“Bisogna
parlare con tutti gli afgani. Come si fa a non negoziare
con i talebani, e poi a negoziare con il deputato Abdul
Rasul Sayyaf, che ha commesso crimini orrendi e che
era vicino a Osama bin Laden?”. Kathy Gannon conosce
bene la complicata realtà dell’Afghanistan
e del Pakistan, della cui gente si dice innamorata e
che ha descritto nel suo fortunatissimo libro I
per Infedele. Dalla guerra santa al santo terrore. 18
anni in Afghanistan (uscito nel 2005, e ottimamente
recensito da “Foreign Affairs”). Canadese,
è stata corrispondente dell’Associated
Press da Kabul e da Islamabad dal 1986 al 2005. Oggi,
da poco designata a capo dell’ufficio iraniano
dell’Ap, vive ancora a Islamabad, e in quest’intervista
ci dice: “So che la sinistra radicale, in Italia,
non approva la presenza internazionale a Kabul. Ma l’Afghanistan
ne ha bisogno, anche se la comunità internazionale
ha sprecato una grande occasione, perché si è
concentrata solo sull’aspetto militare”.
Alcuni governi occidentali, come quello britannico,
stanno spostando le proprie truppe dall’Iraq all’Afghanistan.
È perché si accorgono che la prima è
sempre più una guerra “ingiusta”,
e la seconda è sempre più “giusta”,
per usare termini cari a Michael Walzer?
Non credo che sia questa la ragione, visto che il governo
Blair ha sempre considerato “giuste” entrambe
le guerre. Il fatto è che, con l’avvicinarsi
della probabile offensiva primaverile dei talebani,
le truppe britanniche in Afghanistan saranno esposte
a crescenti pericoli, e hanno bisogno quindi di rinforzi.
Anche perché i soldati britannici si trovano
proprio nella zona più pericolosa del paese,
quella in cui il traffico della droga è più
imponente e in cui è maggiore la resistenza dei
talebani. In più la Gran Bretagna ha già
detto che intende infliggere un duro colpo proprio ai
produttori di droga.
Però uno dei motivi di questa decisione
del governo Blair potrebbe essere il fatto che la guerra
in Afghanistan è oggi meno impopolare di quella
in Iraq.
Sono d’accordo. La guerra in Iraq ha rovinato
l’immagine di Blair, e certo l’intervento
in Afghanistan, che è nato da un’iniziativa
multilaterale, è molto più gradita all’opinione
pubblica britannica. Sinceramente non so se l’invio
di altre truppe possa servire a qualcosa, ma questa
è un’altra questione. L’Afghanistan
è un paese in cui non c’è sicurezza,
in cui vige l’anarchia, in cui continuano a dominare
in gran parte del paese i politici corrotti e i signori
della guerra, sempre più influenti presso i governatori
e presso la polizia locale.
Come viene percepita la presenza delle truppe
occidentali da parte della popolazione afgana?
Anzitutto la maggioranza della popolazione afgana non
vuole il ritorno dei talebani, ma, più che altro,
è stupita dal fatto che dopo tutto quello che
è successo, dopo la guerra e le sofferenze, il
paese sia ripiombato nel caos e le potenze occidentali
abbiano spesso riportato al potere quei signori della
guerra che dominavano agli inizi degli anni Novanta,
e che erano stati spazzati via dai talebani. In questo
modo la comunità internazionale diventa parte
di quel mondo corrotto che è tornato al potere
in varie regioni.
Forse avrà saputo che in Italia il governo
Prodi stava per cadere proprio a causa della strategia
da adottare a Kabul. La sinistra radicale chiede un
disimpegno. Ma secondo lei l’Afghanistan ha ancora
bisogno di una presenza internazionale?
Sì, ho saputo. E sì, l’Afghanistan
ha bisogno di una presenza internazionale, ma la Nato
e i governi occidentali devono spiegare meglio a se
stessi cosa significa questa presenza. La comunità
internazionale ha sprecato una grande occasione, perché
si è concentrata solo sull’aspetto militare.
Gli “errori”, con cui hanno finito per uccidere
tanti civili innocenti, non hanno fatto altro che metter
in crisi il sostegno della popolazione. I governi occidentali
dovrebbero concentrarsi di più sull’aspetto
civile, sull’addestramento della polizia ad esempio.
E dovrebbero evitare il più possibile di uccidere
i civili. L’impressione che si è avuta
finora è che siano lì soprattutto per
dare la caccia ai talebani, e non per ricostruire un
paese distrutto. Devono scegliere cosa fare, non possono
fare bene entrambe le cose. Un’altra cosa importante
è saper distinguere tra al Qaeda e le tribù
afgane: non sono la stessa cosa, e spesso li si confonde.
Il presidente pakistano Pervez Musharraf ha
raggiunto degli accordi controversi con le tribù
del nord del paese, nel Waziristan. Secondo lei bisogna
dialogare con i talebani, bisogna negoziare?
Bisogna parlare con tutti gli afgani. Come si fa a
non negoziare con i talebani, e poi a negoziare con
il deputato Abdul Rasul Sayyaf, che ha commesso crimini
orrendi e che era vicino a Osama bin Laden? Il problema
del Pakistan è un altro. È che è
comandato dai militari, che diversamente da quanto si
crede non sono laici, sono molto religiosi.
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