Punire con
il carcere chi nega l’Olocausto? Giusto, se la
persona in causa ricopre un ruolo pubblico, o ha comunque
posizioni di responsabilità. Furio Colombo, ex
direttore de l’Unità, docente,
senatore dell’Ulivo e soprattutto primo firmatario
della legge che ha istituito anche in Italia il Giorno
della Memoria, è stato uno dei pochi a plaudire
alla prima criticata versione del disegno di legge Mastella,
che prevedeva la reclusione per chi provasse a negare
l’esistenza della Shoah. Quando il Guardasigilli
ha fatto marcia indietro, e nel disegno definitivo approvato
dal Governo è scomparso il termine negazionismo,
cui è subentrato il più generico odio
razziale ed etnico, abbiamo deciso di chiedergli un
commento.
Senatore, come giudica l’ultima proposta
di Mastella, che ha messo d’accordo i ministri,
le comunità ebraiche e gli storici che avevano
firmato il Manifesto contro l’idea di perseguire
penalmente chi nega l’Olocausto?
Sono assolutamente d’accordo con la proposta,
per due motivi. In primo luogo, si tratta di una correzione
cruciale perché ci riporta in linea con una delle
più nobili leggi della repubblica, che è
la legge Mancino del ‘93, tra l’altro in
un certo senso dovuta perché esiste allo stesso
modo in tutti gli altri paesi democratici occidentali;
in secondo luogo, anche da un punto di vista di analisi
giuridica del fenomeno, si nota che la diffamazione
in nome del razzismo è del tutto simile, nei
confronti di un gruppo, alla diffamazione personale
che è duramente perseguita dal codice. Così
come esiste il reato di diffamazione che persegue chiunque
attacchi una persona con la diffusione di notizie assolutamente
infondate, ma tese a mettere quella persona in una condizione
non rispettabile e di esclusione dalla società
dei suoi pari, allo stesso modo il razzismo ha lo stesso
scopo, ma su un gruppo, piccolo o grande che sia. Di
conseguenza mi sembra che il nuovo modo in cui è
stata frasata la legge Mastella sia assolutamente da
approvare.
Tuttavia, lei si era espresso a favore della
stesura che prevedeva pene dure per i negazionisti.
La prima osservazione che vorrei fare è questa.
Il problema dell’antisemitismo è un problema
vasto: per questo non vorrei coprirlo con l’imbiancatura
di una legge, ma preferisco vederlo e misurarmi con
esso, in modo da riconoscerlo ogni volta che la fenditura
si presenta sul muro anche di un paese democratico e
segnato dall’esperienza della Shoah e della resistenza
come l’Italia. Dunque il problema mi importa molto:
ma mi interessa molto non perderne le tracce, non sentirmi
circondato da finti amici di Israele, apparentemente
non negazionisti, che invece sono nel loro cuore tali.
Ecco, io voglio saperlo perché se essi lo sono
per cattiva informazione o per ignoranza avrò
una chance in più per chiarire le cose,
se invece lo sono per malafede morale e politica, avrò
un’occasione in più per combattere il pericolo
che rappresentano. Pericolo particolarmente grave perché
chi rifiuta o nega la Shoah è sempre anche un
antisionista, un razzista, qualcuno il cui ragionamento
implica o che “non ne hanno uccisi abbastanza”
o che gli ebrei si sono perseguitati da soli. Allora
queste persone voglio conoscerle o riconoscerle, e in
questo senso non vorrei una pena che potrebbe indurre
a molti a fingere di non essere ciò che sono.
Ma allora lei è contrario o no a punire
chi si macchia di reato di antisemitismo e di negazionismo?
