315 - 16.02.07


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È uno strumento efficace
contro razzismo e pregiudizi

Furio Colombo con
Elisabetta Ambrosi


Punire con il carcere chi nega l’Olocausto? Giusto, se la persona in causa ricopre un ruolo pubblico, o ha comunque posizioni di responsabilità. Furio Colombo, ex direttore de l’Unità, docente, senatore dell’Ulivo e soprattutto primo firmatario della legge che ha istituito anche in Italia il Giorno della Memoria, è stato uno dei pochi a plaudire alla prima criticata versione del disegno di legge Mastella, che prevedeva la reclusione per chi provasse a negare l’esistenza della Shoah. Quando il Guardasigilli ha fatto marcia indietro, e nel disegno definitivo approvato dal Governo è scomparso il termine negazionismo, cui è subentrato il più generico odio razziale ed etnico, abbiamo deciso di chiedergli un commento.

Senatore, come giudica l’ultima proposta di Mastella, che ha messo d’accordo i ministri, le comunità ebraiche e gli storici che avevano firmato il Manifesto contro l’idea di perseguire penalmente chi nega l’Olocausto?

Sono assolutamente d’accordo con la proposta, per due motivi. In primo luogo, si tratta di una correzione cruciale perché ci riporta in linea con una delle più nobili leggi della repubblica, che è la legge Mancino del ‘93, tra l’altro in un certo senso dovuta perché esiste allo stesso modo in tutti gli altri paesi democratici occidentali; in secondo luogo, anche da un punto di vista di analisi giuridica del fenomeno, si nota che la diffamazione in nome del razzismo è del tutto simile, nei confronti di un gruppo, alla diffamazione personale che è duramente perseguita dal codice. Così come esiste il reato di diffamazione che persegue chiunque attacchi una persona con la diffusione di notizie assolutamente infondate, ma tese a mettere quella persona in una condizione non rispettabile e di esclusione dalla società dei suoi pari, allo stesso modo il razzismo ha lo stesso scopo, ma su un gruppo, piccolo o grande che sia. Di conseguenza mi sembra che il nuovo modo in cui è stata frasata la legge Mastella sia assolutamente da approvare.

Tuttavia, lei si era espresso a favore della stesura che prevedeva pene dure per i negazionisti.

La prima osservazione che vorrei fare è questa. Il problema dell’antisemitismo è un problema vasto: per questo non vorrei coprirlo con l’imbiancatura di una legge, ma preferisco vederlo e misurarmi con esso, in modo da riconoscerlo ogni volta che la fenditura si presenta sul muro anche di un paese democratico e segnato dall’esperienza della Shoah e della resistenza come l’Italia. Dunque il problema mi importa molto: ma mi interessa molto non perderne le tracce, non sentirmi circondato da finti amici di Israele, apparentemente non negazionisti, che invece sono nel loro cuore tali. Ecco, io voglio saperlo perché se essi lo sono per cattiva informazione o per ignoranza avrò una chance in più per chiarire le cose, se invece lo sono per malafede morale e politica, avrò un’occasione in più per combattere il pericolo che rappresentano. Pericolo particolarmente grave perché chi rifiuta o nega la Shoah è sempre anche un antisionista, un razzista, qualcuno il cui ragionamento implica o che “non ne hanno uccisi abbastanza” o che gli ebrei si sono perseguitati da soli. Allora queste persone voglio conoscerle o riconoscerle, e in questo senso non vorrei una pena che potrebbe indurre a molti a fingere di non essere ciò che sono.

Ma allora lei è contrario o no a punire chi si macchia di reato di antisemitismo e di negazionismo?

