Ariel
Toaff, docente di storia all’università
israeliana di Bar-Ilan, ha chiesto all’editore
Il Mulino di ritirare dal mercato il suo libro “Pasque
di sangue”. La decisione è venuta dopo
che la tesi espressa nel libro, secondo la quale esiste
la possibilità che gruppi di ebrei ashkenaziti
dell’Italia settentrionale in epoca medievale
abbiano compiuto infanticidi di bambini cristiani per
usare il loro sangue nei riti pasquali, ha sollevato
critiche e accuse da ambienti storiografici e da alte
personalità ebraiche, compreso l’ex rabbino
capo di Roma (e padre di Ariel) Elio Toaff. Le accuse
vanno sostanzialmente in due direzioni. Da una parte
si contesta al libro l’affidabilità storiografica,
affermando che l’utilizzo ebraico di sangue cristiano
per uso rituale non è che una leggenda senza
fondamento storico; dall’altra parte si accusano
le tesi di Ariel Toaff di alimentare sentimenti e posizioni
antisemite.
Da qui la decisione dello storico di ritirare il libro
dal mercato finché non avrà definito in
modo chiaro il nodo della sua ricerca.
Mandateci la vostra opinione sul "caso Toaff",
scrivete a redazione@caffeeuropa.it
L’articolo che segue è stato pubblicato
su il
Riformista.
Nella discussione sul libro di Ariel Toaff Pasque
di sangue (edito da il Mulino), stampato, urlato
con un lancio mediatico discutibile e poi ritirato dal
suo autore, la prima vittima è la storiografia;
la seconda vittima la libertà di critica, la
terza la libertà di stampa. A vincere alla fine
è solo l’esoterismo di chi crede che su
tutto domini la lobby ebraica.
Siccome le democrazie non possono permettersi il lusso
di concedere la libertà di stampa a giorni alterni,
sarebbe stato meglio se il libro fosse rimasto in libreria
– anziché trovarsi in vendita a 350 Euro
nei bookstores on line. Perché non c’è
peggiore soluzione per la verità e per consentire
una discussione limpida sulle cose e non sui principi,
di un testo molto discutibile che si aggira come l’ombra
di Banco in nome della libertà di parola.
Ho allora una richiesta esplicita a Ariel Toaff. Rovesciando
le righe finali del suo testo, io non mi aspetto che
Ariel Toaff si redima di fronte alla figura del Beato
Simonino e si penta, ma rifletta sulle conseguenze della
sua decisione di ritiro e consenta che un testo molto
discutibile, che comunque porta la storiografia totalmente
fuori strada, ritorni in circolo, almeno per rispondere
a coloro i quali nutrendosi di spiegazioni esoteriche
sulla realtà quotidiana invocano la libertà
di parola, che è venuto il momento senza tanti
giri di parole di concentrarsi su una lettura che non
hanno fatto. Per poter finalmente, se vogliono, discutere
delle “cose”.
Perché in democrazia la discussione non è
obbligatoria, ma l’informazione è necessaria.
Pasque di sangue tiene banco sui giornali
italiani da almeno due settimane. All’inizio la
discussione è stata sui contenuti. Ma dopo il
ritiro del libro su richiesta del suo autore il clima
è cambiato. Ora sono gli ebrei sotto accusa,
nella convinzione che la “lobby ebraica”
abbia espresso un interdetto nei confronti di Ariel
Toaff e una minaccia sulla libertà di discussione
pubblica.
Torna dunque a girare in senso dispregiativo la parola
“lobby ebraica”. Dal dibattito che si sta
sviluppando si origina una nuova situazione che possiamo
così riassumere: gran parte delle tesi proposte
da Ariel Toaff ha dato l’opportunità a
molti di rimettere in circuito un pregiudizio antigiudaico;
si usa il libro di Ariel Toaff proprio a questo scopo;
in nome della libertà della ricerca, si accredita
sia la veridicità degli omicidi rituali, sia
l’interdetto a parlarne dalla potenza occulta
della lobby ebraica.
Cominciamo dalla fine. Venerdì scorso Ariel
Toaff decide di ritirare il suo libro dalle librerie.
Molti sostengono che ciò deriva dalle pressioni
che Ariel Toaff ha subito dalla sua università,
e dalle posizioni pubbliche assunte dal mondo ebraico
in Italia. L’effetto è che la questione
diviene se sia lecito o meno in Italia discutere di
storia ebraica. Come è avvenuto questo passaggio?
Vediamolo nei dettagli.
Ariel Toaff nel suo libro sostiene che in alcuni casi,
in circostanze circoscritte, si siano verificati casi
di omicidi rituali da parte di ebrei. L’accusa
di omicidio rituale rivolta agli ebrei consiste nel
ritenere che gli ebrei nei giorni immediatamente precedenti
la loro pasqua uccidano un bambino cristiano e ne estraggano
il sangue, alcuni dicono per impastarlo e produrre il
pane azzimo, altri per poi utilizzarlo a scopi terapeutici.
E’ un’accusa che ha dato luogo a stermini
nei confronti degli accusati e alla costruzione, nel
contempo, di un sistema devozionale nei confronti delle
presunte vittime, trasformate in santi o beati.
Intorno al libro per più di una settimana si
è scatenata una vera e propria “guerra
fra storici” sul corretto uso delle fonti da parte
di Ariel Toaff, sulla plausibilità o meno della
sua proposta interpretativa, comunque sulla sostenibilità
del contenuto del libro.