Arrivo alla seconda osservazione che volevo fare. Al
di là della premessa fatta, infatti, sono convinto
che è ben diverso se chi fa pratica di negazionismo
è in una posizione tale, per qualsiasi ragione,
da poter intimidire o persuadere altre persone: ad esempio
un sindaco, un poliziotto, il titolare di qualsiasi
carica pubblica, anche modesta. Tutte figure che nel
momento in cui esprimono un giudizio negazionista sono
in grado di far pensare al paese o alla comunità
cui appartengono che si tratti di una cosa tollerabile
o buona o vera. Ecco, in questi casi il perseguimento
mi sembra indispensabile e in questo senso limiterei
la condizione di reato, anche grave, e della relativa
pena, a tutti coloro che sono in una condizione istituzionale,
e quindi in grado di persuadere o intimidire. Dirò
di più. Sarei anche del parere di equiparare
ad una posizione istituzionale posizioni private equivalenti:
il padrone di una fabbrica, un datore di lavoro, chi
ha dipendenti cui esprime giudizi negazionisti. In breve,
chiunque ha responsabilità di influenza e persuasione,
specialmente nelle cariche pubbliche, ma anche in condizioni
private che comportano un rapporto gerarchico ed economico,
può essere accusato di reato grave.
Reato che, secondo lei, non viola la libertà
d’opinione.
No. Voglio ricordare che in varie università
degli Stati Uniti, e sto parlando del paese più
geloso della libertà accademica, sono stati espulsi
o dichiarati inidonei all’insegnamento persone
che avevano negati altri fatti fondamentali per la storia
americana. Ricordo in particolare un’espulsione
avvenuta ad Harvard nel 1980, quando una studentessa
per provocazione espose alla finestra della sua camera
una bandiera schiavista. La rivolta degli studenti indusse
il presidente dell’università, dove pure
non esistevano leggi specifiche in materia, ad espellere
la ragazza, visto naturalmente che lei aveva deciso
di non ritirare la bandiera, facendone una questione
di libertà. Allo stesso modo potrebbero tutt’ora
essere espulsi dalle università americane coloro
che negano fatti fondamentali. Prendiamo il creazionismo,
ad esempio. Un docente che lo predichi in una facoltà
scientifica verrebbe nella maggior parte degli stati
americani dichiarato inadatto all’insegnamento
ed espulso dalla facoltà, tanto che alcuni stati
hanno dovuto reintrodurre delle leggi per rendere insegnabile
il creazionismo, e difendere così gli insegnanti,
di solito dei teologi fondamentalisti. Anche un pregiudizio
fortemente antiscientifico viene quindi vietato. Segno
che ci sono sanzioni quando un paese o una comunità
ritengono che si mettano in pericolo delle verità
su cui si fondano la morale, la scienza o la storia.
I firmatari del Manifesto steso contro la versione
iniziale della proposta Mastella di punire il negazionismo
hanno però avanzato motivazioni interessanti.
Secondo loro, in questo modo si istituisce una inaccettabile
verità di stato. Inoltre, facendo della Shoah
un fatto unico, la si rende quasi un fatto metafisico,
sottratto alla storia.
Cominciamo da quest’ultima osservazione. Non
è affatto vero che dire che la Shoah è
un evento unico e assolutamente senza equivalenti equivalga
a metterla su un piano metafisico. È invece purtroppo
tragicamente realistico. Nel ‘43 i cittadini italiani
prendevano un premio di 5.000 lire per ogni ebreo che
consegnavano ai nazisti. Negare queste verità,
come ferite che hanno segnato questo paese per sempre,
è particolarmente ignobile. La seconda osservazione
è questa: non hanno fatto caso questi storici
che non esiste il negazionismo (nel mondo occidentale,
a parte la Turchia che ha lo stesso problema con gli
armeni)? Che, cioè, nessuno ha mai negato altri
fatti, nobili o ignobili? Nessuno acerrimo sostenitore
dei Borboni ha mai negato lo sbarco dei mille, nessuno
appassionato di Bossi ha mai negato le guerre del Risorgimento.
Se mai le si interpreta in modi opposti, per esempio
come iatture. Come mai soltanto la Shoah viene negata?
