L'indulto
ha ridotto il sovraffollamento, e nondimeno è
un sistema carcerario frammentato e distorto quello
fotografato dal 4° rapporto dell'associazione Antigone.
Il “prima” e il “dopo” la clemenza
del Parlamento, infatti, non modificano la situazione
strutturale dei 208 penitenziari italiani, laddove le
condizioni di disparità sono così forti
da “consigliare” di farsi arrestare in un
luogo piuttosto che in un altro e il rischio dei soprusi
documentato e presente.
Soprattutto resta il timore che le carceri escano dalla
vita pubblica, per ritornarvi solo quando un altro provvedimento
si renderà urgente. Due o tre anni al massimo
– dicono da Antigone - se il governo in cui siede
anche il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi,
non troverà soluzioni: dalla condizione strutturale
dei penitenziari fino alla sospirata riforma del codice
penale.
Sottosegretario Manconi, a distanza di mesi
l'indulto è il primo passo per una vera riforma
del sistema carcerario?
Ritengo l'indulto un provvedimento non solo opportuno,
ma sacrosanto. Penso che la clemenza non neghi e nemmeno
contraddica la giustizia, ma ne costituisca la fibra
morale. In una situazione abnorme non funziona né
il sistema delle pene né quello della giustizia.
Poi c'è anche la questione umanitaria. Carceri
come quelle che c'erano fino al 31 luglio sono luoghi
invivibili non solo per chi sconta la pena ma per chi
deve svolgere una attività professionale, dal
direttore fino al volontario.
I detrattori hanno accusato il governo di avere
approvato la legge per “lavarsi la coscienza”.
Anche nel rapporto di Antigone questa possibilità
ritorna come timore che, una volta svuotate, le carceri
possano rimanere abbandonate a loro stesse...
Guai a pensarlo. Certamente l'indulto non risolve i
problemi, ma senza l'indulto i problemi non possono
essere risolti. Continuiamo a ripeterlo, io personalmente
l'ho detto anche all'inaugurazione dell'anno giudiziario
a Torino: se non sapremo intervenire su immigrazione,
sostanze stupefacenti e recidiva, l'indulto verrà
vanificato. Svilupperà invece tutte le sue grandi
potenzialità positive nel momento in cui avremo
arrestato quel meccanismo di riproduzione fatale dell'affollamento.
Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e ex-Cirielli:
anche Antigone punta il dito su queste tre leggi come
il segnale più forte di una fase “punitiva”.
È una fase finita?
Siamo nella fase più avanzata per superare queste
leggi. Per quanto riguarda la legge sull'immigrazione
mi auguro che sia questione breve, e lo stesso vale
per la legge sugli stupefacenti, su cui si sta operando
virtuosamente. E così anche per la ex-Cirielli.
Dal rapporto emerge chiaramente la frammentazione
del nostro sistema carcerario. Non esiste un trattamento
minimo condiviso, ma una serie di estremi, in prevalenza
verso il basso, molto disomogenei.
È così, e gli interventi necessari sono
tanti. Come politica del ministero ci stiamo concentrando
in particolare – non esclusivamente, sia chiaro
– sulla razionalizzazione dei circuiti. Per capirci:
dentro la popolazione detenuta la prima grande ripartizione
è tra condannati e in attesa di giudizio. Ma
questa ripartizione elementare non viene rispettata.
Quindi si trovano spesso insieme o accanto, e sottoposti
a regimi non troppo differenti. E questa è solo
la cosa più banale. Esiste ad esempio una categoria
“giovani adulti” - dai 18 ai 24 anni - che
dovrebbe essere distinta, ma questo succede solo in
poche circostanze. Pensiamo ai tossicodipendenti: dentro
il carcere ci sono detenuti di accertata pericolosità
sociale. Ma infinitamente più detenuti di alcuna
pericolosità. Ora, per i primi esiste il circuito
del 41bis o di alta sorveglianza. Ma non esiste un circuito
per chi è di zero pericolosità sociale.
La vera riforma del carcere è questa: far sì
che vi siano dei circuiti non discriminatori, dove chi
ha bisogno di una custodia “attenuatissima”
e di un trattamento “intensissimo” possa
averli.
Si è fatto qualcosa in questo senso?
Dobbiamo lavorare perché siano rafforzate e
non vadano ad esaurirsi le colonie. O perché
le esperienze, come quella che sta nascendo a Milano
di una casa famiglia per detenute con figli da zero
a tre anni, siano ripetute ove necessario. E quindi
vi siano luoghi che somiglino pochissimo al carcere
e molto più a strutture di tutela per donne con
figli.
