Quella mattina
viaggiava in macchina, e aspettava una telefonata. “Gira
qui a destra”, gli avrebbero detto, e Daniele
Mastrogiacomo, inviato di Repubblica avrebbe incontrato
i rappresentanti dei talebani con i quali aveva un appuntamento.
Invece è andata in un altro modo, oppure è
andata proprio così, solo che adesso Daniele
Mastrogiacomo è stato rapito, da un gruppo che
lo accusa di essere una spia e che minaccia di ucciderlo.
Solo il giorno prima, il cronista aveva parlato al telefono
con i suoi colleghi di Repubblica-Tv, ai quali aveva
raccontato quei suoi giorni in Afghanistan e aveva promesso
un altro collegamento telefonico per il giorno successivo.
A sentire quella registrazione (ritrasmessa dai telegiornali
italiani) non si può non rimanere colpiti dalla
voce dell’inviato. Serena, quasi orgogliosamente
contenta, quasi di chi non veda l’ora di essere
già lì, sul posto, per ascoltare e cercare
di capire.
La passione per il lavoro di giornalista, di inviato
di guerra, forse a qualcuno parrà stramba, incomprensibile
perché al limite dell’incoscienza. Ma non
c’è altro modo di farlo, quel lavoro, perché
altrimenti si rischia di lasciare l’opinione pubblica
nelle mani delle notizie ufficiali, dei governi e dei
militari. E’ “la missione di un reporter”,
come l’ha chiamata il direttore di Repubblica
Ezio Mauro commentando l’accaduto. La stessa di
tutti quegli uomini e quelle donne che, non accontentandosi
di riciclare un’agenzia, si sono ritrovati nelle
mani di rapitori armati, spesso come oggetti di scambio
per questioni decise dai governi, non dai media. L’ultimo
giornalista italiano ad essere rapito in zona di guerra
è stato Gabriele Torsello, il fotoreporter sequestrato
il 12 ottobre 2006 nel sud dell'Afghanistan, e liberato
dopo 23 giorni di prigionia. Prima di lui, l’inviato
del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi era caduto
nelle mani delle Brigate Martiri Al Aqsa, a Deir el
Balah, nella Striscia di Gaza, ma quello fu “un
atto dimostrativo” (come lo definirono i rapitori
stessi) e Cremonesi venne rilasciato il giorno lo stesso,
il 10 settembre 2005: “Non ho avuto paura perché
a Gaza non hanno ucciso nessuno – commentò
il giornalista – non è l'Iraq”.
L’Iraq, appunto. Sono due i giornalisti italiani
che hanno legato indissolubilmente il loro nome all’Iraq.
Giuliana Sgrena e Enzo Baldoni. La giornalista del Manifesto
venne rapita a Baghdad il 4 febbraio 2005, dall’Organizzazione
della Jihad islamica, e venne liberata esattamente un
mese dopo dai servizi segreti italiani. Nell’occasione,
nella macchina che li conduceva verso l’aeroporto
militare americano, trovò la morte Nicola Calipari,
agente del Sismi e artefice della liberazione della
Sgrena. Enzo Baldoni si trovava invece in Iraq come
giornalista freelance. Collaboratore del settimanale
Diario, venne rapito presso Najaf il 19 agosto 2004
dalle Armate Islamiche, un’organizzazione vicina
ad Al Qaeda. Dopo un ultimatum all’Italia, affinché
ritirasse tutte le sue truppe dal paese entro 48, i
rapitori uccisero Baldoni meno di una settimana dopo.
La drammatica storia dei giornalisti italiani in zona
di guerra si lega però, soprattutto, al nome
di due donne. Nessuna delle due venne rapita, perché
entrambe vennero uccise sul posto. Maria Grazia Cutuli,
inviata del Corriere della Sera, venne uccisa in Afghanistan
il 19 novembre 2001, sulla strada che collega Jalabad
a Kabul, insieme a tre colleghi stranieri (l’australiano
Harry Burton, l’afghano Azizullah Haidari, entrambi
corrispondenti della Reuters, e lo spagnolo Julio Fuentes
del Mundo). L’auto sulla quale viaggiavano venne
bloccata da un gruppo di uomini armati, che prima fecero
scendere i giornalisti dalla loro auto e poi li ammazzarono
a raffiche di kalashnikov. Il 20 marzo 1994, a Mogadiscio,
venne invece assassinata la giornalista del Tg3 Ilaria
Alpi. Si trovava in Somalia per seguire la guerra tra
le fazioni che stavano insanguinando il paese e indagava
su un traffico d’armi e di rifiuti tossici illegali.
Trovò la morte con lei anche il suo operatore,
Miran Hrovatin.
Nel 2006, secondo le stime di Reporters sans frontières,
sono stati uccisi 82 giornalisti nel mondo, di cui 40
in Iraq. In questi primi mesi del 2007 hanno trovato
la morte 13 cronisti, di cui 9 in Iraq. E’ dal
2005 che un giornalista non viene ucciso in Afghanistan.
Un motivo in più per sperare che Mastrogiacomo
sia presto liberato.
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