316 - 02.03.07


Cerca nel sito
Cerca WWW
Ritirare quel libro fa
più danno che altro

David Bidussa


Ariel Toaff, docente di storia all’università israeliana di Bar-Ilan, ha chiesto all’editore Il Mulino di ritirare dal mercato il suo libro “Pasque di sangue”. La decisione è venuta dopo che la tesi espressa nel libro, secondo la quale esiste la possibilità che gruppi di ebrei ashkenaziti dell’Italia settentrionale in epoca medievale abbiano compiuto infanticidi di bambini cristiani per usare il loro sangue nei riti pasquali, ha sollevato critiche e accuse da ambienti storiografici e da alte personalità ebraiche, compreso l’ex rabbino capo di Roma (e padre di Ariel) Elio Toaff. Le accuse vanno sostanzialmente in due direzioni. Da una parte si contesta al libro l’affidabilità storiografica, affermando che l’utilizzo ebraico di sangue cristiano per uso rituale non è che una leggenda senza fondamento storico; dall’altra parte si accusano le tesi di Ariel Toaff di alimentare sentimenti e posizioni antisemite.
Da qui la decisione dello storico di ritirare il libro dal mercato finché non avrà definito in modo chiaro il nodo della sua ricerca.
Mandateci la vostra opinione sul "caso Toaff", scrivete a redazione@caffeeuropa.it

L’articolo che segue è stato pubblicato su il Riformista.

Nella discussione sul libro di Ariel Toaff Pasque di sangue (edito da il Mulino), stampato, urlato con un lancio mediatico discutibile e poi ritirato dal suo autore, la prima vittima è la storiografia; la seconda vittima la libertà di critica, la terza la libertà di stampa. A vincere alla fine è solo l’esoterismo di chi crede che su tutto domini la lobby ebraica.

Siccome le democrazie non possono permettersi il lusso di concedere la libertà di stampa a giorni alterni, sarebbe stato meglio se il libro fosse rimasto in libreria – anziché trovarsi in vendita a 350 Euro nei bookstores on line. Perché non c’è peggiore soluzione per la verità e per consentire una discussione limpida sulle cose e non sui principi, di un testo molto discutibile che si aggira come l’ombra di Banco in nome della libertà di parola.

Ho allora una richiesta esplicita a Ariel Toaff. Rovesciando le righe finali del suo testo, io non mi aspetto che Ariel Toaff si redima di fronte alla figura del Beato Simonino e si penta, ma rifletta sulle conseguenze della sua decisione di ritiro e consenta che un testo molto discutibile, che comunque porta la storiografia totalmente fuori strada, ritorni in circolo, almeno per rispondere a coloro i quali nutrendosi di spiegazioni esoteriche sulla realtà quotidiana invocano la libertà di parola, che è venuto il momento senza tanti giri di parole di concentrarsi su una lettura che non hanno fatto. Per poter finalmente, se vogliono, discutere delle “cose”.
Perché in democrazia la discussione non è obbligatoria, ma l’informazione è necessaria.

Pasque di sangue tiene banco sui giornali italiani da almeno due settimane. All’inizio la discussione è stata sui contenuti. Ma dopo il ritiro del libro su richiesta del suo autore il clima è cambiato. Ora sono gli ebrei sotto accusa, nella convinzione che la “lobby ebraica” abbia espresso un interdetto nei confronti di Ariel Toaff e una minaccia sulla libertà di discussione pubblica.

Torna dunque a girare in senso dispregiativo la parola “lobby ebraica”. Dal dibattito che si sta sviluppando si origina una nuova situazione che possiamo così riassumere: gran parte delle tesi proposte da Ariel Toaff ha dato l’opportunità a molti di rimettere in circuito un pregiudizio antigiudaico; si usa il libro di Ariel Toaff proprio a questo scopo; in nome della libertà della ricerca, si accredita sia la veridicità degli omicidi rituali, sia l’interdetto a parlarne dalla potenza occulta della lobby ebraica.

Cominciamo dalla fine. Venerdì scorso Ariel Toaff decide di ritirare il suo libro dalle librerie. Molti sostengono che ciò deriva dalle pressioni che Ariel Toaff ha subito dalla sua università, e dalle posizioni pubbliche assunte dal mondo ebraico in Italia. L’effetto è che la questione diviene se sia lecito o meno in Italia discutere di storia ebraica. Come è avvenuto questo passaggio? Vediamolo nei dettagli.

Ariel Toaff nel suo libro sostiene che in alcuni casi, in circostanze circoscritte, si siano verificati casi di omicidi rituali da parte di ebrei. L’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei consiste nel ritenere che gli ebrei nei giorni immediatamente precedenti la loro pasqua uccidano un bambino cristiano e ne estraggano il sangue, alcuni dicono per impastarlo e produrre il pane azzimo, altri per poi utilizzarlo a scopi terapeutici. E’ un’accusa che ha dato luogo a stermini nei confronti degli accusati e alla costruzione, nel contempo, di un sistema devozionale nei confronti delle presunte vittime, trasformate in santi o beati.

Intorno al libro per più di una settimana si è scatenata una vera e propria “guerra fra storici” sul corretto uso delle fonti da parte di Ariel Toaff, sulla plausibilità o meno della sua proposta interpretativa, comunque sulla sostenibilità del contenuto del libro.