Questa riorganizzazione è sostenibile
dal punto di vista economico?
Oggi soprattutto dopo l'indulto è assolutamente
realizzabile. Non esiste un grande problema economico
su queste cose, ma nel territorio. Cosa non semplice,
sia chiaro, perché esiste un grande problema
di distribuzione del personale. Una volta che saranno
realizzate le nuove carceri che si devono realizzare,
il resto delle risorse non deve andare ad immaginare
chissà quante nuove strutture. Bensì a
manutenzione, ristrutturazione, e riorganizzazione degli
spazi esistenti.
Il rapporto fotografa veri e propri paradossi:
la maggior parte dei detenuti viene del sud, eppure
le carceri affollate sono quelle del nord.
“Paradossalmente” parla delle carceri del
Nord dove sempre “paradossalmente” non vogliono
andare gli agenti, perché sono nati e cresciuti
nel Sud. Il problema non sono solo i costi economici:
sono costi di organizzazione, di relazione sindacale,
di amministrazione di un enorme apparato.
È un problema di tutta l'Europa oppure
crede che l'Italia abbia delle criticità specifiche?
Non amo queste valutazioni, comunque credo che ci collochiamo
in una situazione intermedia per quanto riguarda la
vivibilità del sistema carcerario. Più
basso per quanto riguarda l'esecuzione delle pene. Da
molti anni, purtroppo, continuo a ritenere che nella
cosiddetta patria del diritto domini una mentalità
condivisa che ha una idea altamente vendicativo-afflittiva
della pena. E che in termini di senso comune l'idea
di una sanzione diversa dalla cella chiusa fatichi ad
affermarsi, laddove in altri paesi c'è maggiore
disponibilità ad una “fantasia” che,
salvaguardando la sanzione, non la fissi nella detenzione
all'interno di una cella.
Perché esiste questa diversa percezione
sociale?
In Italia dominano due subculture. Una di radice socialista
e una di radice cattolica. Entrambe non hanno al proprio
interno una forte dimensione libertaria, bensì
un intreccio complesso, in termini religiosi tra severità
e misericordia; in termini laici tra rigidità
e clemenza. Il rapporto all'interno di queste coppie
di termini è spesso impazzito, dove l'esercizio
della clemenza passa attraverso un'idea molto sacrificale
della sanzione. Si ritiene che le due subculture siano
culture del perdono: è sbagliato. Sono due culture
della indulgenza come conseguenza della sofferenza.
Laddove la cultura è più laica,
meno ideologica o religiosa, è più facile
arrivare ad una riabilitazione fattiva?
La riparazione passa sempre per la mortificazione.
Quasi che l'offeso rivendichi l'umiliazione dell'offensore.
Questa è una pulsione naturale, ma non una pulsione
che lo stato debba soddisfare. Quando si chiede al familiare
della vittima “lei perdona?” si commette
un pazzesco errore e si alimenta questo equivoco, perché
certo un perdono concesso in alcune circostanze può
avere una funzione profetica straordinaria, ma quando
si chiede alla povera vittima si trasforma un atto secolare,
civile, in un rito religioso, o psicologico, o in una
terapia.
Ha un che di inquisitorio...
Il fondo è inquisitorio, perché se io
mi dichiaro responsabile di un reato mi sto dichiarando
debitore verso lo Stato, ma non un mostro. Posso esserlo
oppure no, ma quello che conta non è la mostruosità,
bensì l'atto compiuto che infrange la legge e
rompe il legame sociale. Per ripristinare quel legame
è prevista una sanzione. Può essere una
multa, può essere un divieto...
... ma non mortificante
Le faccio un esempio che ogni volta suscita ilarità,
ma mi auguro e credo che si andrà anche a questo,
in una riforma del codice penale italiano: il “detenuto”
il lunedì mattina inizia la settimana, va al
lavoro... Solo il sabato mattina si presenta al carcere,
e ne esce il lunedì mattina per riprendere l'attività
lavorativa. Questa proposta fa ridere, ma già
è una soluzione applicata in qualche paese del
Nord Europa, ed è civilissima, è saggia,
è efficace: sconto una sanzione senza che questa
rompa il mio rapporto con il mondo. Il contrario esatto
di ciò che oggi è preteso essere efficace.
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