Daniele Mastrogiacomo
è stato liberato. La notizia ufficiale del rilascio
è arrivata in Italia lunedì 19 marzo poco
dopo le quindici, finalmente certa dopo un’altalena
di informazioni contraddittorie, dopo un continuo alternarsi
di annunci e smentite che tenevano col fiato sospeso
la moglie del giornalista, il suo direttore Ezio Mauro,
i colleghi, politici e tutti quelli che hanno seguito
questa vicenda.
Una vicenda durata quindici giorni, iniziata con il
tentativo di intervistare nel sud dell’Afghanistan
uno dei comandanti di spicco dei talebani; i contatti,
gli accordi presi e un appuntamento che si è
rivelato una trappola: incatenati, l’italiano
l’autista e l’interprete, bendati e condotti
nei luoghi della prigionia.
La colpa: sorpresi senza permesso in territorio talebano.
L’accusa: essere delle spie al servizio delle
forze britanniche.
Poi le trattative, gli appelli: liberatelo, è
un giornalista, non è una spia. I talebani se
ne rendono conto e iniziano i negoziati effettivi verso
uno scambio di prigionieri. Uno scambio che alla fine
si compie, che salva la vita a Daniele Mastrogiacomo,
ma non all’autista Saied Agha, sgozzato sulle
rive di un fiume, come scrive il giornalista italiano
nel suo lungo reportage che apre Repubblica
nel giorno che festeggia la sua liberazione.
Intorno al lungo racconto, i ringraziamenti di Ezio
Mauro rivolti prima di tutto a Emergency e a Gino Strada,
grandi protagonisti di tutta la vicenda, mediatori determinanti
per la riuscita dell’operazione, poi a tutti coloro
che hanno svolto un ruolo importante, come Prodi e D’Alema,
l’ambasciatore italiano a Kabul Ettore Sequi,
il personale dell’unità di crisi della
Farnesina, e poi un ringraziamento speciale, multilingue
come gli appelli pubblicati sul sito del quotidiano,
a tutti coloro che hanno firmato le richieste di liberazione
di Mastrogiacomo, centomila nomi la cui voce ha fatto
eco tra l’Italia e l’Afghanistan rimbalzando
in migliaia di siti, di newsletter e di blog che hanno
fatto sentire la presenza di un’opinione pubblica
che si appellava alla libertà di informare, di
raccontare la guerra.
Durante la trattativa che ha portato alla liberazione
di Mastrogiacomo Palazzo Chigi e la Farnesina hanno
mantenuto il più stretto riserbo per eliminare
ogni rischio che voci e fughe di notizie potessero mandare
in fumo il lavoro diplomatico. Si sa che sono stati
liberati dei prigionieri talebani, si sa che Emergency
ha avuto un ruolo determinante in tutta la trattativa
perché l’organizzazione di Gino Strada
è radicata nel territorio, ha contatti, sa muoversi
in Afghanistan. Ora però Rahmatullah Hanefi,
capo del personale dell'ospedale di Emergency a Lashkargah
in Afghanistan meridionale e tra i protagonisti più
attivi dei negoziati che hanno materialmente portato
alla liberazione di Mastrogiacomo, è stato arrestato
dal governo afgano, e da Emergeny si alza una voce di
sdegno che giudica assurda la decisione del governo
di Karzai.
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