315 - 16.02.07


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“Ai critici dico: grazie all’indulto
la riforma è più vicina”

Luigi Manconi
con Fabio Amato


L'indulto ha ridotto il sovraffollamento, e nondimeno è un sistema carcerario frammentato e distorto quello fotografato dal 4° rapporto dell'associazione Antigone. Il “prima” e il “dopo” la clemenza del Parlamento, infatti, non modificano la situazione strutturale dei 208 penitenziari italiani, laddove le condizioni di disparità sono così forti da “consigliare” di farsi arrestare in un luogo piuttosto che in un altro e il rischio dei soprusi documentato e presente.
Soprattutto resta il timore che le carceri escano dalla vita pubblica, per ritornarvi solo quando un altro provvedimento si renderà urgente. Due o tre anni al massimo – dicono da Antigone - se il governo in cui siede anche il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, non troverà soluzioni: dalla condizione strutturale dei penitenziari fino alla sospirata riforma del codice penale.

Sottosegretario Manconi, a distanza di mesi l'indulto è il primo passo per una vera riforma del sistema carcerario?

Ritengo l'indulto un provvedimento non solo opportuno, ma sacrosanto. Penso che la clemenza non neghi e nemmeno contraddica la giustizia, ma ne costituisca la fibra morale. In una situazione abnorme non funziona né il sistema delle pene né quello della giustizia. Poi c'è anche la questione umanitaria. Carceri come quelle che c'erano fino al 31 luglio sono luoghi invivibili non solo per chi sconta la pena ma per chi deve svolgere una attività professionale, dal direttore fino al volontario.

I detrattori hanno accusato il governo di avere approvato la legge per “lavarsi la coscienza”. Anche nel rapporto di Antigone questa possibilità ritorna come timore che, una volta svuotate, le carceri possano rimanere abbandonate a loro stesse...

Guai a pensarlo. Certamente l'indulto non risolve i problemi, ma senza l'indulto i problemi non possono essere risolti. Continuiamo a ripeterlo, io personalmente l'ho detto anche all'inaugurazione dell'anno giudiziario a Torino: se non sapremo intervenire su immigrazione, sostanze stupefacenti e recidiva, l'indulto verrà vanificato. Svilupperà invece tutte le sue grandi potenzialità positive nel momento in cui avremo arrestato quel meccanismo di riproduzione fatale dell'affollamento.

Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e ex-Cirielli: anche Antigone punta il dito su queste tre leggi come il segnale più forte di una fase “punitiva”. È una fase finita?

Siamo nella fase più avanzata per superare queste leggi. Per quanto riguarda la legge sull'immigrazione mi auguro che sia questione breve, e lo stesso vale per la legge sugli stupefacenti, su cui si sta operando virtuosamente. E così anche per la ex-Cirielli.

Dal rapporto emerge chiaramente la frammentazione del nostro sistema carcerario. Non esiste un trattamento minimo condiviso, ma una serie di estremi, in prevalenza verso il basso, molto disomogenei.

È così, e gli interventi necessari sono tanti. Come politica del ministero ci stiamo concentrando in particolare – non esclusivamente, sia chiaro – sulla razionalizzazione dei circuiti. Per capirci: dentro la popolazione detenuta la prima grande ripartizione è tra condannati e in attesa di giudizio. Ma questa ripartizione elementare non viene rispettata. Quindi si trovano spesso insieme o accanto, e sottoposti a regimi non troppo differenti. E questa è solo la cosa più banale. Esiste ad esempio una categoria “giovani adulti” - dai 18 ai 24 anni - che dovrebbe essere distinta, ma questo succede solo in poche circostanze. Pensiamo ai tossicodipendenti: dentro il carcere ci sono detenuti di accertata pericolosità sociale. Ma infinitamente più detenuti di alcuna pericolosità. Ora, per i primi esiste il circuito del 41bis o di alta sorveglianza. Ma non esiste un circuito per chi è di zero pericolosità sociale. La vera riforma del carcere è questa: far sì che vi siano dei circuiti non discriminatori, dove chi ha bisogno di una custodia “attenuatissima” e di un trattamento “intensissimo” possa averli.

Si è fatto qualcosa in questo senso?

