Tratto
da Reset
È in libreria il quarto Rapporto di Antigone
sulle condizioni di detenzione in Italia, frutto del
lavoro di monitoraggio diretto delle carceri effettuato
negli ultimi due anni dall’Osservatorio dell’associazione.
È l’ultimo libro del pre-indulto e il primo
del post-indulto, questo volumetto agile dalla struttura
anomala rispetto agli studi più tradizionali
sul sistema penitenziario. Come già il titolo
si propone di evidenziare, il cuore del Rapporto è
costituito da 208 descrizioni, brevi ma essenziali,
delle 208 carceri italiane. L’effetto sinottico
che ne deriva è impressionante. 208 fotografioe
che, giustapposte l’una all’altra, lasciano
emergere le incongruenze della pena detentiva, quelle
quotidiane e quelle strutturali, quelle teoriche e quelle
di prassi, quelle politiche e quelle amministrative.
“Quando lo scatto riesce”, leggiamo nella
quarta di copertina, “la fotografia non è
mai muta ripetizione della realtà, né
tuttavia interpretazione verbosa e ingombrante”.
E le fotografie che l’associazione Antigone ha
scattato, nell’intento che persegue da anni di
aprire agli sguardi esterni un’istituzione che
crede invece di vivere della sua propria chiusura, descrivono
la realtà della vita carceraria senza però
meramente ripeterla e sottrarsi a un punto di vista.
Emerge senza forzatura verbosa e ingombrante una lettura
del sistema, che appare dalle schede come un sistema
frammentato e schizofrenico, dove la qualità
della vita dipende quasi del tutto dall’iniziativa
di chi gestisce il singolo istituto, e dove a distanza
di pochi chilometri possiamo trovare situazioni capovolte.
L’Italia carceraria è un paese a macchia
di leopardo. A Spoleto “quasi tutti i detenuti
lavorano”, mentre a Orvieto “vi è
un unico corso di scuola media”; a Padova Due
Palazzi “sono in funzione 2 biblioteche, 1 teatro,
1 palestra, 1 campo interno da pallacanestro. Le attività
sono numerose, oltre una ventina le associazioni e cooperative
che collaborano alla vita detentiva, con attività
didattiche, formative, lavorazioni”, mentre nella
limitrofa Padova Circondariale “gli spazi comuni
interni scarseggiano: l’area con biblioteca è
inagibile perché ci piove dentro [...]. Questa
realtà nel 2005 ha fatto registrare 3 suicidi”;
a Milano Bollate si assiste a “una fucina di attività,
supportate da cooperative ed enti istituzionali locali”,
mentre a Busto Arsizio “i detenuti passano molto
tempo chiusi in cella, escono per l’ora d’aria”;
a Empoli “la struttura è accogliente e
ben arredata”; a Roma Regina Coeli “la struttura
è in pessime condizioni, in 2 sezioni manca il
riscaldamento [...], i detenuti sono chiusi tutto il
giorno, non c’è area verde e i passeggi
sono angusti spazi in cemento e senza protezione dalle
intemperie, la qualità del cibo è scarsa,
è quasi del tutto assente il supporto psicologico
e non adeguata l’attività del Sert interno”.
Non sorprende quindi che ci siano detenuti che si fanno
arrestare appositamente in una determinata città
perché sanno che lì si sta meglio, che
è più facile accedere alle misure alternative,
che non ci sono le “squadrette notturne”.
Tutto è nelle mani della cultura democratica
del direttore, del culto della legalità che ha
il comandante di reparto, del numero degli educatori
e degli assistenti sociali a disposizione, dell’impegno
profuso da enti locali, terzo settore e volontariato
del territorio. È mancata negli ultimi anni una
direzione strategica. Da poche settimane è stato
nominato il nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria. A lui è affidato il compito di
restituire dignità e logica al sistema. Il volume
di Antigone potrà essere per lui un utile guida
lungo il suo viaggio nelle patrie galere.
Dentro ogni carcere,
a cura di Laura Astarita,
Paola Bonatelli, Susanna Marietti,
Carocci 2006
pagg. 208, euro 18
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