Da un
dossier pubblicato su Reset
numero 95, maggio giugno 2006, pubblichiamo questo articolo.
Allora la discussione prendeva spunto dal caso delle
vignette danesi e da una provocazione lanciata dall’intellettuale
egiziano Sayed Yassin sul reato di negazionismo stabilito
da alcuni paesi europei.
Durante il recente convegno organizzato al Cairo dall’Associazione
“Reset-Dialogues on Civilizations” abbiamo
incontrato Sayed Yassin, noto intellettuale egiziano
vicino alla corrente liberale del Partito nazionale
democratico, il partito di maggioranza, che sostiene
il governo di Mubarak. È un esponente di quello
che viene spesso qualificato un po’ semplicisticamente
come il moderatismo arabo. Nel linguaggio corrente della
discussione araba gli intellettuali del suo genere vengono
definiti “secolari” o “civili”,
per distinguerli dagli altri che hanno una ispirazione
che lega la politica alla religione in modo più
o meno stretto: musulmani riformisti, liberali, tradizionalisti
o fondamentalisti. Nell’area politico-religiosa
un fenomeno di rilievo è quello dei Fratelli
musulmani, il movimento radicale approdato in Parlamento
con una consistente minoranza.
Maggioranza e opposizione parlamentare, secolarismo
e fondamentalismo si intrecciano nella situazione egiziana
in un modo complesso e a volte difficile da decifrare
dal punto di vista occidentale. Proprio per questo abbiamo
dato peso a un’affermazione che Yassin ha fatto
a conclusione di una intervista che ci ha concesso per
il sito web dell’Associazione Reset Dialogues
on Civilizations in cui sollevava la questione dell’influenza
che la vicenda storica dell’Olocausto ha nelle
relazioni tra Occidente e arabi. E abbiamo chiesto ad
alcuni intellettuali di reagire alla domanda posta da
Yassin. Ecco qui di seguito le parole di Sayed Yassin
al termine di un ragionamento che tende a separare,
nel dialogo tra le culture, le questioni religiose da
quelle politiche, e sottolinea quella che gli appare
come una difficoltà politica:
Bisogna operare una distinzione tra i vari discorsi
sulla base di differenti criteri politici. Ma voglio
che sappiate che nel contesto del dialogo interculturale
noi poniamo l'accento su quel che in Europa è
noto come “doppio standard”. La Danimarca
sostiene di avere una libertà d'espressione che
permette ai suoi cittadini di disegnare vignette con
la caricatura del profeta Maometto. Rivendica assoluta
libertà di espressione. Allo stesso tempo in
Francia e Austria c'è un diritto penale che vieta
di criticare o negare l'Olocausto. Riuscite a crederlo?
L'Olocausto è un fatto storico e noi arabi mussulmani
riconosciamo che è avvenuto. Nessun problema.
Ma come può un paese libero rivendicare la piena
libertà di espressione quando esiste una legislazione
che prevede sanzioni a carico di chiunque metta in discussione
l'Olocausto? Come possiamo spiegare una cosa del genere?”.
È una discussione, questa, che vale la pena
di fare per diverse ragioni. La più importante
è che il collegamento tra Olocausto, esistenza
di Israele, conflitto tra Israele, palestinesi e mondo
arabo è moneta corrente nella comune opinione
tra gli arabi e i popoli musulmani in generale: spesso
la politica americana nel Medio Oriente e quella degli
alleati occidentali degli Stati Uniti viene rappresentata
come condizionata dall’influenza ebraica e sionista,
che ha nell’Olocausto una delle sue fonti. Da
questa rappresentazione dei fatti, che si riflette nelle
parole di Yassin, va distinto il forsennato estremismo
del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che fa
suo in modo pressoché integrale il negazionismo
di David Irving sostenendo che “se c’è
un serio dubbio sull’Olocausto, non c’è
dubbio alcuno sulla catastrofe e sull’olocausto
che hanno dovuto affrontare i Palestinesi”. In
un’altra occasione Ahmadinejad aveva sostenuto
che “oggi gli europei hanno creato un mito in
nome dell’Olocausto e lo considerano al di sopra
di Dio, della religione e dei profeti”, aggiungendo:
“Se voi avete commesso questo grande crimine,
perché la nazione palestinese oppressa ne deve
pagare il prezzo? La nostra proposta è: se avete
commesso il crimine allora concedete agli ebrei una
parte del vostro territorio in Europa, negli Stati Uniti,
in Canada o in Alaska in modo che possano stabilirvi
il loro paese” (La prima affermazione è
tratta da Bbc
e Afp, la seconda dal “Washington Post”,
14 dicembre 2005).
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