Una guerra iniziata prima ancora che il libro giungesse
in libreria attraverso una recensione e un titolazione
alquanto discutibili del “Corriere della sera”
(6 febbraio 2007). Una guerra su cui sono intervenuti
molti storici (la maggior parte dichiarando di non aver
letto il libro) e solo alcuni (la maggior parte su “Repubblica”,
ma anche sul “Corriere”) analizzando puntualmente
e minuziosamente il contenuto del libro. Fra questi
ultimi non uno – eccetto il recensore iniziale
del “Corriere” - ha salvato o giudicato
sostenibile il contenuto del libro. Sulla stessa questione
negli stessi giorni è intervenuta la Consulta
rabbinica italiana che ha dichiarato una radicale condanna
del libro, sostenendo che non ci sono nell’ebraismo
pratiche legate all’uso del sangue.
Rientrato in Israele e convocato dal suo Rettore per
difendere il suo libro, Ariel Toaff ha deciso di ritirarlo
ripromettendosi di stenderne una seconda versione, rinnovata
ed emendata degli errori, omissioni o imprecisioni.
La vicenda tuttavia non si chiude qui.
Perché una volta appianata la questione di metodo
e di contenuto si è radicata la convinzione che
sia avvenuta l’intrusione di un potere “non
autorizzato” rappresentato sia dall’intervento
della Consulta rabbinica, sia da interventi di figure
pubbliche del mondo ebraico. E’ a questo punto
che la parola lobby è tornata a circolare, nel
momento in cui il contenuto del libro era stato dissolto
non dalle critiche degli ebrei, ma da quelle degli storici.
Perché torna a circolare? Perché quello
che contiene non documenta ciò che è accaduto,
ma fa emergere un giudizio e un retropensiero morboso
nei confronti degli ebrei, un’immagine alla fine
solo sopita, ma non dissolta, che dalla discussione
degli storici esce delusa e che teme di non aver una
nuova chance “a breve” per ripresentarsi.
Non potendo utilizzare storiograficamente – ovvero
documentariamente – le ipotesi che Ariel Toaff
propone – ciò che resta dunque è
la convinzione non che quella ipotesi non stia in piedi
(se il libro fosse stato serio, del resto, i rabbini
avrebbero potuto strillare, all’infinito, ma le
recensioni uscite avrebbero convalidato la sua fondatezza),
bensì che ci sia una nuova fortezza assediata
che occorre salvaguardare. Non quella della verità,
bensì quella della libertà di parola.
Così qualcuno, non sapendo più che fare
né a che santo votarsi, rimette in circolo la
parola “lobby ebraica”.
Proviamo per un attimo a considerare seriamente questa
ipotesi. Dunque se il problema fosse il fatto che la
“lobby ebraica” non consente la lettura
e la libera discussione, sarebbe sufficiente rimettere
in circuito il volume suddetto. Ma non basterebbe. Perché
se anche questo avvenisse, io credo che questo sarebbe
vissuto come una sconfitta della lobby, non come una
sua inesistenza. Per vari motivi.
Perché la lobby è una spiegazione autosufficiente.
Non bisogna dimostrarla, è sufficiente nominarla.
Perché l’idea di un potere occulto che
governa e decide delle libertà altrui è
parte di un meccanismo che non viene smentito dalla
riconquistata libertà se non appunto come convinzione
che questa riconquista sia il risultato di una strenua
battaglia di “semplici” contro “potenti”.
E perché, da ultimo, quella convinzione consente
di dare legittimità a un’idea radicata
e che è appunto quella che gli ebrei sono potenti.
Tuttavia, se appunto il meccanismo della convinzione
e quello dell’accusa sono circolari, ovvero se
si sostengono uno con l’altro, la logica del complotto
ha già vinto e non ha bisogno di essere spiegata.
Come sempre del resto, perché coloro che hanno
una visione complottista della storia sono già
convinti “a priori” della verità
del complotto. Sono esentati dal dimostrarlo, devono
solo ossessivamente ripetere che c’è.
Per abbandonare questa logica, per davvero, non è
sufficiente dichiararsi disposti al confronto, occorre
praticarlo.
Un confronto che chiami in causa prima di tutto gli
storici in merito alle fonti e al loro uso, deontologicamente
corretto. Che discuta delle retoriche giornalistiche,
e che, soprattutto, metta in questione l’analisi
dei luoghi comuni, la loro produzione, la loro diffusione
e l’inconsistenza del loro contenuto.
In sintesi. Il libro di Ariel Toaff ha fatto emergere
il sentimento antigiudaico profondo della società
in cui siamo immersi. Di come sia stata costruita negli
anni una leggera patina sovrastrutturale - del tutto
inconsistente – capace di tenere a bada con molta
difficoltà – e in questo caso senza nessuna
capacità – il formarsi di nuove credenze
e di leggende metropolitane da cui molti dichiaravano
di essere usciti. E’ un tema delicato che sarebbe
ancor più pericoloso affrontare urlando o gridando,
ma che va posto come analisi e indagine su una patologia
culturale, prima ancora che come ideologia. C’è
troppa morbosità intorno alla questione del sangue,
perché tutto sia solo un interesse per sapere
“come sono andate effettivamente le cose”.
In ogni modo – e per chiudere – dirò
con Pascal: “Non dite che non ho detto niente
di nuovo. L’ordine è diverso”.
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