Arrivo alla seconda osservazione che volevo fare. Al di là della premessa fatta, infatti, sono convinto che è ben diverso se chi fa pratica di negazionismo è in una posizione tale, per qualsiasi ragione, da poter intimidire o persuadere altre persone: ad esempio un sindaco, un poliziotto, il titolare di qualsiasi carica pubblica, anche modesta. Tutte figure che nel momento in cui esprimono un giudizio negazionista sono in grado di far pensare al paese o alla comunità cui appartengono che si tratti di una cosa tollerabile o buona o vera. Ecco, in questi casi il perseguimento mi sembra indispensabile e in questo senso limiterei la condizione di reato, anche grave, e della relativa pena, a tutti coloro che sono in una condizione istituzionale, e quindi in grado di persuadere o intimidire. Dirò di più. Sarei anche del parere di equiparare ad una posizione istituzionale posizioni private equivalenti: il padrone di una fabbrica, un datore di lavoro, chi ha dipendenti cui esprime giudizi negazionisti. In breve, chiunque ha responsabilità di influenza e persuasione, specialmente nelle cariche pubbliche, ma anche in condizioni private che comportano un rapporto gerarchico ed economico, può essere accusato di reato grave.

Reato che, secondo lei, non viola la libertà d’opinione.

No. Voglio ricordare che in varie università degli Stati Uniti, e sto parlando del paese più geloso della libertà accademica, sono stati espulsi o dichiarati inidonei all’insegnamento persone che avevano negati altri fatti fondamentali per la storia americana. Ricordo in particolare un’espulsione avvenuta ad Harvard nel 1980, quando una studentessa per provocazione espose alla finestra della sua camera una bandiera schiavista. La rivolta degli studenti indusse il presidente dell’università, dove pure non esistevano leggi specifiche in materia, ad espellere la ragazza, visto naturalmente che lei aveva deciso di non ritirare la bandiera, facendone una questione di libertà. Allo stesso modo potrebbero tutt’ora essere espulsi dalle università americane coloro che negano fatti fondamentali. Prendiamo il creazionismo, ad esempio. Un docente che lo predichi in una facoltà scientifica verrebbe nella maggior parte degli stati americani dichiarato inadatto all’insegnamento ed espulso dalla facoltà, tanto che alcuni stati hanno dovuto reintrodurre delle leggi per rendere insegnabile il creazionismo, e difendere così gli insegnanti, di solito dei teologi fondamentalisti. Anche un pregiudizio fortemente antiscientifico viene quindi vietato. Segno che ci sono sanzioni quando un paese o una comunità ritengono che si mettano in pericolo delle verità su cui si fondano la morale, la scienza o la storia.

I firmatari del Manifesto steso contro la versione iniziale della proposta Mastella di punire il negazionismo hanno però avanzato motivazioni interessanti. Secondo loro, in questo modo si istituisce una inaccettabile verità di stato. Inoltre, facendo della Shoah un fatto unico, la si rende quasi un fatto metafisico, sottratto alla storia.

Cominciamo da quest’ultima osservazione. Non è affatto vero che dire che la Shoah è un evento unico e assolutamente senza equivalenti equivalga a metterla su un piano metafisico. È invece purtroppo tragicamente realistico. Nel ‘43 i cittadini italiani prendevano un premio di 5.000 lire per ogni ebreo che consegnavano ai nazisti. Negare queste verità, come ferite che hanno segnato questo paese per sempre, è particolarmente ignobile. La seconda osservazione è questa: non hanno fatto caso questi storici che non esiste il negazionismo (nel mondo occidentale, a parte la Turchia che ha lo stesso problema con gli armeni)? Che, cioè, nessuno ha mai negato altri fatti, nobili o ignobili? Nessuno acerrimo sostenitore dei Borboni ha mai negato lo sbarco dei mille, nessuno appassionato di Bossi ha mai negato le guerre del Risorgimento. Se mai le si interpreta in modi opposti, per esempio come iatture. Come mai soltanto la Shoah viene negata? Come mai gli storici che si disputano il significato di un’infinità di eventi non si sono mai esercitati nel negare tutti quegli eventi per cui c’erano sufficienti testimoni, documenti, ed evidenze? Prendiamo ad esempio la resistenza: si è detto tutto il male possibile, ma non è mai stata negata. C’è chi dice che ci hanno liberato gli americani, ed è un’opinione da non censurare, ma nessuno direbbe che non c’è mai stata la resistenza e che la repubblica di Salò si è sciolta da sola. Questo fatto sarebbe accolto con sarcasmo e comunque condannato. Allora come mai il negazionismo esiste in un caso solo?