Come mai gli storici che si disputano il significato
di un’infinità di eventi non si sono mai
esercitati nel negare tutti quegli eventi per cui c’erano
sufficienti testimoni, documenti, ed evidenze? Prendiamo
ad esempio la resistenza: si è detto tutto il
male possibile, ma non è mai stata negata. C’è
chi dice che ci hanno liberato gli americani, ed è
un’opinione da non censurare, ma nessuno direbbe
che non c’è mai stata la resistenza e che
la repubblica di Salò si è sciolta da
sola. Questo fatto sarebbe accolto con sarcasmo e comunque
condannato. Allora come mai il negazionismo esiste in
un caso solo?
Che risposta si dà?
Perché evidentemente non ha niente a che fare
con la storia né con la libertà di opinione,
ma riguarda un elemento particolare di questa tragedia,
gli ebrei, quindi è una atto esplicito e indiscutibile
di antisemitismo, che è sempre proibito come
tutto il razzismo. Il negazionismo è di natura
morale, non scientifica né accademica. Gli storici
che obiettando, quindi, non si rendono conto di due
cose: una è l’enormità di ciò
che è accaduto, senza precedenti. L’altra
è l’unicità del negazionismo, che
equivale alla dichiarazione di cui parlavo prima: “gli
ebrei si sono perseguitati da soli per avere diritto
alla terra”. Il negazionismo è una bestemmia.
Recentemente, il Corriere della sera
ha pubblicato un sondaggio secondo cui un italiano su
tre pensa che gli ebrei parlino troppo di Shoah, e uno
su tre che abbiano troppo potere economico.
Sono due dichiarazione che fanno impressione. Quanto
alla seconda, essa certamente per l’Italia non
ha alcun riferimento né mai l’ha avuto
perché l’intera finanza italiana è
cattolica, quindi si tratta di informazioni prive di
fondamento. La prima deriva dal fatto che in quel poco
di insegnamento sulla Shoah in Italia si è sempre
trascurato di far notare che si tratta di un delitto
italiano, perché i protagonisti della persecuzione
sono stati solo due, Italia e Germania e nessuno storico
può negare che senza l’Italia la Germania
non avrebbe potuto perseguitare gli ebrei d’Europa:
non tanto per l’aiuto materiale, che non sempre
l’Italia ha dato, ma per il simbolo. L’Italia
aveva un’enorme importanza rispetto ai Balcani,
a paesi come il Belgio, la Danimarca, l’Olanda,
e sapere che era affiancata alla Germania ha avuto un’importanza
enorme. Essa è stata il complice più importante,
senza il quale il delitto non poteva compiersi. E siccome
il codice equipara in tutti i delitti il complice con
l’autore del delitto, è chiaro che per
l’Italia va fatto lo stesso tipo di discorso che
è stato fatto per i tedeschi, i quali hanno imparato
bene la lezione, mentre gli italiani credono di essere
innocenti. E questa è la ragione per cui io ho
proposto il giorno della memoria, che è stato
fissato al 27 gennaio, giorno dell’apertura dei
cancelli di Auscwitz.
In conclusione: non crede che il disegno di
legge Mastella, sia pure nell’ultima versione,
abbiano un limite, nel senso che occorrerebbe, più
che una punizione, un’opera di prevenzione attraverso
la scuola e la cultura?
Ma questo vale per qualunque reato! È naturale,
creare le condizioni per dire la verità invece
che per mentire, cercare di ottenere certe cose invece
che rubarle, esprimere il proprio dissenso senza trasformarlo
in aggressione, tutto ciò è frutto della
grande opera dell’educazione, dell’accolturamento,
è la ragione per cui esistono le scuole. È
la famosa frase di Don Bosco, “Meglio prevenire
che punire”, nella Torino di due secoli fa. Frase
che non è né di Cesare Beccaria né
di un giurista, ma di un prete, di un prete educatore:
con ciò voglio dire che è un’antica
tradizione dell’attività pedagogica sostenere
che bisogna intervenire prima piuttosto che dopo, ed
intervenire educando piuttosto che punendo. Resta il
fatto che, dato lo spazio più grande all’attività
educativa, ci sono delle situazione aggressive molto
gravi e molto pericolose. Su di esse, quando accadono,
si deve necessariamente intervenire.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|