E’
diventato quasi un luogo comune, per quanti vogliono
sottolineare le contraddizioni dell’attuale bipolarismo:
visto che sono sempre d’accordo su tutto, come
fanno Enrico Letta e Pierluigi Bersani, due simboli
del governo Prodi, a non stare insieme a gente come
Bruno Tabacci, deputato dell’Udc e uno dei politici
più stimati del centrodestra? Per Tabacci, che
insieme a Nicola Rossi è stato tra i primi promotori
del “tavolo dei Volenterosi” (un’iniziativa
riformista bipartisan lanciata dal radicale Daniele
Capezzone), Rossi ha fatto bene a uscire dai Ds, perché
“la montagna ha partorito il topolino (dove la
montagna sono gli annunci del governo Prodi, e il topolino
sono le riforme effettivamente attuate, ndr)
e perché la posizione di Fassino si è
impantanata nel tentativo di tirarsi dietro tutto il
partito, compresa quella parte dei Ds che strizza l’occhio
alla sinistra antagonista”. “Il ‘tavolo
dei Volenterosi’ dimostra che il bipolarismo all’italiana
ha prodotto anni di immobilismo – aggiunge Tabacci
– Con Nicola Rossi siamo in costante contatto
e stiamo cercando di tenere viva l’attenzione
sulle problematiche reali dell’Italia e di offrire
qualche spunto di soluzione”.
Ha ragione Nicola Rossi quando lamenta che
il profilo riformista del governo è stato finora
deludente? Le riforme Bersani e Mastella sono un bilancio
troppo esiguo?
Il profilo riformista del governo finora è stato
decisamente deludente. Agli annunci dei primi mesi della
legislatura che pure andavano nella giusta direzione
hanno fatto seguito provvedimenti estremamente limitati
nei contenuti al punto che verrebbe da dire che la montagna
ha partorito un topolino. Nelle ultime settimane abbiamo
assistito ad un tentativo di riprendere le fila del
discorso, di tornare a parlare di accelerazione riformista,
di Fase 2, ma ogni proposito apprezzabile finisce invariabilmente
con l’essere ostacolato da quella componente del
governo che ha dimostrato e continua a dimostrare di
non possedere nel suo dna un’attitudine alla proposta
e all’accettazione di riforme strutturali.
Quali sono le riforme più urgenti? L’Udc
voterebbe con il centrosinistra sulla nuova ondata di
liberalizzazioni proposta da Bersani e sui disincentivi
per le pensioni?
Le riforme più urgenti sono quella del sistema
previdenziale e le liberalizzazioni dei mercati protetti.
L’Italia è un paese zavorrato dalle rendite.
L’Udc, che sta realizzando un’opposizione
basata sui contenuti piuttosto che sulle contrapposizioni
strumentali, si pone il problema di evidenziare quali
siano gli interessi generali del paese e intende svolgere
fino in fondo la sua funzione di pungolo affinché
prevalgano. Se le riforme di cui parlavo prima fossero
sostenute da una vasta convergenza parlamentare, l’Udc
potrebbe non far mancare il suo contributo. D’altro
canto la cifra delle cose da fare viene misurata sulla
base della serietà del progetto riformatore che
il governo e la maggioranza per primi dovrebbero attuare.
Se il profilo fosse basso non si può certo immaginare
di chiedere all’Udc di aggiungersi per dar vita
a dei mostriciattoli.
Nicola Rossi ha accusato l’attuale leadership
dei Ds di mancanza di una volontà riformista.
Ha ragione oppure è un po’ ingeneroso,
considerando che il governo non ha i numeri per far
approvare in Parlamento alcune importanti riforme?
Nicola Rossi non ha fatto altro che fotografare l’attuale
situazione dei Ds: d’altro canto trovo evidente
che la posizione di Fassino si sia impantanata nel tentativo
di tirarsi dietro tutto il partito, compresa quella
parte dei Ds che non ha mai inteso attuare una seria
politica riformista e che strizza l’occhio alla
sinistra antagonista.
Il Partito Democratico può aumentare
la forza contrattuale dei riformisti nel centrosinistra?
Al momento il Partito Democratico si annuncia come
il frutto di una sommatoria di classi dirigenti piuttosto
che come la conseguenza di un preciso e puntuale approfondimento
delle esigenze e dei nodi nevralgici che tengono il
Paese avviluppato. Il chiamarsi fuori, ormai quotidiano,
di esponenti dei Ds di rilievo e le perplessità
provenienti da settori della Margherita danno conto
semmai che la forza contrattuale dei riformisti nel
centrosinistra ormai è ridottissima e che le
premesse su cui si vuol far nascere il Partito Democratico
confermano questa situazione.
Il metodo del “tavolo dei Volenterosi”
può rappresentare un valore aggiunto del bipolarismo
anche per il futuro, o è il segno che questo
bipolarismo non funziona?
Il lavoro dei Volenterosi si pone come obiettivo di
evidenziare le riforme di buon senso di cui il paese
avrebbe bisogno. Se nascono i Volenterosi è perché
il bipolarismo all’italiana, anziché funzionare
garantendo governabilità sostanziale e non solo
stabilità formale, ha prodotto anni di immobilismo.
Dall’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica
il paese ha smesso di crescere ed è arretrato
in tutte le classifiche internazionali, a partire dalla
sua presenza in termini di quote nel commercio mondiale,
passata dal 4,4% del 1996 al 3% del 2005: dati incontestabili
che segnalano i risultati deludenti ottenuti sia dalle
maggioranze di centrosinistra che da quelle di centrodestra
e che pongono il tema della qualità del nostro
assetto politico, condannato alla paralisi dall’eccessiva
attribuzione di rilievo alle forze marginali collocate,
da una parte e dall’altra, sempre su posizioni
di conservazione. Il bipolarismo in sé non è
un male ma questo bipolarismo sicuramente non ha reso
buoni servizi all’Italia ed è tempo che
le forze più attente alla promozione degli interessi
generali dialoghino per costruire un nuovo assetto.
Cosa direbbe a Nicola Rossi?
Con Nicola Rossi siamo in costante contatto e stiamo
cercando, attraverso il tavolo dei Volenterosi che presenteremo
con un’importante manifestazione il 29 gennaio
a Milano, di tenere viva l’attenzione sulle problematiche
reali dell’Italia e di offrire qualche spunto
di soluzione.
In Germania, grazie alla legge elettorale,
i liberali della Fdp hanno governato sia con la Cdu
sia con la Spd. Che ne pensa…?
Penso che la soluzione del modello elettorale tedesco
sia la più adatta alla nostra cultura e alla
nostra evoluzione politica. L’adozione di un sistema
con soglia di sbarramento al 5% consentirebbe l’emersione
di quattro forze, una di sinistra antagonista, una di
sinistra riformatrice, una moderata e una di destra
populista e localista che potrebbero confrontarsi di
volta in volta e modellarsi secondo alleanze tra affini
e progetti di governo praticabili determinando finalmente
le condizioni per un’affermazione delle istanze
riformatrici. D’altro canto attuare tali istanze
è sempre più indispensabile per andare
incontro all’esigenza di convivere con i vincoli
della politica europea e dell’economia continentale.
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