente ridicoli rispetto al costo
della vita da ridurli in miseria.
Fattori ambientali e culturali, comportamentali, si
diceva, nel crollo della popolazione maschile che, tra
l’altro, ha raggiunto il minimo storico nell’aspettativa
di vita: 58,6 anni. Cinque in meno rispetto all’epoca
sovietica. Ma il peso di un fattore più genericamente
culturale è riscontrabile a un più ampio
livello: il modello di famiglia sovietica perde terreno
a favore del modello occidentale. Su questo punto, la
strategia di Putin va in una direzione apparentemente
inaspettata. Il Presidente russo cita Dmitrij Lichacev
(“l’amore per il proprio Paese inizia dall’amore
per la propria famiglia”) e sottolinea che nessuna
misura sarà efficace se non verrà accompagnata
da un ritorno alla “famiglia tradizionale”.
E quando parla di modello tradizionale, Putin parla
proprio della famiglia pre-sovietica, quella che la
rivoluzione bolscevica ha volutamente sradicato imponendo
l’idea di Stato come famiglia allargata. Ma che
cosa avevano in comune i due modelli di famiglia con
i quali la Russia degli ultimi due secoli si è
confrontata? Da un lato il Paese degli Zar, tradizionalista,
intriso da una profonda religiosità. Dall’altro
il Paese dei Soviet in cui la cellula familiare viene
cancellata in nome della crescita collettiva. Per motivi
opposti le due situazioni creavano un terreno fertile
per un alto tasso di natalità. Fattore invece
certamente assente nel prototipo “occidentale”
che favorisce le ambizioni professionali della donna
(almeno nelle aree urbane), che ha spinto molto più
avanti negli anni la decisione del matrimonio, che calcola
la possibilità di allargare la famiglia a partire
dalle esigenze individuali e dunque sulla base delle
disponibilità economiche.
L’impostazione di Putin dunque, più che
un’inversione di rotta da osservare con interesse,
è la conferma di un dato politico rilevante:
seppure fra mille, innegabili difficoltà, l’orizzonte
cui guarda il Cremlino è il rilancio di un ruolo
chiave a livello internazionale della grande potenza.
Un rilancio che, senza solide basi demografiche, questo
è chiaro, non può avere luogo. Lo dice
lui stesso, come spesso fa, in maniera arguta e ironica,
vagamente in stile berlusconiano: “Il compagno
lupo sa chi mangiare. Mangia senza ascoltare nessuno.
E di ascoltare non ne ha nessuna intenzione”.
Il riferimento, fatto attraverso una nota barzelletta
di epoca sovietica sui “kgbisti”, è
ovviamente agli Stati Uniti. È per controbilanciare,
per contrastare “il lupo” che la Russia
deve tornare a crescere, in tutti i sensi: primo fra
tutti quello demografico.
Nulla di nuovo sotto il sole in questo tipo di impostazione.
Tutta la storia russa del Ventesimo secolo è
attraversata dal sentimento, dal desiderio di porsi,
di sentirsi superpotenza. Lo ricorda con chiarezza Mark
Urnov, Presidente del Centro di Studi Politici e Strategici
Expertiza, sul sito dell’agenzia stampa Ria Novosti.
Fa riferimento a un sondaggio sottoposto ai parlamentari
della Duma nel 1990: “Quanti speravano di vedere
nel Paese una grande potenza non erano più del
4%, sia fra i comunisti che fra i democratici. Gli altri
rigettavano l’idea, auspicando piuttosto che la
Russia si consacrasse ai problemi interni. Stesso stato
d’animo fra la popolazione. Ma se si guarda alla
storia russa del Ventesimo secolo, si osserva una costante.
A ciascuno dei brevi periodi di rigetto dell’idea
della grande potenza, è seguita una forte ondata
di retorica nazionalista da grande potenza”.
Insomma, sembra che il cerchio si chiuda. Di fronte
alla crisi demografica che rischia di minare alle radici
la crescita russa, le soluzioni sono dispensate da Putin
nel quadro di una strategia populista da inquadrare
nel contesto di fine mandato. A inizio marzo si sono
visti alcuni movimenti d’assestamento nei giochi
di potere in vista delle presidenziali 2008. Dopo la
promozione a vice primo ministro di Sergei Ivanov, delfino
di Putin e già ministro della Difesa, è
stata la volta di Dmitrij Medvedev, altro fedele dell’attuale
capo del Cremlino, anche lui attuale vice primo ministro.
Richiama l’attenzione il fatto che proprio Medvedev
presieda il Consiglio per la realizzazione dei progetti
nazionali prioritari e per la politica demografica.
In questo panorama, i risultati delle elezioni locali
dell’11 marzo, che hanno visto la netta affermazione
di Russia Unita (partito vicino a Putin) in tutte e
le 14 regioni in cui si rinnovavano i parlamenti locali,
riducono ulteriormente i dubbi sul possibile risultato
delle elezioni parlamentari del prossimo dicembre e
delle presidenziali che si terranno esattamente fra
un anno. Quasi il 40% dell’elettorato si dichiara
pronto a seguire le indicazioni di voto di Putin, al
quale la costituzione non consente un terzo mandato.
Difficile non farsi venire in mente gli “insegnamenti”
del Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga
come è, bisogna che tutto cambi”.
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