Che risposta si dà?

Perché evidentemente non ha niente a che fare con la storia né con la libertà di opinione, ma riguarda un elemento particolare di questa tragedia, gli ebrei, quindi è una atto esplicito e indiscutibile di antisemitismo, che è sempre proibito come tutto il razzismo. Il negazionismo è di natura morale, non scientifica né accademica. Gli storici che obiettando, quindi, non si rendono conto di due cose: una è l’enormità di ciò che è accaduto, senza precedenti. L’altra è l’unicità del negazionismo, che equivale alla dichiarazione di cui parlavo prima: “gli ebrei si sono perseguitati da soli per avere diritto alla terra”. Il negazionismo è una bestemmia.

Recentemente, il Corriere della sera ha pubblicato un sondaggio secondo cui un italiano su tre pensa che gli ebrei parlino troppo di Shoah, e uno su tre che abbiano troppo potere economico.

Sono due dichiarazione che fanno impressione. Quanto alla seconda, essa certamente per l’Italia non ha alcun riferimento né mai l’ha avuto perché l’intera finanza italiana è cattolica, quindi si tratta di informazioni prive di fondamento. La prima deriva dal fatto che in quel poco di insegnamento sulla Shoah in Italia si è sempre trascurato di far notare che si tratta di un delitto italiano, perché i protagonisti della persecuzione sono stati solo due, Italia e Germania e nessuno storico può negare che senza l’Italia la Germania non avrebbe potuto perseguitare gli ebrei d’Europa: non tanto per l’aiuto materiale, che non sempre l’Italia ha dato, ma per il simbolo. L’Italia aveva un’enorme importanza rispetto ai Balcani, a paesi come il Belgio, la Danimarca, l’Olanda, e sapere che era affiancata alla Germania ha avuto un’importanza enorme. Essa è stata il complice più importante, senza il quale il delitto non poteva compiersi. E siccome il codice equipara in tutti i delitti il complice con l’autore del delitto, è chiaro che per l’Italia va fatto lo stesso tipo di discorso che è stato fatto per i tedeschi, i quali hanno imparato bene la lezione, mentre gli italiani credono di essere innocenti. E questa è la ragione per cui io ho proposto il giorno della memoria, che è stato fissato al 27 gennaio, giorno dell’apertura dei cancelli di Auscwitz.

In conclusione: non crede che il disegno di legge Mastella, sia pure nell’ultima versione, abbiano un limite, nel senso che occorrerebbe, più che una punizione, un’opera di prevenzione attraverso la scuola e la cultura?

Ma questo vale per qualunque reato! È naturale, creare le condizioni per dire la verità invece che per mentire, cercare di ottenere certe cose invece che rubarle, esprimere il proprio dissenso senza trasformarlo in aggressione, tutto ciò è frutto della grande opera dell’educazione, dell’accolturamento, è la ragione per cui esistono le scuole. È la famosa frase di Don Bosco, “Meglio prevenire che punire”, nella Torino di due secoli fa. Frase che non è né di Cesare Beccaria né di un giurista, ma di un prete, di un prete educatore: con ciò voglio dire che è un’antica tradizione dell’attività pedagogica sostenere che bisogna intervenire prima piuttosto che dopo, ed intervenire educando piuttosto che punendo. Resta il fatto che, dato lo spazio più grande all’attività educativa, ci sono delle situazione aggressive molto gravi e molto pericolose. Su di esse, quando accadono, si deve necessariamente intervenire.

 


 

 

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