Agli articoli
di Magdi Allam siamo ormai avvezzi. Paginoni sul di
solito temperato Corriere, dove si raccontano
le efferatezze compiute dai musulmani italiani dell’Ucoi:
mogli picchiate a sangue, pratiche poligamiche, diffusione
militante della jihad a mezzo imam sporcaccioni.
Racconti raccapriccianti e sceneggiati a tutto tondo
che confortano i leghisti e lasciano di stucco anche
Vittorio Feltri e il suo gran-guignolesco Libero.
Quando c’è l’Islam di mezzo il Corriere
– Fallaci o non Fallaci – perde la testa.
E un po’ ci siamo ormai abituati.
Ma l’Espresso no! Per favore. Il settimanale
liberal, quello che ha pubblicato le famose
inchieste di Gatti sui disumani Cpt e sui raccoglitori
di pomodori scomparsi nelle campagne pugliesi, non ce
lo immaginiamo al fianco di Calderoli. Eppure ecco un
editoriale, firmato da un grande nome del giornalismo
italiano, noto in verità per il suo amore per
“le vecchie e buone cose del passato” (terra,
montagne etc..): Giorgio Bocca.
“Sbagliano gli zelanti utopisti di un mondo degli
eguali a togliere crocifissi dalle scuole e dai cimiteri”,
dice il giornalista piemontese in apertura del suo pezzo.
E fino a qui, ci stiamo. Ma poi viene la domanda: l’immigrazione
è un bene o un male? Questione metafisica, a
quanto pare, tanto che secondo Bocca “neanche
il pontefice è in grado di rispondere”
(peccato che alla fine la risposta ci sarà…).
Non è vero che l’ondata migratoria ha
prodotto assimilazione, dice Bocca. O, meglio, semmai
siamo noi che ci siamo assimilati agli immigrati. Per
dimostrarlo non servono indagini sociologiche di alcun
tipo. Basta utilizzare…il palato. Milioni di italiani
che hanno assunto una cameriera straniera “hanno
in pratica abbandonato in tutto o in parte il modo di
vivere italiano, la cucina italiana, condire, friggere,
mettere in savor, conservare, insaccare, tagliare”.
Insomma, protesta il giornalista di Cuneo, “avrò
cambiato in questi anni sei o sette immigrate ai fornelli,
ma un bollito cotto da bollito, non l’ho più
mangiato, sempre stopposo, sempre cotto al punto sbagliato”.
Non c’è cuoca del mondo povero che rinuncia
ai suoi condimenti forti! Questa mescolanza culinaria
non è, decreta Bocca, una esotica riscoperta
di lusso, ma un vero e proprio fastidio.
Ma c’è di più. Secondo la firma
dell’Espresso, l’immigrazione di
massa ha avuto anche un secondo, drammatico effetto,
perché ha provocato la scomparsa, nelle nostre
case, del vecchio modo di servire. Bocca evoca la tavola
dei buoni e distinti padroni borghesi con i loro servi
bianchi, sempre sorridenti e appagati. E aggiunge: “Non
come gli immigrati, che pensano solo e giustamente ai
loro interessi (e a quelli di chi, sennò?, ndr),
a salire rapidamente la scala delle retribuzioni e del
tempo libero. E anche questo è necessario, inevitabile
ma meno piacevole e non è affidabile come la
tata che ti veniva in casa da ragazza”. Insomma,
immigrati egoisti, avidi, indemoniati come i volti di
certi quadri fiamminghi in cui i poveri sono dipinti
come cattivi.
Ma veniamo alle conclusioni, ossia all’aspetto
“più sgradevole e importante”. Finiamola
con le finzioni, dice Bocca: il “popolo degli
immigrati a stragrande maggioranza non si integra, non
vuole integrarsi, perché il loro unico sogno
è continuare a vivere fra di loro e tornare a
casa arricchiti” (fischi! questo sembra un giudizio
morale). È vero, concede l’autore, che
gli immigrati fanno i lavori peggiori e sono soggetti
a soprusi e violenze. “Ma ciò non toglie
che, tirate le somme, la nostra società sia peggiorata,
sia più egoista, più violenta ed ecco
la ragione per cui anche noi non la amiamo questa umanità
forestiera. Le traduzioni non hanno sostituito le invasioni
che sempre invasioni sono”. Insomma, Bocca si
sente invaso. “Fastidio, sgradevolezza, rifiuto
di integrarsi, volontà di arricchirsi, egoismo,
violenza”: non c’è dubbio, l’emigrazione
è un male.
Stupefacente che una penna così esperta caschi
nel grossolano errore tipico degli inesperti: gli altri
non sono come noi, non meritano la stessa considerazione,
ne meritano di meno: incredibile quella gente vuole
“tenersi sempre aperta una porta per il ritorno,
i costumi, come la religione”, le loro tradizioni.
Che naturalmente non contano come il nostro “bollito”,
ma molto molto meno.
Eppure ci sono stati 600.000 matrimoni misti negli
ultimi dieci anni, segno evidente che qualche cosa cambia.
Aumentano le classi con alunni in maggioranza stranieri.
Sale costantemente il numero di aziende con a capo un
extracomunitario. Tutti sintomi evidenti di integrazione,
visto che è soprattutto attraverso scuola, famiglia
e lavoro che chi entra comincia a sentirsi anche italiano,
pur continuando ad usare in cucina curry e cumino.
A farla breve leggere su una rivista liberal che
l’immigrazione è un gran fastidio, perché
impedisce di mangiare il buon bollito di una volta,
è una stravaganza difficile da spiegare. Come
è difficile da spiegare il silenzio che è
seguito a questo articolo, segno evidente che sui giornali
il peso delle parole è relativo, perché
si può scrivere di tutto senza che altre autorevoli
firme si degnino di alzare la penna per contraddire.
Pigrizia? O insignificanza di un mestiere usurato?
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