317 - 16.03.07


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Ma non è solo una
questione militare

Kathy Gannon con
Daniele Castellani Perelli


“Bisogna parlare con tutti gli afgani. Come si fa a non negoziare con i talebani, e poi a negoziare con il deputato Abdul Rasul Sayyaf, che ha commesso crimini orrendi e che era vicino a Osama bin Laden?”. Kathy Gannon conosce bene la complicata realtà dell’Afghanistan e del Pakistan, della cui gente si dice innamorata e che ha descritto nel suo fortunatissimo libro I per Infedele. Dalla guerra santa al santo terrore. 18 anni in Afghanistan (uscito nel 2005, e ottimamente recensito da “Foreign Affairs”). Canadese, è stata corrispondente dell’Associated Press da Kabul e da Islamabad dal 1986 al 2005. Oggi, da poco designata a capo dell’ufficio iraniano dell’Ap, vive ancora a Islamabad, e in quest’intervista ci dice: “So che la sinistra radicale, in Italia, non approva la presenza internazionale a Kabul. Ma l’Afghanistan ne ha bisogno, anche se la comunità internazionale ha sprecato una grande occasione, perché si è concentrata solo sull’aspetto militare”.

Alcuni governi occidentali, come quello britannico, stanno spostando le proprie truppe dall’Iraq all’Afghanistan. È perché si accorgono che la prima è sempre più una guerra “ingiusta”, e la seconda è sempre più “giusta”, per usare termini cari a Michael Walzer?

Non credo che sia questa la ragione, visto che il governo Blair ha sempre considerato “giuste” entrambe le guerre. Il fatto è che, con l’avvicinarsi della probabile offensiva primaverile dei talebani, le truppe britanniche in Afghanistan saranno esposte a crescenti pericoli, e hanno bisogno quindi di rinforzi. Anche perché i soldati britannici si trovano proprio nella zona più pericolosa del paese, quella in cui il traffico della droga è più imponente e in cui è maggiore la resistenza dei talebani. In più la Gran Bretagna ha già detto che intende infliggere un duro colpo proprio ai produttori di droga.

Però uno dei motivi di questa decisione del governo Blair potrebbe essere il fatto che la guerra in Afghanistan è oggi meno impopolare di quella in Iraq.

Sono d’accordo. La guerra in Iraq ha rovinato l’immagine di Blair, e certo l’intervento in Afghanistan, che è nato da un’iniziativa multilaterale, è molto più gradita all’opinione pubblica britannica. Sinceramente non so se l’invio di altre truppe possa servire a qualcosa, ma questa è un’altra questione. L’Afghanistan è un paese in cui non c’è sicurezza, in cui vige l’anarchia, in cui continuano a dominare in gran parte del paese i politici corrotti e i signori della guerra, sempre più influenti presso i governatori e presso la polizia locale.

Come viene percepita la presenza delle truppe occidentali da parte della popolazione afgana?

Anzitutto la maggioranza della popolazione afgana non vuole il ritorno dei talebani, ma, più che altro, è stupita dal fatto che dopo tutto quello che è successo, dopo la guerra e le sofferenze, il paese sia ripiombato nel caos e le potenze occidentali abbiano spesso riportato al potere quei signori della guerra che dominavano agli inizi degli anni Novanta, e che erano stati spazzati via dai talebani. In questo modo la comunità internazionale diventa parte di quel mondo corrotto che è tornato al potere in varie regioni.

Forse avrà saputo che in Italia il governo Prodi stava per cadere proprio a causa della strategia da adottare a Kabul. La sinistra radicale chiede un disimpegno. Ma secondo lei l’Afghanistan ha ancora bisogno di una presenza internazionale?

Sì, ho saputo. E sì, l’Afghanistan ha bisogno di una presenza internazionale, ma la Nato e i governi occidentali devono spiegare meglio a se stessi cosa significa questa presenza. La comunità internazionale ha sprecato una grande occasione, perché si è concentrata solo sull’aspetto militare. Gli “errori”, con cui hanno finito per uccidere tanti civili innocenti, non hanno fatto altro che metter in crisi il sostegno della popolazione. I governi occidentali dovrebbero concentrarsi di più sull’aspetto civile, sull’addestramento della polizia ad esempio. E dovrebbero evitare il più possibile di uccidere i civili. L’impressione che si è avuta finora è che siano lì soprattutto per dare la caccia ai talebani, e non per ricostruire un paese distrutto. Devono scegliere cosa fare, non possono fare bene entrambe le cose. Un’altra cosa importante è saper distinguere tra al Qaeda e le tribù afgane: non sono la stessa cosa, e spesso li si confonde.

Il presidente pakistano Pervez Musharraf ha raggiunto degli accordi controversi con le tribù del nord del paese, nel Waziristan. Secondo lei bisogna dialogare con i talebani, bisogna negoziare?

Bisogna parlare con tutti gli afgani. Come si fa a non negoziare con i talebani, e poi a negoziare con il deputato Abdul Rasul Sayyaf, che ha commesso crimini orrendi e che era vicino a Osama bin Laden? Il problema del Pakistan è un altro. È che è comandato dai militari, che diversamente da quanto si crede non sono laici, sono molto religiosi.

 

 

 

 

 

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