Una guerra iniziata prima ancora che il libro giungesse in libreria attraverso una recensione e un titolazione alquanto discutibili del “Corriere della sera” (6 febbraio 2007). Una guerra su cui sono intervenuti molti storici (la maggior parte dichiarando di non aver letto il libro) e solo alcuni (la maggior parte su “Repubblica”, ma anche sul “Corriere”) analizzando puntualmente e minuziosamente il contenuto del libro. Fra questi ultimi non uno – eccetto il recensore iniziale del “Corriere” - ha salvato o giudicato sostenibile il contenuto del libro. Sulla stessa questione negli stessi giorni è intervenuta la Consulta rabbinica italiana che ha dichiarato una radicale condanna del libro, sostenendo che non ci sono nell’ebraismo pratiche legate all’uso del sangue.

Rientrato in Israele e convocato dal suo Rettore per difendere il suo libro, Ariel Toaff ha deciso di ritirarlo ripromettendosi di stenderne una seconda versione, rinnovata ed emendata degli errori, omissioni o imprecisioni.

La vicenda tuttavia non si chiude qui.
Perché una volta appianata la questione di metodo e di contenuto si è radicata la convinzione che sia avvenuta l’intrusione di un potere “non autorizzato” rappresentato sia dall’intervento della Consulta rabbinica, sia da interventi di figure pubbliche del mondo ebraico. E’ a questo punto che la parola lobby è tornata a circolare, nel momento in cui il contenuto del libro era stato dissolto non dalle critiche degli ebrei, ma da quelle degli storici.

Perché torna a circolare? Perché quello che contiene non documenta ciò che è accaduto, ma fa emergere un giudizio e un retropensiero morboso nei confronti degli ebrei, un’immagine alla fine solo sopita, ma non dissolta, che dalla discussione degli storici esce delusa e che teme di non aver una nuova chance “a breve” per ripresentarsi. Non potendo utilizzare storiograficamente – ovvero documentariamente – le ipotesi che Ariel Toaff propone – ciò che resta dunque è la convinzione non che quella ipotesi non stia in piedi (se il libro fosse stato serio, del resto, i rabbini avrebbero potuto strillare, all’infinito, ma le recensioni uscite avrebbero convalidato la sua fondatezza), bensì che ci sia una nuova fortezza assediata che occorre salvaguardare. Non quella della verità, bensì quella della libertà di parola. Così qualcuno, non sapendo più che fare né a che santo votarsi, rimette in circolo la parola “lobby ebraica”.

Proviamo per un attimo a considerare seriamente questa ipotesi. Dunque se il problema fosse il fatto che la “lobby ebraica” non consente la lettura e la libera discussione, sarebbe sufficiente rimettere in circuito il volume suddetto. Ma non basterebbe. Perché se anche questo avvenisse, io credo che questo sarebbe vissuto come una sconfitta della lobby, non come una sua inesistenza. Per vari motivi.
Perché la lobby è una spiegazione autosufficiente. Non bisogna dimostrarla, è sufficiente nominarla. Perché l’idea di un potere occulto che governa e decide delle libertà altrui è parte di un meccanismo che non viene smentito dalla riconquistata libertà se non appunto come convinzione che questa riconquista sia il risultato di una strenua battaglia di “semplici” contro “potenti”. E perché, da ultimo, quella convinzione consente di dare legittimità a un’idea radicata e che è appunto quella che gli ebrei sono potenti.

Tuttavia, se appunto il meccanismo della convinzione e quello dell’accusa sono circolari, ovvero se si sostengono uno con l’altro, la logica del complotto ha già vinto e non ha bisogno di essere spiegata. Come sempre del resto, perché coloro che hanno una visione complottista della storia sono già convinti “a priori” della verità del complotto. Sono esentati dal dimostrarlo, devono solo ossessivamente ripetere che c’è.
Per abbandonare questa logica, per davvero, non è sufficiente dichiararsi disposti al confronto, occorre praticarlo.
Un confronto che chiami in causa prima di tutto gli storici in merito alle fonti e al loro uso, deontologicamente corretto. Che discuta delle retoriche giornalistiche, e che, soprattutto, metta in questione l’analisi dei luoghi comuni, la loro produzione, la loro diffusione e l’inconsistenza del loro contenuto.

In sintesi. Il libro di Ariel Toaff ha fatto emergere il sentimento antigiudaico profondo della società in cui siamo immersi. Di come sia stata costruita negli anni una leggera patina sovrastrutturale - del tutto inconsistente – capace di tenere a bada con molta difficoltà – e in questo caso senza nessuna capacità – il formarsi di nuove credenze e di leggende metropolitane da cui molti dichiaravano di essere usciti. E’ un tema delicato che sarebbe ancor più pericoloso affrontare urlando o gridando, ma che va posto come analisi e indagine su una patologia culturale, prima ancora che come ideologia. C’è troppa morbosità intorno alla questione del sangue, perché tutto sia solo un interesse per sapere “come sono andate effettivamente le cose”.
In ogni modo – e per chiudere – dirò con Pascal: “Non dite che non ho detto niente di nuovo. L’ordine è diverso”.

 

 


 

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it