Dobbiamo lavorare perché siano rafforzate e non vadano ad esaurirsi le colonie. O perché le esperienze, come quella che sta nascendo a Milano di una casa famiglia per detenute con figli da zero a tre anni, siano ripetute ove necessario. E quindi vi siano luoghi che somiglino pochissimo al carcere e molto più a strutture di tutela per donne con figli.

Questa riorganizzazione è sostenibile dal punto di vista economico?

Oggi soprattutto dopo l'indulto è assolutamente realizzabile. Non esiste un grande problema economico su queste cose, ma nel territorio. Cosa non semplice, sia chiaro, perché esiste un grande problema di distribuzione del personale. Una volta che saranno realizzate le nuove carceri che si devono realizzare, il resto delle risorse non deve andare ad immaginare chissà quante nuove strutture. Bensì a manutenzione, ristrutturazione, e riorganizzazione degli spazi esistenti.

Il rapporto fotografa veri e propri paradossi: la maggior parte dei detenuti viene del sud, eppure le carceri affollate sono quelle del nord.

“Paradossalmente” parla delle carceri del Nord dove sempre “paradossalmente” non vogliono andare gli agenti, perché sono nati e cresciuti nel Sud. Il problema non sono solo i costi economici: sono costi di organizzazione, di relazione sindacale, di amministrazione di un enorme apparato.

È un problema di tutta l'Europa oppure crede che l'Italia abbia delle criticità specifiche?

Non amo queste valutazioni, comunque credo che ci collochiamo in una situazione intermedia per quanto riguarda la vivibilità del sistema carcerario. Più basso per quanto riguarda l'esecuzione delle pene. Da molti anni, purtroppo, continuo a ritenere che nella cosiddetta patria del diritto domini una mentalità condivisa che ha una idea altamente vendicativo-afflittiva della pena. E che in termini di senso comune l'idea di una sanzione diversa dalla cella chiusa fatichi ad affermarsi, laddove in altri paesi c'è maggiore disponibilità ad una “fantasia” che, salvaguardando la sanzione, non la fissi nella detenzione all'interno di una cella.

Perché esiste questa diversa percezione sociale?

In Italia dominano due subculture. Una di radice socialista e una di radice cattolica. Entrambe non hanno al proprio interno una forte dimensione libertaria, bensì un intreccio complesso, in termini religiosi tra severità e misericordia; in termini laici tra rigidità e clemenza. Il rapporto all'interno di queste coppie di termini è spesso impazzito, dove l'esercizio della clemenza passa attraverso un'idea molto sacrificale della sanzione. Si ritiene che le due subculture siano culture del perdono: è sbagliato. Sono due culture della indulgenza come conseguenza della sofferenza.

Laddove la cultura è più laica, meno ideologica o religiosa, è più facile arrivare ad una riabilitazione fattiva?

La riparazione passa sempre per la mortificazione. Quasi che l'offeso rivendichi l'umiliazione dell'offensore. Questa è una pulsione naturale, ma non una pulsione che lo stato debba soddisfare. Quando si chiede al familiare della vittima “lei perdona?” si commette un pazzesco errore e si alimenta questo equivoco, perché certo un perdono concesso in alcune circostanze può avere una funzione profetica straordinaria, ma quando si chiede alla povera vittima si trasforma un atto secolare, civile, in un rito religioso, o psicologico, o in una terapia.

Ha un che di inquisitorio...

Il fondo è inquisitorio, perché se io mi dichiaro responsabile di un reato mi sto dichiarando debitore verso lo Stato, ma non un mostro. Posso esserlo oppure no, ma quello che conta non è la mostruosità, bensì l'atto compiuto che infrange la legge e rompe il legame sociale. Per ripristinare quel legame è prevista una sanzione. Può essere una multa, può essere un divieto...

... ma non mortificante

Le faccio un esempio che ogni volta suscita ilarità, ma mi auguro e credo che si andrà anche a questo, in una riforma del codice penale italiano: il “detenuto” il lunedì mattina inizia la settimana, va al lavoro... Solo il sabato mattina si presenta al carcere, e ne esce il lunedì mattina per riprendere l'attività lavorativa. Questa proposta fa ridere, ma già è una soluzione applicata in qualche paese del Nord Europa, ed è civilissima, è saggia, è efficace: sconto una sanzione senza che questa rompa il mio rapporto con il mondo. Il contrario esatto di ciò che oggi è preteso essere efficace.

 

 

 


 

 

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